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Il ministro alla cultura Franceschini ha detto che vuole riaprire cinema e teatri, vuole che l'Italia arrivi per prima a realizzare questo passaggio perché "le città italiane senza teatri e cinema e le piazze senza musica sono più tristi: così l’Italia non è l’Italia. Come è stata fatta un’eccezione per le librerie, inserite tra i primi servizi a riaprire per una evidente ragione culturale, spero si possa fare lo stesso ragionamento per i luoghi dello spettacolo".

Una dichiarazione importante, che è stata accompagnata da una ridda di plausi ad ampio raggio da quasi tutti gli esponenti dello spettro politico italiano. Una dichiarazione che però non ha ancora trovato spazio nell'agenda del nuovo presidente del consiglio Draghi. Vedremo.

La Spagna, dove io vivo, non fa parte di quei paesi in cui le sale cinematografiche sono chiuse a livello nazionale, sebbene i numeri di contagiati siano ancora alti e sebbene la seconda ondata sia stata molto aggressiva anche qui, il governo centrale di Pedro Sanchez ha deciso di lasciare, su determinati temi, alcune libertà di azione alle singole regioni. Qui, alle Isole Baleari, ad esempio, teoricamente i cinema sono aperti. Non perché il contagio sia sotto controllo ma perché quando è arrivata la seconda ondata del Covid, il governo delle Baleari ha gradualmente chiuso tantissime attività - centri commerciali, bar e ristoranti ad esempio sono chiusi da mesi - ma ha permesso che cinema e teatri rimanessero aperti, sempre nel rispetto di rigide misure di sicurezza.

Molte domande hanno iniziato ad affastellarsi nella mia mente. Quali cinema hanno scelto di restare aperti? Cosa hanno programmato in assenza di rilasci di nuovi film a livello globale o perlomeno europeo? Ma soprattutto: il pubblico come si è comportato? Perché anche qui, come ovunque, i media non parlano d'altro che di numeri, di economia disastrata, di disoccupazione, dell'industria del turismo che non vede più la luce. Quindi, mi chiedo, con questo umore generale c'è qualcuno che ha avuto voglia di andare al cinema? E a vedere cosa?

Sulle 8 sale presenti in città solo 2 sembrano in vita in questo tiepido martedì di fine inverno. Uno di questi, il CineCiutat, mi colpisce per la programmazione. C'è persino una rassegna dedicata a Wong Kar-Wai. È chiaro che questi elementi non sono abbastanza per rispondere a tutte le domande che mi frullano in testa. Allora faccio una cosa da reporter. Io che tendenzialmente mi rifugio nel pensiero, mi metto in movimento: prendo la macchina, vado al cinema e chiedo se posso parlare con qualcuno che si occupa della programmazione della sala. Alle 19 di quello stesso giorno mi siedo su una panchina vicino alla cassa del cinema con Javi, il gestore del CineCiutat. Ecco qui la nostra conversazione. Anzi no, non è vero. Questa non è la nostra conversazione reale, sarebbe impossibile riportarla in maniera fedele. Javi mi aveva avvisato, guarda che io quando parlo sono come un fiume in piena, se hai domande precise e vedi che prendo il volo, riportami a terra.
Chi io? In terra? No, grazie, io mi trovo meglio tra le nuvole. Quindi questa è la razionalizzazione della nostra conversazione, organizzata a posteriori. Javi mi scuserà.

Che bello, un cinema aperto. Da quando?
(Javi mi guarda, sopra la mascherina due penetranti occhi azzurri si illuminano.)
Siamo aperti da metà luglio 2020, non abbiamo chiuso neanche un giorno. Abbiamo programmato tra i 6 e i 7 film quotidiani.

Sì, ma i film? Che film avete programmato?
Il cinema non manca mai, mancano i blockbuster, mancano i film che hanno bisogno di lanci a livello sovranazionale, europeo, globale. Mancano i titoli trainanti, quelli che portano al cinema anche gli spettatori meno fedeli, quelli che si muovono per i nomi, per gli eventi. Ma noi lavoriamo soprattutto con distribuzioni indipendenti che non hanno mai smesso di fare acquisizioni molto interessanti, in linea con le nostre scelte.

Il CineCiutat programma solo cinema d'autore?
No, non solo, nella nostra storia abbiamo messo in programmazione anche film di ampio richiamo, cerchiamo sempre di offrire un ventaglio ricco di proposte - abbiamo programmato anche Tenet, ovviamente in lingua originale, per soddisfare la comunità di stranieri residenti - ma sempre nel rispetto della nostra linea, della nostra visione. E se c'è una cosa che ci ha permesso di restare aperti è stata questa linea, che è diventata nel tempo una relazione di fiducia che abbiamo costruito con il pubblico.

