Non so se la freddura qui sopra sia vecchissima o no. Io l’ho sentita dire poco fa e mi ha fatto ridere. Fosse stato pessimista avrebbe messo giù le gambe pensando che era mezza vuota e si sarebbe accorto che toccava? O invece sarebbe morto anche lui, ma da pessimista e almeno avrebbe potuto dire “l’avevo detto io che era pericoloso fare il bagno”?
È il 22 aprile, per me che scrivo: tra pochi giorni - il 26 (se la vostra regione avrà i colori in regola) - riapriranno le sale: giusto sei lunghi mesi dalla chiusura imposta il 26 ottobre scorso. Di fronte a questo evento - comunque da festeggiare - possiamo essere ottimisti, o pessimisti. Scegliete voi. Di certo però questa volta sappiamo come funziona: l’abbiamo già vissuta. E scusatemi se vi dico che non è stato entusiasmante.
Fu il 15 giugno scorso, se non mi sbaglio, la data della prima riapertura dopo il primo lockdown. Non c’era il coprifuoco. Delle 3500 sale italiane ne riaprirono poco più di cento, poi altre se ne aggiunsero pian piano. Ma per tutta l’estate molti - la maggior parte - nemmeno ci pensarono a riaprire. E più dei numeri del botteghino, che riportavano totali ridicoli, l’unico numero che valeva la pena seguire era quello del totale delle sale aperte.
Del resto che senso aveva riaprire, si erano detti i gestori, ben sapendo che nessun distributore aveva voglia di provare a mandare nelle sale vuote titoli che si sarebbero bruciati. E ora, che senso avrà?
Per indagare questo senso partiamo quindi dalle base: le regole. Le sale potranno riaprire, con il 50% della capienza e solo con prenotazione. In più la presenza del coprifuoco alle 22:00 renderà possibili solo spettacoli pomeridiani e di uno spettacolo - chiamiamolo “semi-serale”: dovrà terminare al massimo alle 21.30 - immaginiamo- per poter permettere il rientro a casa in legalità. A seconda della durata del film avrà inizio mediamente intorno alle 19:00/19:30. Non esattamente un’ora che invoglierà i più.
Poi va anche detto che per fare “il cinema” ci vogliono essenzialmente tre cose: una sala, del pubblico e un film. Sul numero delle sale staremo a vedere, ma è appuntoprevedibile, Del pubblico parliamo dopo. E i film? Ci saranno i film?
Be’ anche qui c’è grande incertezza: nelle ultime ore si registrano movimenti, comunicati, dichiarazioni, smentite.
Un traino importante c’è, siamo fortunati. È la notte degli Oscar che il caso vuole sarà proprio quella del 25 aprile. Ma sapete bene che molti dei titoli candidati sono praticamente andati tutti già in streaming. Quindi sapere che arriverà Mank di David Fischer, dato in uscita da lunedì, solletica il pessimista che è in me: film lungo, in bianco e nero, difficile, verbosissimo, pieno di riferimenti storici e cinefili che richiedono a gran voce una preparazione. Dovesse anche vincere, non sarà il viatico migliore per le riaperture. Allora piuttosto mi risveglia un po’ di ottimismo sapere dell’arrivo di Nomadland, il 30 aprile, anche lui in odore di Oscar ma anche già premiato con il Leone d’Oro a Venezia. Scommetterei poco invece sul richiamo del film rumeno Bad Luck Banging Loony Porn, che ha pur vinto l’Orso d’Oro, ma che a occhio non è titolo da trainare una riapertura nazionale. Poi ci saranno anche Minari, Una donna promettente e Una donna a pezzi (o meglioPieces of a Woman, e no, non sono la stessa donna): il 29 aprile il primo, il 5 maggio l’altro.
Sono tutti bei titoli. Tifiamo per loro. Ma se guardo sul sito hanno tutti voti; tanti voti. Segno che chi li voleva vedere li ha già visti. Per vedere approdare al cinema degli inediti di richiamo bisognerà attendere almeno la fine di maggio.
Poi c’è il pubblico, l’ultimo ingrediente: eccoci, siamo noi. E qui sta il grande quesito: è una domanda sincera e autentica e mi piacerebbe molto ascoltare le vostre risposte. Non è un sondaggio, ma quasi insomma.
La domanda è: avete più paura adesso o ne avevate più alla fine del primo lockdown, quello terminato a maggio dell’anno scorso per intenderci? Avete più voglia e fiducia (o temerarietà) ora, o pensate ce ne fosse di più allora?
Perché a maggio scorso uscivamo da un lockdown duro, inedito, scioccante ma avevamo tutti la speranza che magari fosse finita: non sapevamo molto. C’era chi diceva che col caldo sarebbe passata e un po’ sembrava così. “Clinicamente morto!” vi ricordate? Ci volevamo tutti credere. Adesso usciamo da un inverno, non così tremendo in quanto a restrizioni (almeno non eravamo chiusi in casa), ma lungo, cupo, faticoso. C’è chi è molto provato.
Certo abbiamo più speranze concrete e meno fantasie, ma anche la consapevolezza che non è finita, che la strada sarà comunque lunga.
Io l'anno scorso, come prima cosa, appena fu possibile andai a Venezia in un treno affollatissimo: ora non so se lo farei (cioè a Venezia ci corro sempre e volentieri, ma il treno… no, grazie).
Quanto delle raccomandazioni che ci hanno detto essere vitali ci è entrato dentro, diventando abitudine, radicandosi? Quanto siamo diventati diffidenti? E se invece siamo confidenti e positivi (il calo, dei casi, le vaccinazioni, la primavera che avanza), o magari solo stufi marci, quel che faremo quest'estate sarà davvero andare al cinema, dopo tutti i film visti in tv o in streaming in questi mesi (io personalmente tantissimi)?
Come reagiremo e come reagiremo in particolare nei confronti del cinema? Come vi ha cambiati quest'anno senza cinema?
Attendo le vostre risposte: spero tante.
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