“L’impegno è ripartire il prima possibile, perché la cultura è il vero motore della ripresa”
Dario Franceschini, ministro della Cultura
“Come parla! Come parlaaa!! Le parole sono importantiiii!”
Nanni Moretti, regista

Se c’è una cosa profondamente sbagliata che ha fatto il governo di Mario Draghi al momento del suo insediamento è stato cambiare nome al Ministero affidato (nuovamente) a Dario Franceschini, che ha già dalla sua un record: è il politico che nella storia della Repubblica ha occupato più a lungo la poltrona di quello che si chiamava sino a ieri Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e che ora si chiama Ministero della Cultura. Tout court.
Chiamarlo Ministero per i beni culturali era più vero, più significativo e chiaro. Questa semplificazione invece (motivata in parte dallo scorporo del turismo, che ora ha un ministero a sé) è fasulla e complica enormemente le cose. Già perché cultura è una parola complicata.
Provate a fare come ho fatto io. Provate ad andare su Wikipedia (sì, amo Wikipedia, la sostengo e la cito). O su un dizionario autorevole. Vi renderete conto che cultura è una parola multiforme, a seconda di come la si guardi, con un’area semantica enorme. Ne diamo per scontato il significato, ma scontato non è.
In questi giorni si parla tanto della necessità che la cultura riparta. Come se la cultura fosse una cosa che si ferma. Come se la cultura - in tutte le sue mille accezioni - coincidesse con i luoghi dove, magari pagando un biglietto, è in mostra la cultura: i musei, i teatri, i cinema, Ecc.
Sono un baby boomer. Classe 1964. E mi sono spesso sentito fuori tempo, sfasato. Nel 1968 penso mi interessasse soprattutto la mamma. Negli anni 1970, quando esplodeva la cultura rock (passatemi la semplificazione) e il cinema della Nuova Hollywood dava il meglio di sé ero ancora un ragazzino e così quando ho iniziato a suonare la chitarra elettrica e ad amare il cinema un sacco di roba era già “passata”. Sono arrivato al liceo giusto in tempo per beccarmi il “riflusso” e gli esordi di MTV. Negli anni ’80 ero ancora troppo giovane per diventare un fotografo di moda o un pubblicitario e fare un sacco di soldi (si scherza, eh) nella Milano da bere. Mi sono rifugiato nella facoltà di Filosofia, che per definizione è un luogo per disadattati. Ho cominciato ad occuparmi di editoria proprio mentre le case editrici, grandi luoghi di cultura, passavano di mano e venivano occupate dai manager. Tutto quello che mi piaceva andava raffreddandosi, sempre. Forse l’unica cosa che ho vissuto in diretta, pionieristicamente, è stata la nascita di internet: e infatti per fortuna sono ancora qui, a occuparmi di questo sito che Luca e io abbiamo inventato nel 2002. Però questo riguarda solo la mancata coincidenza tra le mie personali aspirazioni e la mia altrettanto personale temporalità. Perché se fossi stato uno stilista gli anni Novanta sarebbero stati una benedizione, se fossi stato un informatico dal 2000 in poi ero a cavallo. E se avessi studiato virologia, sapete oggi che pacchia?!
E comunque la vediate anche la moda è cultura, come lo sono il web o la ricerca sull’intelligenza artificiale o la ricerca dei vaccini. Altroché.
C’è però questo modo di intendere “la cultura” come una cosa di cui siamo spettatori. Fruitori. È solo questo pensiero assurdo che ci fa pensare che la cultura sia ferma e debba ripartire. Ma questo è il pensiero di Dario Franceschini, che nel 2014, quando per la prima volta divenne ministro del MIBACT, ebbe a dire che si accingeva a guidare “un ministero dell’economia”, cioè un posto dove ci si occupa, in fondo, dei conti, di soldi. Ok, giusto…
Ora non è che io non sia solidale con artisti e musicisti, con attori e registi, con proprietari di cinema e di teatri. Lo sono, altroché se lo sono. Ma anche con ristoratori e bagnini, con negozianti e maestri di sci, allestitori di stand fieristici e con chissà chi altro. Sono solidale con tutti quelli che stanno perdendo soldi, che sono preoccupati per il loro futuro, che non sanno come fare per fare il loro lavoro. Dobbiamo occuparci di loro, di tutti. È possibile? Non lo so. Sono tempi duri, speciali.
