"Io non dico chi sono, mi giudichino gli altri. Sono brava, pasticciona, una che non si stanca mai di pensare alle cose, una che ha avuto il senso delle immagini. Cosa posso certificare di me stessa? Sono nata il 31 luglio del 1927 e ancora campo. Ecco tutto"
Barletti e Conte nel 2013 scrissero “Non c'era nessuna signora a quel tavolo", un racconto dell'Italia che non c'è più attraverso gli occhi di Cecilia Mangini, un documentario che è la storia di questa donna, documentarista, fotografa, intellettuale che ha raccontato con i suoi film trent'anni di storia del nostro paese.
Allora ottantacinquenne, era ancora giovane e vitale, come è stata fino al suo ultimo giorno, il 21 gennaio c.m., vittima anche lei nell’ultimo anno delle strettoie imposte dal Covid che l’hanno relegata fra quattro mura e un corridoio.
Ma in uno scaffale di quel corridoio, potenza del caso che su tutto impera, dentro un armadio a muro (immaginiamo) vecchie scatole dimenticate di scarpe hanno rivelato contenuti fantastici: bobine, appunti e ricordi vari portati dal Vietnam!
Cosa meglio di un lockdown per fare certe scoperte?
Due scatole dimenticate - Viaggio in Vietnam (2020), fotografie fatte nella campagna condivisa col marito Lino Del Fra in Vietnam in guerra con gli Usa, tre mesi tra '65 e '66.
Una vita intensa come la sua, sconfitta non dalla vecchiaia (ancora nel 2020 girava documentari) ma dalla surreale imposizione di confini che ha dato a questo pianeta la forma di un grande ghetto, dove le profezie di Orwell si sono avverate tutte, continua a dare forma ad una energia che l’ha guidata per tutta la vita e a noi ha lasciato grande eredità d’affetti.
Cecilia è volata via col suo bel nome musicale, i suoi occhi che tanto hanno visto, la sua faccia ironica e gentile.
Una donna a capotavola.
Quante volte tocca pensare: “Ma non c’è neppure una donna!”.
O, al meglio, un quoticina rosa e non a capotavola.
Anni Cinquanta? No, oggi.
Cecilia Mangini, un nome che, se chiediamo in giro , molti non conoscono.
Ma Pasolini sì, Miccichè pure, e Moravia, e Pavese ecc.ecc., a non finire.
Ci vuole coraggio a essere donna e sedersi a quel tavolo!
Cecilia preferì viaggiare, e quello che scrisse sul Vietnam è memorabile, quello che fotografò sconvolgente.
‘Cinema militante‘, il suo, un aggettivo che “oggi sembra quasi una parolaccia“ diceva.
Eppure, solo qualche decennio fa, mostrare le periferie desolate e rapinate da orde di palazzinari, masse di emarginati rigettati sempre più ai margini, la cultura contadina calpestata da un consumismo ottuso, erano argomenti di sicura centralità, non fu solo Pasolini a occuparsene.
Ma Cecilia era donna, doveva lavorare due volte per farcela, come quella volta(1965) che il Ministero del Turismo e dello Spettacolo escluse dalla programmazione in sala un’inchiesta, “Essere donne”, che la Rai le aveva commissionato sull’essere operaie in fabbrica.
Cecilia sapeva bene come sarebbe andata.
Quando nel 1962 girò “All’armi siam fascisti!” con Del Fra e Micciché, una riflessione sul regime di Mussolini, che, insieme al commento di Franco Fortini, per la prima volta disse cose mai dette prima a un’Italia che si credeva democratica, colpì al cuore le illusioni di tutti.
Erano anni difficili, quelli,
“C’era la volontà di essere partigiano all’estremo, cioè dire chiaramente allo spettatore: io ti racconto questo da questo punto di vista con questa precisa intenzione di documentarti qualcosa che non ti deve lasciare tranquillo”.
Così ricorda Cecilia Mangini in una delle tante interviste che corredano il docu-film su Miccichè.
Bisognava essere schierati, in quei decenni prima che la Milano da bere ingoiasse tutti, puntare forti i piedi contro rimozioni e comode pacificazioni postume, il Fascismo, soprattutto le sue origini, le dinamiche sociali, economiche e politiche che sempre lo supportano e alimentano, andava spiegato, raccontato, svelato, soprattutto ai giovani, “… c’era la tendenza a pensarlo – dice Marco Bellocchio - come qualcosa di appartenente al passato remoto”.
Affidata ai tre cineasti dalla direzione dell’Avanti in quegli anni memorabili per l’Italia del dopoguerra, alle soglie del boom economico, quando era in carica il governo Tambroni, salito al potere con l’appoggio esterno del Movimento Sociale, quel grande momento del cinema d’ inchiesta e riflessione storica è tornato in auge nel 2013, nella memoria di Francesco Miccichè, cineasta che costruiva intorno al ricordo del padre Lino, morto dieci anni prima, un racconto denso, di chiarezza cristallina, una di quelle rare biografie che dell’uomo rivelano la sostanza più autentica con il vigore della sintesi e l’amorevole attenzione dell’affetto filiale.
//www.filmtv.it/film/22999/all-armi-siam-fascisti/recensioni/892385/#rfr:film-22999
Fra questi uomini spicca Cecilia, una donna fin da allora sulle barricate, e non è solo una metafora, bisognava corazzarsi bene per non essere rigettate giù, fra pentole e bigodini.
Oggi Cecilia ci ha lasciato, il suo posto a tavola non sia occupato da un uomo!
www.paoladigiuseppe.it
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