In questi giorni a riempire le pagine dei giornali, insieme alle elezioni americane, è la controversia tra Regioni e Stato riguardo il nuovo dpcm e la suddivisione in fasce dell’Italia. Ad oggi, Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Calabria sono le quattro regioni rosse a cui si applicano misure più stringenti. Ad essere visionato, letto, scaricato, trasmesso di mail in mail è l’Allegato 23 del dpcm in cui sono indicate tutte le attività che possono rimanere aperte. Sono le cosiddette “attività essenziali” tra cui, oltre alle scontate attività che interessano i prodotti alimentari, carburanti, articoli igienico-sanitari, computer ecc. spicca il commercio al dettaglio di libri. Quest’ultima è una notizia che fa piacere: i libri vengono finalmente visti come un servizio essenziale dell’individuo, un modo per conoscere, un mezzo per ragionare e utilizzare il tempo libero in maniera impegnata e costruttiva.
Al piacere di questa bella notizia di apertura si sono susseguite, però, tutta una serie di domande e perplessità che provo a sintetizzare in questo post.
Partiamo da una premessa. Non c’è dubbio che la scelta del Legislatore fosse autentica e buona, vale a dire quella di dare un’apertura psicologica e porre maggiore attenzione alla cultura che, tra emergenza sanitaria ed economica, è stata completamente accantonata in un angolo e abbandonata. Così facendo, però, già solo alla prima veloce lettura dell’allegato 23 mi sono iniziate a sorgere confusioni e tre grandi dubbi: “Cos’è cultura?”, “Chi definisce cos’è cultura?”, “C’è una cultura più meritevole di un’altra?”.
Infatti, nell’elenco delle attività aperte non sono contemplate quelle che riguardano il commercio di film, dvd, e non sono contemplate le attività che sono rivolte alla vendita di musica, di dischi. Proprio su quest’ultimo punto, Enzo Mazza su “La Stampa” di qualche giorno fa afferma che “tenere aperte le librerie è una decisone importante perché la cultura è un elemento fondamentale della vita sociale, ma allora perché, per esempio, non tenere aperti i negozi di dischi che, nel primo durissimo lock down, hanno sostenuto gli italiani e li hanno confortati con i loro famosi concerti online e i cori dai terrazzi delle città italiane?”.
E allora mi sono messo a riflettere. Se digitiamo “cultura” sul motore di ricerca Google, ci appare questa definizione: “Quanto concorre alla formazione dell'individuo sul piano intellettuale e morale e all'acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società; il patrimonio delle cognizioni e delle esperienze acquisite tramite lo studio, ai fini di una specifica preparazione in uno o più campi del sapere”. E da qui la mia grande paura: non è che esiste una cultura di serie A (più tutelata) e una cultura di serie B (importante sì, ma di cui si può fare anche a meno)? Perché se così fosse è profondamente sbagliato. Nel tempo, si è visto come certe canzoni trasmettano più poesia e raccontano meglio la società rispetto a tante poesie e romanzi stessi (pensiamo alle canzoni di Bruce Springsteen, o alle canzoni poesia di Fabrizio De Andrè), oppure, pensiamo a quando, nel 2016, il cantautore Bob Dylan si è aggiudicato il premio nobel per la letteratura.
Oltre alla musica, il nostro amato cinema. Se consideriamo appunto la cultura come quel mezzo che concorre alla formazione dell’individuo sul piano morale e intellettuale, cosa può esserci meglio di una pellicola in tal senso? È risaputo che molti temi, molti fenomeni sociali o storici, possano essere trasmessi con più successo ai ragazzi con un film, rispetto a fiumi di parole. Pensiamo ai film sul bullismo che sono il miglior strumento per far capire al bullo stesso cosa si prova ad essere bullizzati, pensiamo ai film sulla prostituzione, pensiamo ai film sul lavoro o che hanno rappresentato un fenomeno storico che, da capire solamente sui libri poteva risultare difficile (per spiegare il “taylorismo” o lo “stacanovismo” cosa meglio di un film quale “Tempi moderni”, diventato un vero e proprio manuale). Ma ancora, i film documentari riguardo la vita nelle carceri, oppure concetti sociologici quali l’apprendimento di un comportamento criminale, la giustificazione di un comportamento illegale (pensiamo in questo caso a film quali “liberi di scegliere”, “Posh”), che, ripeto, trasmettono e rendono meglio l’idea rispetto a lunghe e noiose spiegazioni teoriche.
D’altronde si sa, (e arriviamo all’ultima domanda che mi ero posto all’inizio “chi definisce cos’è cultura”?) è il Legislatore di ogni singolo Stato che, a livello generale, definisce periodicamente cos’è o cosa non è ammesso, cosa è concesso o di cosa possiamo fare anche a meno. Pensiamo a certi comportamenti che, magari ammessi un tempo ora non lo sono più, o viceversa. Non esistono comportamenti o atti giusti o sbagliati. Cosa è giusto o sbagliato varia da Stato e Stato e di anno in anno.
Questa regola generale vale anche per la cultura. Anche se in modo innocente, involontariamente, in questi giorni si è effettuata una classificazione tra cosa è cultura che deve essere tutelata e tra cultura che, momentaneamente, può anche attendere. Se oggi, per esempio, in zona rossa, volessi comprare un libro posso farlo, ma non posso comprare un cd di musica. (In)volontariamente si è fatta una scelta e, di conseguenza, una classificazione in ordine di importanza.
Arte, cinema, musica e teatro sono stati posti in secondo piano. I bambini fino alla prima media possono andare a scuola in presenza ma non possono (anche se di numero inferiore rispetto all’aula scolastica) partecipare ad una lezione in una scuola di teatro o di danza.
Possono sembrare sottigliezze, ma per persone come me, che credono e hanno come punto di riferimento un principio di uguaglianza (trattare allo stesso modo situazioni analoghe) questa scelta di preferire un certo tipo di cultura ad un altro mi stride e mi disorienta.
Come detto all’inizio, sono contento della scelta di provare fino all’ultimo a lasciare aperta la finestra della cultura dei libri e della scuola (così come ha anche sostenuto l’OMS), ma se si è scelto di percorrere questa strada non si possono lasciare indietro altre forme di cultura come il cinema o la musica, perché altimenti a quanto affermava Cicerone (“tutti siamo servi della legge per essere liberi”) si potrebbe aggiungere la frase “qualcuno di più, qualcuno di meno”.
Perché è dalla definizione stessa di cultura che capiamo che non esiste una cultura di serie A e una cultura di serie B. Come diceva il filosofo e scrittore Albert Camus (premio nobel per la letteratura nel 1957) “Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro”.
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