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Buon Natale col FANTASMA EVANGELICO PENTECOSTALE, un mio mediotraggio: spero che possa essere di vostro gradimento
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Henry Travers, James Stewart

La vita è meravigliosa (1946): Henry Travers, James Stewart

Orson Welles

Quarto potere (1941): Orson Welles

 

Nelle intenzioni originali, il mediometraggio doveva intitolarsi così. A seguire il testo da me stesso scritto e ovviamente recitato:

Il fantasma evangelico pentecostale di Ca’ Bianca

Durante il cammino liturgico di un autunno ammantato di abbacinante candore, di soave torpore illanguidito nella bellezza rinata d’un restaurato cuore nuovamente armonioso, alle pendici d’una degradata periferia fatiscente, una risorgimentale rinascenza letiziosa illuminò di fulgore un’anima forgiatasi nella più rocciosa, pietrificante e mortificante tenebra sigillante il suo eclissato amore, una cupa anima anneritasi nella precoce decadenza d’una triste senescenza marmorea.

Nel bel mezzo d’un mattino in fiore, come per magia, tal anima deturpatasi e oscuratasi, spentasi nel suo primigenio ed originario, più fresco, dolce, senziente ed umano sapore, si ridestò immantinente, destando negli uomini forte ed allucinante preoccupazione.

Anima scomparsa, l’anima d’un fantasma, d’uno strano ectoplasma bizzarramente defunto, risorto dal buio esistenziale della sua nerissima tetraggine oggi rinnovatasi nella venustà evangelica del Cristo e di suo Padre che generò il Creato, rimodellandosi a immagine e somiglianza del suo destino nuovamente statuario e splendidamente ammodernato.

Incantevolmente, ancora resuscitato.

 

Chapter 1

La Pentecoste

Madre de’ Santi, immagine

Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;

Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?

E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;

Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?

In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì

 

Rinasci vita mia dimenticata, rinasci, vita mia smarrita, rinasci, anima adombratasi ed arrabbiatasi, adontatasi in tante crepuscolari, buie ansietà malate, rinasci, amore perpetuo del mio cuore selvaggio ancora scalpitante e d’estasi affamato.

Riscoccano le fiamme del mio amore obnubilato, screpolatosi nell’infame e turpe peccato, amore che, incenerito da molto lacrimoso dolore, oggi sorride dirimpetto al suo fato meschino ed infausto.

Fatalmente, oggi la mia vita è miracolosamente riesplosa nel battito cardiaco della mia beltà rinnovatasi.

Tetri e pigri esseri asservitivi al malessere. Sprofondati nei giacigli silenti di bare omertose. Foste intimiditi da una realtà sovrana e fosca che legiferò sopra di voi ed amputò le vostre viscere, scuoiando progressivamente le arterie vitali, occludendo il libero flusso sanguigno emozionale dei vostri slanci più euforici.

E, nella recrudescenza d’un torpore indottovi da un ingannevole dolore perpetratovi a vostra succuba sottomissione, poltriste nella cenere di sogni vostri perduti, sul nascere già estinti.

Modellandovi a cere fantasmatiche e passeggiando soltanto zampettando da zombi ermeticamente asfissiati nell’antro dei vostri assopiti, giammai riesumati meandri.

Patendo l’inferno dell’incorporarvi a un credo assai falso.

Prostrati in adorazione del peccato. Partorito da un dio creato a immagine e somiglianza delle vostre perpetue viltà addolcite nel consolatorio buonismo di massa assai ruffiano.

Marciando, oh sì, marcescenti, educati alla senescenza, figli d’una mostruosa scienza che vi plagiò a creato del deformarvi, distorcendo le vostre anime e reprimendole pian piano orribilmente, spegnendole lentamente.

Da tempo, anzi dalla nascita, la mia casa è attorniata da un parchetto che d’estate rifiorisce di variopinti alberi che si stagliano alti nella prominenza del mio svettare di nuovo armonico in tale mondo distorto. Io stesso, infatti, durante l’inverno m’innevo nel gelo dei miei pensieri imbrunitisi nell’autunno del mio crepuscolo freddo, patendo lo strazio del mio intirizzito intorpidirmi nel buio silente di mezzanotti illuminate dalla fluorescenza solamente del mio brindare, nella mia anima solitaria, allegramente di emozioni colorate nell’appaiato ed appartato mio essere… dannatamente senziente.

Ramificato in eterni, esistenziali tormenti strazianti, soffro il tempo infinito del mio incupirmi nella rifrangenza emotivamente perturbante di sensazioni umorali assai ondivaghe. Oscillanti fra la più innocente, linda melanconia e stati alterati della mia coscienza innervata, anzi innevata, oh sì, nella più afflittiva vita mai davvero nata.

Marinaio delle mie emozioni grandiose come un oceano in burrasca, passeggio placidamente nei meandri ventricolari del mio cuore affetto da tachicardia passionale che, in tali frangenti, piange in silenzio e nella mia cupa intimità la vastità del mio cuore deprivato d’ogni solare e viva speranza mordace. Scevra d’ogni slanciata, spontanea vitalità verace.

Rinnalzandosi poi in primavera con potenza fieramente risorta nell’abbacinare il mio stesso cuore appannatosi nell’apparente decadenza mia perversamente mortale ed ambiguamente morale.

Io, tenebra vivente, tenerezza sussultante della mia esistenza ancor indomita.

E, in tale parco poco distante dalla mia abitazione misteriosa, alla fine del suo lungo viale alberato, è intagliata nel cielo la guglia di una casa, forse maledetta, da sempre disabitata.

Una spettrale villa che emana fortissimi sentimenti di pura paura. E, da tempo immemorabile, mi spaventa in modo lancinante ed abissale.

Nell’aurora dei miei ritrovati bagliori, ausculto la levità del mio giammai morto, strano cuore.

Movimenti traballanti, oscillanti del mio cuore arenatosi od ibernatosi nello scosceso saliscendi d’emozioni instabili che, alla pari di una soggettiva turbinosa di camera a mano smossa dal vento dei miei polmoni strozzatisi nel brutto tempo dei miei innumerevoli, strangolanti turbamenti perfino accidiosi, ondeggiò frastornando lo spettatore di me stesso, impassibile sognatore confuso in questo mondo di vagabondi sbattuti qui alla rinfusa.

Uomo io nervoso, nevoso e or iroso, ancora morbidamente caloroso malgrado i travagliati miei trascorsi morbosi. Circumnavigo la vita e la costeggio, serpeggiando languidamente nel terremoto ondoso delle mie emozioni arrugginitesi e ancora farraginose, forse solamente illuminate da un sole focoso che s’oscurò nelle lunari mie opalescenze allucinatesi nel tetro o forse cupo mio sparire ignoto, le colpe altrui espiando nel mio perdonare chicchessia con giullaresca clemenza e sana pietà offerta a chi ancora, imperdonabilmente, mi apparirà odioso, dunque giustamente gli preferirò essere scontroso.

Applauso, ah ah. E che sia come dico io, non so se dio, sc(r)osciante. La donna, in prima fila, mi attizzza poiché applaude in modo scosciato. Ah ah.

 

Kurt Russell, Goldie Hawn

Qualcuno salvi il Natale 2 (2020): Kurt Russell, Goldie Hawn

 

 

di Stefano Falotico

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