Quindi i titoli trainanti mancano anche a voi...
I film trainanti, gli eventi, mancano a tutti, mancano anche a me da spettatore. Io certi film li vado a vedere sullo schermo Imax, con l'audio Dolby Atmos... L'industria cinema ha bisogno dei titoli da sfondamento, ha bisogno dei grandi incassi, non solo per una semplice questione economica, ma anche perché senza il box office mancano gli spunti settimanali, quelli che servono anche per far arrivare il cinema nelle zone alte delle notizie, quelli che servono per abbattere la barriera, il muro di paura che cristallizza i media e che si traduce, soprattutto in questa situazione, nel consolidare l'abitudine di consumare i film in casa.

Il cinema ha ancora possibilità di giocare la partita con le piattaforme?

Noi abbiamo approfittato di questo periodo anche per compiere degli esperimenti, abbiamo imparato ad esempio che abbiamo avuto più possibilità di altre sale - che fanno parte di circuiti importanti e che sono legati solo ed esclusivamente ad un certo tipo di cinema - di restare in vita, di sopravvivere. La nostra strada è quella della cura, dell'attenzione verso la scelta, della costruzione di una identità, abbiamo fatto rassegne e cicli e hanno funzionato. Queste sono le cose che piattaforme come Netflix e Prime Video non fanno e non le fanno neanche i grandi circuiti cinematografici. Le piattaforme possono fornire risposte a molte domande, ma le sale possono dare le risposte giuste. E lo dico da utilizzatore, anche io sono uno che si scontra tutti i giorni con una grande verità: lo show più visto su Netflix è... la sua pagina iniziale.

Allora la cura è... la cura?

Si, la strada che vogliamo percorrere è la curatela, dobbiamo alimentare la sensazione che allo spettatore venga proposta una scelta, che non programmiamo qualsiasi cosa, che se un film sta sul nostro schermo è perché è inquadrato in un disegno, in una linea ed è qualcosa che può andare al di là del semplice binomio piace/non piace. Non solo. Noi abbiamo accordi sia con Netflix che con FilmIn (una piattaforma spagnola con un marcato carattere autoriale). Abbiamo programmato Roma di Alfonso Cuarón, Mank di David Fincher, Notizie dal mondo di Paul Greengrass e molti altri. E il pubblico gradisce, certi film li viene a vedere in sala, non solo su Netflix, perché noi scegliamo i film che meritano la visione collettiva e lo schermo grande. E il nostro pubblico lo sa. Forse il mondo sarà sempre più digitale, ma non binomio. C'è spazio!

Spostiamo lo sguardo, stiamo parlando ininterrottamente da 45 minuti. Spostiamo lo sguardo verso le casse del cinema, ci saranno una trentina di persone che stanno aspettando di comprare il loro biglietto (posizionati ad un metro e mezzo l'uno dall'altro fanno una bella coda di una quarantina di metri) altri si incamminano verso le sale. Mi guarda, è contento, e dice "Questo è merito del ciclo di Wong Kar-Wai, è stato un esperimento, ma si sta dimostrando una delle cose sulle quali sentiamo di voler puntare per il futuro. Se sopravviviamo, sarà bellissimo. Se sopravviviamo, il nostro mestiere potrebbe essere anche più interessante di prima"

Quel "se" regge tutto, certo. Ma il concetto di cura o curatela è presente anche in un altro intervento di cui si è molto parlato in queste ultime due settimane: quello di Martin Scorsese che è stato ripreso da diversi giornali e che sta circolando sui social. Un vero colpo da maestro, un contributo che si posiziona tra un saggio e una sceneggiatura, che parla al cuore e al cervello di tutti gli appassionati di cinema, senza distinzioni di età. Un articolo che, insieme a tante altre cose di grande valore, stigmatizza perfettamente sia la dittatura del cinema trattato come mero contenuto, ossia come riempitivo di contenitori, sia quella degli algoritmi che riducono tutti gli spettatori a semplici consumatori. E anche lui getta un'ancora di salvezza verso la sala: la scelta, la selezione, la linea, la cura che poi alla fine altro non sono se non pure manifestazioni d'amore. Se non lo avete ancora letto, è un articolo che merita la vostra attenzione.

Qui sotto trovate sia il link alla versione originale in inglese che quello alla versione tradotta in italiano. E sempre qui, nei commenti, potete lasciare un saluto al nostro nuovo amico Javi, o condividere questo testo con la vostra sala favorita per fargli sapere che non bisogna mollare. Ma potete anche semplicemente lasciare una traccia del vostro passaggio: perché, mentre aspettiamo che il governo Draghi ci dia un segno, il vostro segno di sopravvivenza è già un ottimo punto di (ri)partenza.

 

https://coolturama.org/2021/02/18/martin-scorsese-fellini-traduzione-streaming-harper-magazine-il-maestro/

 

https://harpers.org/archive/2021/03/il-maestro-federico-fellini-martin-scorsese/

 

 

 

 

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