In fondo, Pacino e De Niro mi fanno un baffo, ah ah.
Devo paragonarti a una giornata d’estate?
Tu sei più leggiadra e mite. Impetuosi venti sferzano le soavi gemme di maggio e la durata dell’estate è fin troppo breve. Talvolta troppo ardente splende l’occhio del cielo e sovente il suo aureo sembiante è velato. E ogni bellezza col tempo perde il suo splendore, spoglia dal caso o dal corso mutevole della natura ma la tua eterna estate non potrà svanire né perdere possesso delle tue bellezze. Né... né... né la morte potrà vantarsi di averti nell’ombra sua poiché tu crescerai nel tempo e in versi eterni.
Finché uomini respireranno e occhi vedranno, vivranno questi miei versi e a te daranno vita.
(Chloé Zhao, Nomadland - poesia recitata dalla grande Frances McDormand)
Ora, scusate, vi sarà la mia introduzione al solito goliardica a salire vertiginosamente non nel cielo poiché a differenza del figlio di Bob Wells nel film della Zhao, non mi sono suicidato cinque anni fa ma voglio ancora toccare sponde felici di soavità e pace.
Osservare al crepuscolo la riproduzione esatta di un dinosauro, ascoltare il suono caldo di un pianoforte e respirare nel vento nella mia città metaforica accanto al mare della mia forza.
Ebbene, è uscito finalmente in streaming italiano il capolavoro assoluto di Chloé Zhao, ovvero l’irraggiungibile e incommensurabile Nomadland.
La dimostrazione evidente di come si possa realizzare un film straziante, commovente e magnifico di circa due ore con una trama praticamente inesistente e ridotta all’osso, come si suol dire. Senz’avvalersi d’intrecci arzigogolati e di trame contorte che di toccante non hanno un bel niente.
Be’, Nomadland rappresenta l’esatto contrario del sottoscritto, esemplifica straordinariamente l’anima filmica diametralmente opposta alla mia, totalmente. In quanto, a livello puramente letterario, sono barocco e sovraccarico la mia prosa, spero bella e poetica, di troppa ridondanza. Molti mi accusano perfino di essere tracotante. Evviva la protervia, ah ah. Al massimo, qua e là, i miei stilemi linguistici sono inappuntabilmente, puntualmente impeccabili ed eleganti. Stilisticamente sono perfetto, realmente a livello pratico sono deprimente, ah ah.
Sì, sono sempre stato una presenza ectoplasmatica, malinconica, oserei dire da nosocomio, da egregio encomio e un distinto uomo davvero d’istinto, quasi da manicomio, in mezzo a questa realtà per me perennemente perturbante, volgarmente carnale, strafottente in maniera smodata.
Una realtà ove tutti vogliono mostrarsi belli ma rimarranno invisibili e pure brutti, più che altro alla maggior parte della gente molto invisi. Ah, visi pallidi! Invidiosi!
Quando voglio e quando ho voglia di sensualità caliente, son un uomo (forse), oltre che galante, adoratore addirittura della modella paraguaiana Claudia Galanti. Ora, Galanti non mi sembra un cognome del Paraguay ma, se dovessi rintracciare il suo fidanzato su Instagram, e dirgli che a Claudia feci delle avance in privato, credo che passerei molti guai. Anche perché mentirei spudoratamente. Giammai infatti feci ciò, quindi peccherei di falsa testimonianza gravissima dinanzi alla mia Corte d’Appello.
Sì, sono il nuovo Michelangelo Buonarroti che affrescò la Cappella... Sistina? Sì, buonanotte...
Sono un uomo alla Roberto Benigni, mi piace provocare. Che cosa? Adesso pure il Leone d’oro alla carriera?
In passato, “corteggiai” la fidanzata di un attore, non so se argenteo, di nome Luca. Che mi crediate o meno, Luca mi contattò personalmente, dicendo di non provarci più con la sua lei. Dicendomi aggressivamente che lui è un attore famoso e poteva dunque farsi la sua donna formosa e farmi il culo in maniera potente... che uomo odioso! Anche permaloso!
Gli risposi che lui è un attore ridicolo se paragonato a Gary Oldman e che la sua lei non è come le ex di un gay, no, di Gary, cioè Uma Thurman e Isabella Rossellini, fra le altre...
Al che, m’apostrofò con far crescentemente veemente: - Lei non sa chi sono io!
Minacciandomi pesantemente...
Gli risposi, per l’appunto, con molta eleganza sanamente insolente: - Guardi, le ripeto. Lei non è Gary Oldman e non mi sta simpatico come Sacha Baron Cohen. Lei non ha senso come uomo e non ha nemmeno senso dell’umorismo. Mi fa senso, pensa di essere più sexy del mitico ex bomber della Virtus Basket, cioè Predrag Danilovic?. Per noi, virtuosi o semplicemente ex virtussini e non tifosi della Fortitudo, il leggendario Sasha.
Guardi, lasciamo perdere. Mi creda, lei non è un campione di niente, neanche di bellezza come il cantante quasi omonimo a Cohen, vale a dire Sasha dell’epocale If You Believe.
Scusi, ora la devo lasciare. Comunque, per la cronaca non sportiva, io invece sono Bruno e Borat. E la sua donna è molto bona. Diciamo che, rispetto alla moglie di Joel Coen, cioè Frances McDormand, è una spanna sopra in merito a beltà e la distacca con uno spacco, no, stacco paragonabile ai balzi impressionanti di Michael Jordan dei Chicago 7, no, dei Chicago Bulls dei tempi d’oro.
Se però vogliamo essere più obiettivi di un grandangolo della Nike, no, della Nikon, la sua lei sfigura parecchio dinanzi alla grande Frances. Diciamo che, a livello prettamente realistico e attoriale-cinematografico, è meglio che rimanga una donnetta nazional-popolare che, assieme a lei, di domenica guarderà le partite di Calcio e i film con lei come interprete.
Luca: - La smetta! Che ne sa, peraltro, lei di Calcio?
- Guardi, Luca. A Bologna, è nato Carboni Luca e dalla basilica di San Luca si può vedere lo stadio Renato Dall’Ara. Ho militato nella scuola Calcio Bologna Football Club 1909 quando fui pulcino.
Poi, quando “regredii” negli Juniores-Allievi alla polisportiva Lame Ancora, segnai un goal alla Danilovic, no, alla Renato Dall’Ara, da quest’ultimo messo a segno durante la finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona di molti anni fa del Milan di Berlusconi!
Cioè questo:
Guardi, la sera prima, un ex centravanti quasi più forte di Marco Van Basten, vale a dire Hendrik Johannes Cruijff, più comunemente noto soltanto come Johan Cruyff, in conferenza stampa, sostenne che il suo Barcellona con Romario avrebbe distrutto il Milan dei miracoli e degli olandesi volanti.
Disse la stessa cosa pronunciata da Lino Banfi ne L’allenatore nel pallone. Il quale affermò che avrebbe sconfitto e stracciato Zico. Ma la sua Longobarda perse 4 o 5 (non ricordo bene, scusate) a zero con quaterna dell’uomo che pianse quando il suo Brasile fu massacrato da Paolo Rossi con una tripletta devastante.
Senta, Luca non faccia con me il crucco. Sennò, diverrò Alex Del Piero e lei piangerà come la bimbetta sugli spalti durante la semifinale dei Mondiali 2006.
Che cosa? Riaprono gli stadi e i cinema invece no? Generazione di fenomeni... cantò Gaetano Curreri.
Di mio, indosso jeans della Carrera, non voglio fare carriera e odio le corriere.
Luca, non mi provochi altrimenti potrei tornare a essere il più grande calciatore di tutti i tempi e dribblarla come Alfredo Di Stéfano.
Luca, mi tolga una curiosità. Lei preferisce Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, Marco Di Vaio, il nudo di Madeline Zima di Twin Peaks: Il ritorno, Ronaldo Luís Nazário de Lima, Pelè che è lo pseudonimo di Edson Arantes do Nascimento, Sylvester Stallone di Fuga per la vittoria o quello che, con buona pace all’anima sua di Diego Armando Maradona, è il più forte di tutti i tempi, cioè Lionel Andrés Messi?
