Sebbene in concorso presenti un solo titolo italiano, Tre piani di Nanni Moretti, il 74mo Festival di Cannes può contare nelle varie sezioni di una nutrita compagine italiana, guidata dal maestro Marco Bellocchio, Palma d'Oro d'Onore di quest'anno, che presenta fuori concorso Marx può aspettare. Un titolo è presente anche nella selezione della Settimana della Critica: Piccolo corpo di Laura Samani. Ben quattro sono invece le opere alla Quinzaine: A Chiara di Jonas Carpignano, Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, Europa di Haider Rashid e Futura, firmato da Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher.
Conosciamo meglio le opere grazie alle parole dei registi. Cliccando sul titolo in rosso, avete le dichiarazioni nel loro formato extralarge.
MARX PUÒ ASPETTARE: A MIO FRATELLO
"Era Camillo, parlare di Camillo, quello che mi interessava. Avevo già parlato di lui nel 1981 in Gli occhi, la bocca cambiandogli il nome in Pippo. Ma quel film parlava in realtà di me stesso, del gemello sopravvissuto. E, poiché ero completamente sotto l'incantesimo di Fagioli, volevo dare al film e a me stesso una conclusione positiva, una sorta di ultimo "sollievo". Redenzione. Per dirla in maniera semplice, il film doveva avere un lieto fine. Infatti, il gemello superstite del film, insensibile ed egocentrico, si innamora della fidanzata di Pippo, dopo averla inizialmente disprezzata. Protegge persino il bambino che cresce nel suo grembo, il figlio di Pippo, prendendo così in qualche modo il suo posto. Quel film è nato sotto il segno della non libertà e della paura (di lavorare nella paura, che porta al fallimento nell'arte), compresa la paura di dispiacere mia madre, che era ancora viva, e i miei fratelli, e di non aderire ai principi di Fagioli, tutti fantasmi che evocavo da solo dal momento che nessuno mi impediva di fare nulla.
Al contrario, Marx può aspettare è venuto alla luce a poco a poco nell'arco di cinque anni, durante i quali è stato concepito, girato e montato nel tempo libero tra un film e l'altro. Non avevo obblighi precisi, anche perché costava poco. Ho inseguito i testimoni ancora in vita (molti nel frattempo sono morti e i loro preziosi ricordi sono svaniti per sempre) e mi sono concentrato in particolare sulle interviste a parenti, sorelle, cognati, suoceri, figli e nipoti. Sono i loro ricordi che danno al film il suo senso di intimità tragica e - cosa tipica per noi Bellocchio - sublimemente ironica".
Marco Bellocchio
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PICCOLO CORPO: IL SANTUARIO DEL RESPIRO
"Nel 2016 ho scoperto che a Trava, nel mio Friuli Venezia Giulia, esisteva un santuario dove fino al XIX secolo si diceva avvenissero particolari miracoli, che i bambini nati morti potessero essere riportati in vita per il tempo di un solo respiro. Un miracolo come questo era necessario per battezzare i bambini, che altrimenti sarebbero stati condannati a essere sepolti in un terreno non consacrato, come gatti morti. Senza il battesimo, non avrebbero mai avuto un nome o un'identità e le loro anime avrebbero vagato eternamente nel Limbo. Questi tipi di posti sono chiamati à répit, o santuari del respiro, ed erano presenti in tutte le Alpi (nella sola Francia se ne contavano quasi duecento). Sorprende come la loro storia sia del tutto sconosciuta nonostante le dimensioni del fenomeno.
I santuari sono rimasti da qualche parte nella mia mente e hanno finito per catturare la mia attenzione. Sono stata colpita da una cosa in particolare: erano soprattutto gli uomini a recarsi in viaggio nei santuari con i piccoli corpi dei loro neonati. Ovviamente, le donne che li avevano dati alla luce erano confinate nei loro letti soggette a una vana attesa".
Laura Samani
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A CHIARA: LA MALAVITA A GIOIA TAURO
"A Chiara è il terzo capitolo di una trilogia cominciata con Mediterranea nel 2015 e continuata con A Ciambra nel 2017. Sono arrivato a Gioia Tauro, in Calabria, nel 2010. Due migranti africani erano stati appena aggrediti e picchiati e ciò ha provocato la violenta sommossa che ho raccontato in A chjàna, il cortometraggio che ho diretto prima di Mediterranea. Poco dopo, mi sono trasferito lì e in seguito ho conosciuto Pio e la comunità rom che ho poi filmato in A Ciambra. Allora, nel 2010, non avevo l'idea di una trilogia in testa, volevo solo saperne di più sui disordini. Abbastanza presto ho però capito che volevo fare tre film sui tre volti di questa cittadina. Il primo era dato dalla comunità africana, il secondo da quella rom (un tempo nomade ma ora sedentaria e stabilitasi a Gioia Tauro) e il terzo dalla malavita, ovvero tutte quelle persone coinvolte nell'economia sommersa creata dalla mafia. Sapevo che avrei realizzato i tre film senza però conoscere esattamente come. Ricordo però di aver finito il primo trattamento di A Chiara tre settimane prima di iniziare le riprese di A Ciambra.
Senza dubbio, Gioia Tauro è un microcosmo di quella più ampia tendenza sociale ed economica che di questi tempi viene solitamente chiamata globalizzazione. Credo tuttavia che il solo modo per agguantare l'universale sia essere precisi, intimi e locali. Questa città ha qualcosa di molto particolare nel modo in cui questi fenomeni si intersecano. C'è l'economia metropolitana, la grande povertà ignorata dallo Stato e, in cima a tutto, l'arrivo di massa degli immigrati. Prima del 2012, quasi nessuno parlava di ciò quando ho avuto modo di conoscere la dura vita di Koudous Seihon, che era arrivato dall'Africa. La sua realtà, la sua esperienza e quelle dei suoi amici sono diventate la realtà di Mediterranea. Con A Ciambra e A Chiara, ho fatto una cosa simile".
