Sono talmente numerose e tristi le notizie quotidiane sui migranti, che si vorrebbe vivere in una bolla ignorando l’informazione che ci aggiorna con la voce, le immagini strazianti, le cronache e molta ipocrisia.
Dalla serie infinita dei film che si sono occupati del problema, scelgo i due che mi hanno maggiormente commossa, per la loro bellezza soprattutto e perché mi sembrano particolarmente adatti a ristabilire la giusta prospettiva dei valori umani che non vogliamo perdere.
1 ) Welcome (regia di Philippe Lioret – Francia 2009):
Film bello, essenziale nella sua denuncia, descrive senza retorica il rapporto del protagonista col suo maestro di nuoto, Simon (un magnifico, umanissimo Vincent Lindon).
Racconto di una storia tragica, di un piccolo curdo, che vuol raggiungere a nuoto da Calais le sponde inglesi e che si ripete, più o meno simile, ogni giorno sulle coste meridionali dell’Europa, dove tutti i governi si sono affrettati a emanare leggi sufficientemente restrittive da tranquillizzare le nostre pavide coscienze di europei del sud, che si voltano dall’altra parte per non vedere l’orrore dietro l’angolo.
Incapaci di “compassione” e di pietas, degli stranieri cogliamo un indistinto insieme in cui si mescolano buoni e meno buoni, essendo convinti che tutti facciano traballare le nostre certezze, il nostro benessere, la tranquillità della nostra vita privata.
Mi sembra molto bello, perciò, che che il regista abbia costruito non un documentario sull’immigrazione, ma l’individuale e unica storia di un giovane curdo che aveva potuto superare dolore e patimenti, compagni abituali dei viaggi avventurosi dei migranti, confortato dai sogni e dai desideri condivisi da molti ragazzi di quell’età.
L’immigrato di Welcome esce allora dalla genericità che tutti affastella e diventa un individuo con un nome – Bilal (Firat Ayverdi) – ,un vissuto personale, una sensibilità che gli rende inaccettabili le ingiustizie, e le umiliazioni.
Il “folle volo” di questo ragazzo, che a costo della vita avrebbe attraversato a nuoto la Manica, ci coinvolge in una vicenda d’amore da lontano, di sacrificio di sé, di fedeltà a una promessa che ha colorato di senso i giorni della lunga attesa.
I pochi che nel nostro disincantato occidente comprendono e danno aiuto e solidarietà, nel film come nella realtà di ogni giorno, sono perseguitati dalle severe leggi dello stato, dalla polizia, isolati dai colleghi di lavoro e dai vicini di casa, quegli stessi che sullo zerbino d’ingresso del loro pulito e tranquillo appartamento hanno la scritta “Welcome”!
2 ) Miracolo a Le Havre (regia di Aki Kaurismäki – Finlandia, Francia, Germania 2011)
Identico è l’argomento, identico lo scenario della vicenda: il canale della Manica – siamo, in questo caso, a Le Havre – , analoghe le esigenze del ragazzino che vorrebbe raggiungere le sponde inglesi.
Anche in questo film, inoltre, un adulto di buon cuore si prende cura del giovane protagonista, organizzando le cose perché la traversata si concluda felicemente, mentre la popolazione locale è fortemente ostile a qualsiasi nuovo arrivo.
Aki Kaurismäki, però, fedele a se stesso, racconta la vicenda con un po’ di ottimismo e con un piglio più decisamente favolistico, rovesciando completamente l’impostazione drammatica di Lioret.
Nel corso della visione si prova una strana sensazione: conosciamo già quella storia, ma contemporaneamente tutto sembra svolgersi in un’atmosfera più serena e gioiosa nella quale il bene prevale finalmente sul male, il commissario di polizia ha un cuore anche lui, gli umili (sempre brutti e sporchi per i benpensanti) nutrono una istintiva empatia verso chi soffre e organizzano, con successo, il loro piano di aiuto.
La corte dei miracoli dei lustrascarpe, dei bottegai anziani e poveri, delle anziane bariste di locali mal frequentati, del vecchio cantante rock, abbigliato da cialtrone, incurante dei suoi capelli ormai bianchi, del vecchio cane fedele e spelacchiato, avrà la meglio sull’ottusità dei duri di cuore, che non vogliono vedere la tristezza degli occhi buoni del piccolo Idrissa (Blondin Miguel), il gabonese che vuole raggiungere la madre a Londra.
Una storia dal dolce sapore zavattiniano e anche un po’ deamicisiano, un nuovo racconto Dagli Appennini alle Ande: il miracolo che sembrava impossibile. Ancora una volta ci commuoviamo davvero: la magia inconfondibile del grande regista finlandese, con il suo mondo alla rovescia ci conquista, come sempre.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta