E
Ce la ricorderemo come la Venezia del Coronavirus: la mascherina indossata con la stessa naturalezza con cui ci si metterebbero degli occhiali; gli erogatori di soluzione alcolica per le mani a ogni pie’ sospinto; le maschere – questa volta quelle delle sale – che si aggirano fra i posti come veloci raptor affamati per controllare, com’è giusto che sia, che la mascherina sia sul viso di tutti e copra anche il naso. L’ingresso in sala va prenotato, le tempistiche di prenotazione ricalcano le gerarchie colorate delle file di accreditati; il tracing comporta che è sbagliato provare a cambiare posto in sala, rispetto a quello segnato dalla prenotazione, e comunque tutti i posti su cui non ci si può sedere sono inciturati e bloccati, non esistono congiunti in questi cinema.
In realtà, onestamente, è l’atmosfera di sempre. Il weekend centrale ha fatto il pienone anche senza il Joker di turno, e negli ultimi giorni tutto il village si è, come al solito, svuotato. L’aria che si respira, oltre il paramuso chirurgico, è quasi quella di sempre: i controlli degli zaini c’erano già prima, la sala stampa è sempre la stessa – fatti salvi i computer della Biennale che per ovvie ragioni non sono stati messi nelle varie postazioni – e le sale non hanno cambiato configurazione e organizzazione. Esattamente come non ha cambiato configurazione la comunità di giornalismo cinematografico e dello spettacolo, che se può urlare la sua opinione per farsi sentire lo fa senza timore. È il loro lavoro, mi sa. Ci sono ovviamente anche molti appassionati e amatori – me compreso – e anche la configurazione di quelli non è cambiata: innocentemente ci sediamo accanto a chi lavora, in proiezioni che sembrano ancora più di lavoro con le distanze e tutto, e ci facciamo le nostre liste e le nostre opinioni nel solito ordinario gioco di chi ha più ragione e di chi ha più torto, che finché è un gioco va bene ma quando determina il giudizio dell’altro comincia ad avvilire. Anche noi non ci facciamo scrupoli a urlare la nostra opinione, a infiltrarci nelle sale come giovani nerd assetati del prossimo regista dell’Azerbaijan pronto a sconvolgerci con le sue lunghissime attese in vastissime lande (qui c’è autoironia: è il mio preferito del concorso). Insomma è tutta l’umanità solita del festival di Venezia anche dietro le mascherine, la si odia o la si ama, o la si vive nel bene o nel male.
Vengo a Venezia dal 2014, forse sono cresciuto dopo 7 anni, e forse urlo la mia opinione un po’ meno di prima. Ma quel brivido bellissimo c’è sempre: la sala, il paesaggio, i palazzi, il mare vicino, quelle singole fastidiose giornate di pioggia e poi per il resto e per lo più il sole spaccapietre. E la voglia genuina di guardare film da aggiungere alla collezione dell’esperienza. Perché in mezzo alla folla ci saranno le belle eccezioni delle persone con cui parlare e da ascoltare, con cui il confronto è costruttivo e con cui non viene voglia di arrabbiarsi. Il mondo dell’opinione e del gusto è una bestia a quattro teste, come qualsiasi mondo in cui si debba esibire la propria conoscenza. Ma a trovare la persona con cui essere d’accordo o in disaccordo e con cui condividere un’abbuffata come quella che ogni anno promette Venezia continua ad essere bellissimo ed è ormai una tappa obbligata del mio anno cinefilo.
E così l’apertura del festival è il Capodanno del mio anno di Cinema: quest’anno Lacci di Daniele Luchetti, poiché ho perso la preapertura affidata al Molecole di Andrea Segre. Da lì è una media di 5 o 6 film al giorno, con pause più sostanziose del solito perché il bello quest’anno è che le file non si fanno e i posti prenotati sono assicurati. E quindi giù di spritz e di chiacchierate sull’erba, tra le passeggiate a debita distanza e le musiche della sigla di Mattotti che arrivano dalle sale più esposte (la Giardino e, dentro il palazzo, Casinò e Volpi). Si può entrare anche all’ultimo minuto, e serenamente guardare il film.