Jonas Carpignano
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RE GRANCHIO: LA STORIA ATTRAVERSO LE LEGGENDE
"Re Granchio nasce da un racconto che abbiamo sentito in una casina di caccia di un piccolo paese della Tuscia. Conoscevamo Ercolino, il proprietario della casina, ritrovo abituale dei cacciatori della zona, dove si mangia, si beve ci si racconta storie. Una di queste leggende, quella di una pantera che terrorizzava i dintorni, ci ha dato lo spunto per Belva nera. Durante le riprese, i cacciatori ci hanno raccontato un'altra storia, da cui abbiamo tratto poi un secondo documentario: Il Solengo. Ancora una volta, durante la realizzazione di quel film, abbiamo ascoltato una leggenda: quella di Luciano, l'eroe di Re Granchio.
Ogni nuova storia raccontataci dai cacciatori aveva un respiro più ampio della precedente, ma allo stesso tempo molti meno dettagli. Quella di Luciano cominciava a Vejano e finiva in Sudamerica, nella Terra del Fuoco. Tuttavia avevamo poche informazioni sul personaggio e sull'epoca a cui risalivano i fatti. Ancora meno erano le notizie sul suo arrivo in America. Abbiamo dovuto immaginare quasi tutto. Forse è per questo che abbiamo progressivamente abbandonato il documentario per la finzione.
Abbiamo consultato degli archivi per trovare le tracce del viaggio che, secondo i nostri amici cacciatori, Luciano avrebbe compiuto tra la fine del Diciannovesimo e l'inizio del Ventesimo secolo. Ricercando tra i passeggeri delle navi dirette in Argentina c'era un omonimo: avrebbe potuto essere il nostro Luciano. Siamo andati a nostra volta nella Terra del Fuoco per ricerche e sopralluoghi e lì abbiamo trovato un mondo ricchissimo di storie e fantasiose avventure di emigrati italiani. Il nostro obiettivo era far sì che, nella parte argentina del film, la storia di Luciano portasse in sé qualcosa di quelle storie di migrazione".
Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis
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EUROPA: IL DRAMMA DELLA ROTTA DEI BALCANI
"Europa si basa su eventi reali che accadono sulla cosiddetta "rotta dei Balcani", dove i migranti vengono introdotti clandestinamente in Europa dal confine turco e sono spesso soggetti a violenze, intimidazioni e respingimenti illegali. L'obiettivo era quello di creare un'esperienza totalizzante che potesse far nascere domande nella mente del pubblico, testando il loro concetto di empatia, per mezzo di un personaggio di cui sanno molto poco e dei suoi tentativi di sopravvivenza mentre cerca di rimanere un essere umano durante il suo orribile viaggio.
Il dramma dei migranti che entrano in Europa è da anni al centro delle cronache internazionali ma volevo andare oltre il senso di distanza che spesso trovo quando si raccontano queste storie. Sento che questa distanza può essere accorciata, quasi fino a divenire assente, nel caso di un film di finzione in cui un personaggio è quasi sempre solo, impegnato a combattere contro ciò che lo circonda, i suoi aggressori e in ultima analisi se stesso. L'obiettivo era ritrarre quella che è un'esperienza dura e disumana nel modo più realistico e viscerale possibile: respirando, vivendo e combattendo con un personaggio resiliente ma tuttavia sofferente che, con la sua storia piccola, quasi minuscola, rappresenta le lotte di molti".
Haider Rashid
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FUTURA: I GIOVANI ITALIANI E IL LORO FUTURO
"Ci siamo incontrati alla fine del 2019 perché volevamo fare un film insieme. Nelle nostre carriere, ci è stato chiesto di contribuire a progetti collettivi dirigendo un episodio di un film antologico. Dirigere un solo episodio può però essere frustrante se stai cercando un'esperienza collettiva e vuoi condividerla veramente con altri registi. Ecco perché, sin dall'inizio, abbiamo voluto realizzare un'opera veramente collettiva, un'opera in cui l'idea di collettività fosse al servizio di un intero progetto. Volevamo che la varietà nascesse non dal singolo episodio ma dalla regia multipla, una forma di cinema che era viva in passato ma che oggi è poco praticata.
Da tale desiderio nasce Futura, un lavoro condiviso che mira a dare una rappresentazione della gioventù italiana e a dipingere un tableau del nostro Paese attraverso i loro occhi e le loro voci. È un "film di sentimenti", che usa gli adolescenti come specchio per noi adulti. Futura non è un film d'osservazione e rientra solo in parte in quella vasta gamma che viene chiamato Cinema della Realtà. È un reportage nella sua forma più nobile. Mentre lo realizzavamo, ci mettevamo al servizio delle storie che raccontavamo, ci toglievamo il berretto da regista e indossavamo quello di testimoni. Eravamo solo realizzatori di un documento filmato pronto per essere conservato in una sorta di archivio della Storia contemporanea. Poi, quando abbiamo montato le immagini, abbiamo scavato nell'archivio e abbiamo riportato le immagini alla luce. A quel punto, eravamo abbastanza imparziali da creare una relazione tra il girato e il presente".
Pietro Marcello, Francesco Munzi, Alice Rohrwacher
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