Come ogni anno, la cerimonia di consegna dei Premi David di Donatello per il cinema italiano è imbarazzante e inguardabile. Inutile girarci intorno, sembra un normalissimo programma serale generalista. Non dico di imitare ogni dettaglio della cerimonia degli Oscar, cosa che per altro i premi Goya spagnoli fanno con risultati eccellenti (e qualcuno di nuovo avrà da ridire sulla Spagna e il suo cinema [pobrecitos]), ma almeno prendere qualche spunto, riutilizzare qualche idea, adottare il format come format unico per cerimonie di questo tipo, etc.
Innanzitutto il presentatore. Dal 2018 è fisso Carlo Conti, per sei edizioni totali, ma prima c’era stato a singhiozzo Tullio Solenghi, per altrettante edizioni, e un biennio segnato da Alessandro Cattelan. Il guaio di Conti è che rappresenta il nazional-popolare patetico e standardizzato che nulla ha a che vedere con il mondo del cinema. A lui va rimproverata la retorica italianista, pure nauseante, con cui deve necessariamente tessere le lodi dell’italico modo e ricollegare ogni eccellenza e ogni bellezza all’Italia, dalla Pausini alla Bellucci. A lui va rimproverato l’uso televisivo dei tempi: così veloci e condensati che tolgono il valore ai candidati e ai premiati, appiccicati lì alla meno peggio prima, e liquidati in fretta dopo. Conti si dimentica di essere solo un “presentatore” e fa purtroppo il “conduttore”, crede di condurre la cerimonia di consegna dei David come se fosse I migliori anni e chiama forzatamente applausi e standing ovations. E poi, c’era davvero bisogno di chiudere la serata annunciando l’arrivo di “Porta a porta”? Squallido.
In secondo luogo, il protocollo. E qui, il format statunitense andrebbe ripreso al dettaglio. Perché anche noi, qui in Italia, non organizziamo la cerimonia dei David nel seguente modo? Ovvero: il presentatore (ripeto: “presentatore”) accoglie il pubblico presente in sala e quello a casa, introduce la serata con un bel monologo (lo faceva benissimo Dani Rovira ai Goya [e non le mandava a dire]), magari annuncia le prime candidature e poi si apparta. Esce il premiatore, va a centro palco, introduce la categoria, parte il video di sintesi, il premiatore annuncia il vincitore, il vincitore sale sul palco, saluta il premiatore, ritira il premio e fa il suo discorso. In seguito esce dal palco (senza scendere le scale tornando subito in platea) e dal lato opposto del palco entra il nuovo premiatore che annuncia la nuova categoria, e così via a ripetizione per altre quattro o cinque volte. Dopodiché, il presentatore può tornare sul palco, intrattenere il pubblico con un nuovo monologo, un aneddoto, un ricordo coadiuvato da un video o presentare l’esecuzione dal vivo di un ospite musicale, poi annunciare il prossimo premiatore e così riprendere il ciclo naturale delle premiazioni.
In terzo luogo, altro oltraggio al buon senso e al gusto estetico di una cerimonia di presentazione, è l’ammucchiarsi di troppa gente sul palcoscenico. A parte quando i premiati sono tre, quattro o più persone e ha senso che tutte salgano a ritirare il premio, ma che senso ha avere sul palco il presentatore, il premiatore, il premiato, la valletta, l’amico del premiato, l’amico della valletta, etc, etc., per un totale di una dozzina di cristiani tutti schierati in fila che nemmeno alla festa dell’oratorio, e che non sanno più chi deve parlare con chi, chi deve passare il microfono a chi, chi deve premiare chi, e via dicendo.
E ancora: non capisco l’utilità dei David speciali. Ci sono i David alla carriera, giusto? Per altro bistrattati. Bene, quindi: a cosa servono i David speciali? Riferendoci all’edizione 2021 potrei chiedere: non si poteva consegnare il David alla carriera a Diego Abatantuono nel 2022 e a Monica Bellucci nel 2023? Era così difficile? Il David alla carriera deve essere un momento solenne e unico all’interno della serata di gala, se no cade il valore simbolico del premio stesso.
E ancora: il ricordo di chi purtroppo ci ha lasciato, gli stessi David alla carriera e tutti i momenti speciali della cerimonia, compresi alcuni premi minori che vengono annunciati in fretta e furia senza nessun riguardo per la dignità intrinseca del momento, perché non possono essere condotti con tempistiche più adeguate, con maggior rispetto di chi viene ricordato o premiato e con un’organizzazione del momento stesso meno approssimata? Ci vuole tanto? È così difficile?
Quindi, cosa si può salvare dei David? Con riferimento all’edizione 2021 si salvano sicuramente la premiazione di Mattia Torre e il discorso sincero di sua figlia, la premiazione di Sofia Loren e l’intervento di Pierfrancesco Favino, ravvivato successivamente da Piera Detassis, riguardo all’insegnamento di cinema e teatro nelle scuole italiane. Finalmente! Oserei dire. Io, come professore, da tempo ripeto a me stesso e a qualche mio collega la necessità di introdurre da un lato l’educazione all’immagine, dato che siamo bombardati da immagini e dobbiamo saperle interpretare esattamente come dobbiamo saper sopravvivere alla vita digitale (e infatti si fa strada nelle scuole l’educazione digitale), dall’altro la storia, la tecnica e la critica del cinema e in particolare del cinema italiano come strumento per conoscere la storia sociale del nostro paese e sapere così chi siamo davvero, da dove veniamo e come poterci identificare come italiani. Vedremo come andrà a finire. E già qui lo dico, il Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola non basta.
Inoltre, a non deludere mai durante la cerimonia dei David di Donatello, sono i contributi video, le sintesi e i montaggi realizzati con grande maestria e tante idee brillanti, tanto da cozzare con l’ingessatura e il pressapochismo della presentazione e dello spettacolo tutto. Ovviamente, non delude l'imprescindibile "Estasi dell'oro" di Ennio Morricone tratta da Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone.
In conclusione, mi auguro che in qualche modo, queste parole giungano a Piera Detassis o a chi purtroppo ha sempre avuto la voce in capitolo sul cerimoniale e il suo protocollo. Iniziamo a togliere Carlo “mitraglietta” Conti, sostituendolo con l’uomo o donna giusti, e iniziamo a strutturare la serata sul format statunitense, non per scimmiottarlo, ma perché è l’unico possibile (dopotutto anche la cerimonia finale del Festival di Venezia è imbarazzante, ahimè) e perché ci porterebbe fuori dal solito italico provincialismo.
Infine. Cosa ci faceva il ministro Franceschini in apertura di serata? Lui che è il primo responsabile della situazione in cui il mondo dello spettacolo sta versando? Cinema, teatri e tutti i luoghi che si possono contingentare sono rimasti chiusi senza motivo. Come le scuole. Mentre si aprivano le chiese, succedeva che le scuole, i teatri, i cinema, i musei, etc., non riaprissero. Con che coraggio è riuscito a salire su quel palco lo sa solo il funesto ministro (basta leggere gli editoriali di FilmTv rivista per farsi un’idea kilometrica di tutti i passi falsi del ministro).
Nonostante l’Italia sia il paese del gattopardo, speriamo che qualcuno mi senta, e le cose cambino davvero.
Mauro Fradegradi, 12 maggio 2021
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