Quest’anno ho visto più di 50 film, e non è facile nascondere che il concorso sia stato all’insegna della mediocrità, al più della medietà. Più sorprese dalle altre sezioni – più del solito, anche – e da un fuori concorso stranutrito, che vantava il capolavoro sommo di Frederick Wiseman City Hall, il conturbante crudele melodramma di Ann Hui Love After Love e il found footage Hopper/Welles di questo Orson Welles che come Saw l’Enigmista continua a sfornare film anche dall’oltretomba. Dal concorso solo un film fa breccia nel mio cuore: è In Between Dying di Hilal Baydarov, che possiamo sforzarci di capire a cosa assomigli ma non assomiglia a quasi niente, vista la miscela imprevista di Reygadas, Tarkovskij e Garrel che lo caratterizza. Oltre ad altri tre titoli sorprendenti (il sottostimato e kingiano Sun Children di Majid Majidi, il portentoso Pieces of a Woman di Kornell Mundruzco e Kata Weber e il misterioso Wife of a Spy di Kiyoshi Kurosawa), il concorso ha riservato sorprese tiepide e svariate delusioni, prime fra tutti Nuevo Orden di Michel Franco (che prometteva coraggio e crudeltà, ma che si rivela un po’ finto, ad hoc e visivamente per nulla ispirato) e Miss Marx di Susanna Nicchiarelli (che cerca di trasportare l’energia del suo bel Nico 1988 di due anni fa in un altro tempo e in un altro contesto, dimostrando di essere molto ingenua nel mischiare musica punk contemporanea e contesto ottocentesco: il modello Marie Antoinette di Sofia Coppola rimane insuperato). Fatti salvi i simpaticissimi The Disciple di Chaitanya Tamhane e Never Gonna Snow Again di Malgorzata Szumowska e Michel Englert, il resto del concorso mi lascia spesso indifferente, e mi desta reale antipatia quasi immediata solo Le sorelle Macaluso di Emma Dante, regista che già non amavo al cinema – pochissimo anche in quel poco che ho visto a teatro – per la sua enfasi, le sue sottolineature e il suo sguardo sul territorio siciliano, e che invece riceve applausi e e sperticate lodi che fatico a comprendere. Almeno però con Emma Dante ho reagito: il resto del concorso, anche quando accettabile, ha comportato una totale freddezza e un discreto disinteresse. Certo, non riesco a non voler bene ai pianisequenza folli di Amos Gitai (distrutto dalla critica) e alla spigliatezza già vista ma ben accetta del simil-teen drama tedesco di Julia von Heinz, ma non è niente che mi porti a celebrare un concorso piuttosto stanco e pieno di tappabuchi. Allora si dirà: è comunque l’anno del CoVid, non possono esserci chissà quali film. Sì, ma Ann Hui, Frederick Wiseman e Orson Welles ci sono; ci sono D’Anolfi e Parenti che vantano il miglior film di Orizzonti (Guerra e pace), insieme a Lav Diaz con Genus Pan; c’è l’esordiente Natalia Vorozhbit che in Settimana della Critica sconvolge in Bad Roads; c’è Kamir Ainouz che fa appassionare con il delizioso racconto di formazione Cigare au miel; c’è il mastodontico Conference di Ivan Tverdovskij che fa riflettere in più termini sulle responsabilità della Storia e della memoria collettiva; e c’è la piccola sorpresa di Sportin Life di Abel Ferrara che fa prendere una boccata d’aria fresca, così come il brillantissimo esercizio di stile di Pedro Almodovar The Human Voice. E tra le Giornate degli Autori il sempre estremo ed esilarante Bruce LaBruce. E allora, come si fa a dire che sia un anno povero? Lasciamo stare le etichette delle varie sezioni: è stata una Venezia a suo modo ricca e piena di sorprese, da vivere dal mattino fino a tarda notte – pesantissima la proiezione di mezzanotte di Mosquito State di Filip Jan Rymsza: noia – sempre con la speranza di farsi colpire il giorno successivo.
E quindi, esaurito anche quest’anno, ci si riaggiorna – si spera – all’anno prossimo. Con l’umile proposta di tenere le prenotazioni per evitare le file, virus o meno che sia, e di continuare a spendere qualche soldo in più su pulizia e disinfezione ricorrenti, che servono sempre a prescindere, virus o meno che sia.