Inoltre, prima di lasciarla, caro Luca da tre premi Oscar dei piccoli, vorrei chiederle questo: chi è il regista di Torna a casa, Lassie!?
Non lo sa, vero? Intanto, legga Hermann Hesse.
Sa, io lessi molto. Lei invece è lesso.
Sono l’incarnazione dell’Enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog. Film che conosco ma in verità vi dico che non ho mai visto interamente poiché basta che mi guardi allo specchio per giudicarlo e recensirlo, ah ah.
Vi fornisco un’anteprima esclusiva del mio prossimo libro. Forse sarà revisionato e corretto:
- Sono un nomade, un fantasma del mio tempo giammai dimenticato, oscurato e rinato
Navigando in tale vita tempestosa, mi fermo all’improvviso a riflettere pacatamente sull’oceanica vastità del mio immane, trascorso tempo su questa terra maledetta, ricolma di uomini e donne vanagloriosi. Mi siedo e accomodo mestamente su una panchina arrugginita d’un parco immerso nel verde d’un lussureggiante autunno ancora innevato da fiocchi nivei che lucidano di sobria bianchezza armoniosa le guglie delle chiese e delle cattedrali di tale città di fantasmi e morti viventi, di uomini e donne pestilenziali e perniciosi. In una parola, prematuramente nell’animo defunti e dunque osceni e odiosi. Li deploro con rabbia furiosa.
Innervato e appannato fui io, nella mente annebbiato, scomparso dal mondo e di neve, no, di nuovo riplasmatomi a mio insindacabile, entusiasmante e vitalissimo volere stupefacente.
In me non è avvenuto nessun cambiamento interiore. Né son stato miracolato da qualche misteriosa, oscura forza illuminante o prodigiosa. Non ravviso niente di speciale, eclatante o clamoroso in tale mia rinascenza che ha del fenomenale a dir poco. Poiché, dopo sterminati, imperterriti e lacrimevoli strepitii del mio cuore iroso e non più vigoroso, affievolitosi in effetti nel vigliacco piagnisteo cardiaco di silenti battiti da viandante forse peccaminoso di tale nostra esistenza morbosa, ancora con energia e forza ardimentosa risento magicamente scoccare, echeggiante potentemente dal profondo mio inconscio opprimente e ai miei occhi stessi in passato apparsomi repellente, una raggiante, splendida luce dardeggiante che acceca di bagliori estasianti il mio umore, come dettovi, per tempo immemorabile poco bienaventurado, sì, non beato ma sprofondato nelle agoniche mie notti onestamente più beote, scarsamente gloriose e di vita golose.
Avete per caso mai visto il cortometraggio di JR, intitolato Ellis ed interpretato da un lugubre ma sempre grande, laconico Bob De Niro fenomenale?
Scritto dal premio Oscar Eric Roth, è la breve ma commovente cronistoria, sostenuta dalla voce narrante cavernosa di un De Niro ectoplasmatico, d’un alive, di uno spettro senz’identità precisa e alcuna, ricomparso miracolosamente, un migrante sopravvissuto alla barbarie del tempo che scalfì e trafisse mortalmente i destini di tanti avi e innocenti giunti in America attraverso grandi navi.
De Niro, protagonista di Awakenings, che in questo short movie si risveglia dalla tetraggine lapidaria del suo passato emozionalmente cimiteriale. E cammina, con passo felpato e rattristato, struggentemente appassionante e toccante, lungo i corridoi scuri d’un casolare fatiscente e abbandonato dopo aver ormeggiato in un passato mortificante, dopo non aver amoreggiato, forse, per viltà o pavore, con la sua innata, pulita e pura sua intimità essenziale e umana più cristallina, non adulterata dalla sua originaria natura incontaminata.
De Niro che fu protagonista del meraviglioso e crepuscolare City by the Sea per la regia di Michael Caton-Jones. La storia di un coriaceo detective dal cuore d’oro, Vincent LaMarca, il cui padre assassino fu giustiziato e condannato alla sedia elettrica in carcere. Dunque, a sua volta assassinato senza pietà alcuna.
Vincent, il cui figlio, durante una nottata piovigginosa, involontariamente uccise un uomo per legittima difesa ben comprensibile.