Ma non confondiamo - per piacere - tutte queste questioni economiche (e vitali) con la cultura. Che quel ministero torni subito a chiamarsi con il suo nome - “beni e attività culturali” - e di quelle cose si occupi, giustamente, approfonditamente. Di beni, asset, da valorizzare e sostenere e di attività da aiutare e promuovere. La cultura invece è una cosa collettiva, sociale, multiforme e nessun ministero la può gestire, anche se può favorirla
La cultura è soprattutto una parola sociale, collettiva: possiamo farla vivere noi. Ora. Perché in questi tempi duri e speciali - come in tutti i tempi duri e speciali - ciò che è ostacolo può tramutarsi in organo, in strumento, in leva. In spinta.
Quindi, se anziché essere un attempato baby boomer del 1964 fossi un giovane teenager del 2004, quale tempo migliore di questo per farmi una cultura, utilizzando gli ostacoli che questi tempi duri ci mettono davanti, e capire quello che quelli prima di me hanno dimostrato di non aver capito? Per esempio che la salute pubblica è una cosa importante e che non va trascurata o lasciata in mano ai privati, ma organizzata, curata, foraggiata. E che i brevetti dei vaccini pagati coi soldi pubblici devono essere pubblici, proprietà collettiva. O per capire che siamo sempre più una cosa sola, senza confini, e che quindi tutti insieme dobbiamo ragionare, preoccupandoci dell’intero (che è poi anche l’ambiente, ovviamente). E che infine scegliere bene chi votare è importante, vitale. Perché poi, nei tempi speciali e duri (ma non solo), sono quelli che abbiamo votato che decidono per noi.
È cultura questa. Sarebbe questo ciò di mi occuperei se fossi il Ministro della Cultura.
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Analisi perfetta e profonda, totalmente condivisibile. Ma dubito che ci sia qualcuno che possa seriamente interessarsi del problema e risolverlo, con voto o senza voto.
Ragazzi noto uno scoramento e un pessimismo... Resistere e andare avanti. Sennò come si fa?
Difficile.. quasi impossibile non esserlo caro Bruno questo non significa però (almeno per quel che mi riguarda) arrendersi sconsolati all'evidenza: resistere (e oerchè no?) combattere con tutte le (poche) armi che abbiamo a disposizione.
Grazie, Bruno. La prima cosa che ho pensato quando ho saputo del Ministero della Cul...è stata "scendo in piazza" e non sarei stato solo. Poi, mi sono detto che certe proteste vanno organizzate e forse non è il momento. Una cosa, però, si può fare: scrivere. Denunciare un tizio che occupa un posto in un Ministero e non capisce che "somMinistrare" o "amMinistrare" la cultura è una pena per chi lo pensa e per chi fa certe scelte.
si "amministra" e si "somministra" in base ai pensieri ed ai gusti della società attuale che mi dispiace dirlo é messa molto maleo (o lo siamo noi forse??!!)....tutto cio che conta sono i profitti e come farli fruttare il più possibile, anche nel nostro amato settore: se questo significa che lo spettatore in streaming rende di più che al cinema a chi importa più ormai ?
Se il ministro (o i ministri) porta risultati economici postivi con qualsiasi mezzo o parola utilizzi non troverà granché di ostacoli per strada.
E' giusto continuare a combattere però utilizzando ognuno l'arma di cui si dispone.
"Noi pochi noi felici pochi".
Salutoni.
Non sono un esperto di film e, quindi, generalmente non riesco ad esprimere una valutazione articolata sulle nuove opere, motivo per cui non intervengo quasi mai. Però leggo sempre con interesse i ragionamenti o semplicemente le sensazioni espresse in questo blog. Anche questa volta mi è piaciuto molto quanto detto a fronte di Cultura vs Beni culturali. Non so perché ma mi è venuto in mente il libro di Carofiglio "La manomissione delle parole" e quanto ci siamo abituati a parlare a vanvera senza pensare al vero significato delle parole espresse nella nostra meravigliosa lingua. Ci stiamo imbarbarendo sempre di più e, purtroppo, non sembra che, a breve, ci possa essere un'inversione di tendenza. In ogni caso andate avanti così! Con affetto
Grazie! Vai avanti così anche tu, ma ricorda: non serve necessariamente essere "esperti" per poter dialogare qui.
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