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Little Cheung
di AndreaVenuti
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Little Cheung, Fruit Chan, 1999

Con Little Cheung il celebre Fruit Chan conclude la sua personalissima trilogia (informale) dedicata all'handover del 1997 (iniziata con lo straordinario Made in Hong Kong e proseguita da The Longest Summer).

 
Il noto autore hongkonghese pertanto si focalizza nuovamente sui possibili e inevitabili cambiamenti che comporta questa storica annessione il tutto filtrato dallo sguardo di un bimbo (pensiamo alla solenne cerimonia scolastica con la maestra che spiega ad i bimbi il significato della bandiera cinese) costretto suo malgrado a crescere velocemente tra i problematici e fatiscenti vicoli Mong Kok.
 
Chan rispolvera per l'ennesima volta il suo immancabile stile semi-documentarista portandoci tra le stradine affollate e piene di cartelloni pubblicitari e luci al neon di Mong Kok, proponendo un lucidissimo sguardo rivelatore sulle infinite contraddizioni della società hongkonghese alla vigilia del fatidico handover (più volte ricordato con didascalie dal sapore apocalittico).
 
Attraverso gli occhi del piccolo Cheung emergono tantissime tematiche spinose:
 
1) Lo sviluppo incombente del capitalismo, in un paese dove ormai il guadagno è tutto.
 
2) Lo sfruttamento verso le minoranze filippine (spesso badanti sottopagate e trattate come schiavi).
 
3) Il "problema" dell'immigrazione clandestina cinese dove troviamo poveri sventurati che scappano dalla fame delle campagne della Cina Mainlander per poi essere trattati ancora peggio dalla polizia hongkonhehse (la scena in cui fanno irruzione nel quartiere e costringono i bimbi a mettersi contro il muro e poi caricati sulle camionette è davvero dura).
 
4) Criminalità incombete (triadi) al punto che le sparatorie giornaliere sono solita routine (almeno così dicono i tg).
 
5) Un rapporto problematico con il padre: toccante e drammatica la scena in cui il bimbo viene punito dal padre e costretto di conseguenza a stare immobile e con i pantaloni calati, di fronte al loro negozio, sotto una piaggia incessante; il bimbo di tutta risposta canta a squarciagola una canzone triste e nichilista il tutto accompagnato da un'abbondante orinata.
 
I temi dunque sono tanti ma Fruit Chan riesce a gestire splendidamente il tutto inserendo altresì tanta ironia (pensiamo al gangster da quattro soldi che beve una sorta di limonata + arricchita dall'urina del piccolo Cheung) e diversi richiami/omaggi cinematografici locali.
 
Infine chiaro l'amore del regista verso la sua città; i bassifondi di Mong Kok sono davvero fetenti ma brulicano di vitalità e lo stesso quartiere stupisce per la sua conformazione e senso di collettività inoltre Hong Kong è molto altro ancora e lo ricordano con orgoglio i bimbi del film citando con entusiasmo Vittoria Peak, Central Square oppure l'immenso palazzo dove è situata la Bank of China.
 
PS Ottima la regia laddove la camera a spalla viene alternata o combinata sapientemente ad ulteriori soluzioni: campi medi, long take, camera fissa, slow motion comici o poetici oppure svariati movimenti descrittivi semi-circolari...
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