La storia di un uomo, Vincent, costretto a confrontarsi giocoforza coi fantasmi del suo passato da lui sublimato e apparentemente rimosso. Un uomo amante della bellezza eburnea d’una donna semplice e dall’aspetto virginale e bella come la madonna, incarnata dalla strepitosa, dolcissima Frances McDormand.
Attrice protagonista del superbo e inarrivabile, malinconico Nomadland di Chloé Zhao. Capolavoro inaudito, illuminato dalla grazia d’una venustà recitativa senza pari della stessa McDormand allo zenit della sua immensa bravura encomiabile e portentosa.
La storia di una vedova donna sessantenne e inconsolabile, affranta e affaticata, che perde il suo lavoro su Amazon e decide di mettersi in viaggio, incontrando, durante il suo stralunato e allucinato, avventuroso peregrinaggio solitario, tante persone dalle vite rovinate o soltanto, paradossalmente, restaurate all’antico, primigenio lindore della loro primordiale, incorrotta limpidezza esistenziale.
Cosicché, a vivo e sentito contatto col dolore e con la sofferenza più sentita, finanche con la purezza delle scheggiate, ferite vite altrui e della sua stessa anima coartata da un incolmabile lutto coniugale non cicatrizzabile, infermabile continua a viaggiare sulla sua strada in modo instancabile, abbagliata nel suo animo da una tenerissima luce salvifica, letiziosa sebbene ancora insanabilmente, atrocemente dolorosa.
Offuscata e allo stesso tempo rischiarata dall’aver scoperto, sebbene malvolentieri, la durezza della vita più incantevole nella sua nuda stranezza ed essenza più nitida e imponderabilmente luminosa.
Lei vivrà, sino al giorno della sua morte, sorretta dalla delicatezza del suo essersi trasfusa nel concetto esemplare di assoluta, sfavillante trasparenza di donna inguaribilmente immalinconitasi a causa della tragica morte di suo marito, eppur al contempo speranzosamente combatterà volitiva, forse in silenzio, l’inarrendevole voler inseguire una flebile ma lucente fiammella chimerica o solo utopica.
Ove io vagherò, invece? Nel mio interiore infinito, infinitamente?
Tanto tempo assopitosi, amici e fratelli della notte, è riemerso nel ricordo e dai neri ricordi di me che fu obliato dal nero più insondabilmente asfittico della dimenticanza che occluse ogni metaforica mia freschezza respiratoria.
Adesso, in me, questo ritrovato tempo insperato sta risorgendo in fiera rimembranza acuta ancora squillante.
Tornerò vivamente alla ribalta?
O sono soltanto ritornato baldo e splendido come la più lieta e dolce alba?
Quindi...
Se qualcuno vorrà fare del male ai miei figli più cari, parafrasando e personalizzando Elias Koteas de La sottile linea rossa, ricordate che io vi attaccherò come John Rambo.
Mi metteranno dentro ma vi cancellerò dalla faccia della Terra.
Perché, alla pari Robert De Niro, così come fu definito detto durante uno spot di tanti anni fa passato su Radio Monte Carlo TV che gli aveva dedicato una monografia, io sono il più grande, il più grande di tutti.
Non provocatemi, sennò piangerete tanto. Interminabilmente.
Questa è la mia vita. È un bene sacro.
Anche perché non possiamo perdere non il figlio di Bob Wells di Nomadland, bensì un genio mostruoso come Orson Welles. Quando cambio prospettiva, per voi diventa impresa possibile tenermi fermo e battermi. Lo so, sono un megalomane. Meglio che essere un idiota come il novanta per cento delle persone. Tornando a Bob De Niro, in Casinò il suo personaggio alla fine disse... E questo è quanto.
Provate a indurmi nuovamente al suicidio e, come disse John Goodman de Il grande Lebowski, finirete in una valle di lacrime, in una valle di lacrime, in una valle di lacrime.
Questo è il tuo compito, Larry? Questo è tuo, Larry? Questo è il tuo compito, Larry?
Diciamo che, malgrado molte botte, un certo carisma non si è perso. Eh no.
Signore e signori, una rovesciata epica. Come questa:
di Stefano Falotico
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