Arrivo oggi, ultimo e non necessariamente buono, a parlare del documentario SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano, visibile (e pare molto visto) su Netflix, dove si trova dal 30 dicembre scorso. Come probabilmente sapete si tratta di una docu-serie che riprende la storia della comunità di San Patrignano, fondata alla fine degli anni ’70 da Vincenzo Muccioli, ancor oggi attiva nel recupero dalle tossicodipendenze e al centro di un grande dibattito mediatico e processuale lungo tutti gli anni ’80.
Non mi interessa qui parlare di quello che è diventato l’argomento principale sui media - e cioè se la serie sia o meno imparziale nel raccontare i fatti di quegli anni e la figura di Muccioli: a me sembra, ma lo dico puramente a titolo informativo, che l’obiettivo della neutralità sia stato mediamente rispettato e che entrambi gli schieramenti, colpevolisti e innocentisti, abbiano modo di trovare nelle sei puntate spunti a loro sostegno.
Quello che mi interessa sono invece due altri aspetti.
Il primo è la risonanza mediatica. Certo il tema era evidentemente ancora sentito, seppur sepolto sotto la cenere, e l’attualità non cessa di sorprendere (vedi alla voce Letizia Moratti, che nel documentario appare spesso e che da pochi giorni è stata scelta per mettere una pezza sulla vistosa e terribile pochezza dell’assessore regionale Gallera e della giunta della Regione Lombardia tutta). Il fatto è che però ci stiamo abituando alla visione a-sincrona dello streaming: prima d’ora una simile eco veniva riservata a qualcosa che veniva trasmesso in televisione o che passava al cinema. Vedere come ora tanta attenzione nel dibattito pubblico sia riservata a qualcosa che va semplicemente in streaming (per di più su una sola piattaforma a pagamento e pertanto non alla portata di tutti) è oggettivamente una vittoria dello streaming stesso. Sin qui - con dovute eccezioni (tipo l’ultima stagione di Games of Thrones, per dirne una) - ciò che andava in streaming era in qualche modo un fatto privato dello spettatore: una visione domestica, solitaria, che difficilmente trovava riscontro e dibattito se non in cerchie ristrette. Ora vediamo come anche l’uscita di opere in streaming torni a occupare posizioni importanti nella piazza. Certo, ci sono di mezzo la pandemia e il terremoto che essa ha portato con sé, ma credo che questo fatto - la possibilità per opere diffuse in rete di guadagnare la scena - segni uno spartiacque. Non so se questa sia una buona o una cattiva notizia: forse entrambe. Da una parte testimonia di come una visione possa essere ancora per la comunità un fatto pubblico, condiviso, capace di generare dibattito e cultura, dall’altra non depone a favore di un ritorno alla centralità delle sale (quando tutto sarà andato bene).
L’altro tema che mi ha colpito è come sia stata poco messo in risalto una lettura anche simbolica degli eventi raffigurati: il loro trascendere la pura dimensione della ricostruzione della cronaca, per aprirsi a letture altre e possibili. La serie, per chi non l’avesse vista, è molto, molto scritta. Non è un semplice documentario, nasce da una sceneggiatura che tratta i vari personaggi (insieme ai fatti in cui sono coinvolti) alla stregua di personaggi di fiction, cercando per ognuno di essi una curva narrativa. Non è una novità: anzi, direi che l’operazione che è stata fatta con SanPa, da un punto di vista filmico, sia una semplice scopiazzatura di un trend già in voga. Il riferimento più esplicito, per comunione anche di situazioni, è Wild Wild Country, il documentario sempre targato Netflix sui fatti che videro coinvolta la comunità istituita da Osho in Oregon, più o meno negli stessi anni in cui nasceva San Patrignano. In qualche modo però anche lo stupefacente Tiger King, diverso per tematiche e tempistiche (è stato infatti realizzato praticamente in diretta rispetto ai fatti narrati), segue lo stesso percorso di drammatizzazione, anche utilizzando spesso lo stesso linguaggio visuale (come le inquadrature in ralenti sui personaggi presi nella loro quotidianità). Stupisce un po’ quindi questo plauso al taglio di SanPa, che non mi sembra abbia inventato alcunché: francamente fosse durato 4 episodi anziché 6 secondo me sarebbe stato meglio.
Ma è con Wild Wild Country che l’assonanza si fa davvero fortissima (secondo me ispiratrice). In entrambi i casi abbiamo una comunità governata da un padre che ambisce a essere padrino, ma che finisce poi per rivelarsi patrigno (in nomen omen) e anche padrone. In entrambi i casi la situazione sfugge al controllo: si arriva agli abusi, alla violenza. La figura carismatica, riverberata nei comportamenti dei figli curati/fedeli/trasformati, diventa violenza, prevaricazione. Il messaggio di cura e amore perde il suo slancio, diventa legge e coercizione. Un’altra parola con la p emerge: potere. Non è un caso: padre e potere, father and power, hanno forse una radice comune?
Cosa vi ricorda tutto ciò? Qualcosa risuona?
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