Ora sfogo il mio lato nerd con qualche statistica:
PAGELLA:
CONCORSO VENEZIA 77
In Between Dying di Hilal Baydarov 8/10
Sun Children di Majid Majidi 7/10
Pieces of a Woman di Kornell Mundruzco 7/10
Wife of a Spy di Kiyoshi Kurosawa 7/10
Never Gonna Snow Again di Malgorzata Szumowska e Michel Englert 6,5/10
The Disciple di Chaitanya Tamhane 6,5/10
PadreNostro di Claudio Noce 6,5/10
Laila in Haifa di Amos Gitai 6/10
And Tomorrow the Entire World di Julia von Heinz 6/10
Nuevo orden di Michel Franco 6/10
Quo Vadis, Aida? di Jasmila Zbanic 5/10
Dear Comrades! di Andrey Konchalovsky 5/10
Nomadland di Chloé Zhao 5/10
The World to Come di Mona Fastvold 5/10
Notturno di Gianfranco Rosi 4,5/10
Miss Marx di Susanna Nicchiarelli 4/10
Amants di Nicole Garcia 4/10
Le sorelle Macaluso di Emma Dante 2,5/10
FUORI CONCORSO
City Hall di Frederick Wiseman 9/10
Hopper/Welles di Orson Welles 8/10
Love After Love di Ann Hui 7,5/10
The Human Voice di Pedro Almodovar 7/10
Sportin’ Life di Abel Ferrara 6,5/10
Assandira di Salvatore Mereu 6,5/10
Crazy, not Insane di Alex Gibney 6,5/10
Mandibules di Quentin Dupieux 6/10
Run Hide Fight di Kyle Rankin 5/10
Lacci di Daniele Luchetti 5/10
Final Account di Luke Holland 5/10
The Duke di Roger Michell 4,5/10
Mosquito State di Filip Jan Rymsza 4,5/10
Salvatore – Shoemaker of Dreams di Luca Guadagnino 4/10
Fiori fiori fiori! di Luca Guadagnino 4/10
Lasciami andare di Stefano Mordini 3/10
Night in Paradise di Park Hoon-jung 2,5/10
ORIZZONTI
Guerra e pace di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti 7,5/10
Genus, Pan di Lav Diaz 6,5/10
Careless Crime di Shahram Mokri 5,5/10
The Wasteland di Ahmad Barhami 5/10
Mainstream di Gia Coppola 5/10
Selva Tragica di Yolene Olaizola 5/10
Apples di Christos Nikou 4,5/10
La troisième guerre di Giovanni Aloi 4,5/10
Nothing Special di Uberto Pasolini 4/10
Milestone di Ivan Ayr 4/10
The Man Who Sold His Skin di Khaouter Ben Hania 3/10
GIORNATE DEGLI AUTORI
Conference di Ivan I Tverdovsiy 8/10
Saint-Narcisse di Bruce LaBruce 7/10 [FUORI CONCORSO]
Cigare au miel di Kamir Ainouz 7/10
Tengo Miedo Torero di Rodrigo Sepulveda Ulzea 5/10
The Whaler Boy di Philipp Yuryev 5/10
Oasis di Ivan Ikic 4,5/10
SETTIMANA DELLA CRITICA
Bad Roads di Natalya Vorozhbit 7,5/10
50 or Two Whales Meet at the Beach di Jorge Cuchì 5,5/10
The Rossellinis di Alessandro Rossellini 4,5/10 [FUORI CONCORSO]
The Book of Vision di Carlo S Hintermann 3/10 [FUORI CONCORSO]
SIC@SIC
Zombie di Giorgio Diritti 4/10 [FUORI CONCORSO]
Gas Station di Olga Torrico 4/10
J’ador di Simone Bozzelli 4/10
Les aigles de Carthage di Adriano Valerio 3/10 [FUORI CONCORSO]
Il mio Palmarès per quanto riguarda il concorso (unica sezione di cui ho visto tutti i titoli) è il seguente:
LEONE D’ORO – In Between Dying di Hilal Baydarov
GRAN PREMIO DELLA GIURIA – Sun Children di Majid Majidi
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA – Wife of a Spy di Kiyoshi Kurosawa
COPPA VOLPI FEMMINILE – Vanessa Kirby per Pieces of a Woman
COPPA VOLPI MASCHILE – Oleh Yutgof per Never Gonna Snow Again
MIGLIOR SCENEGGIATURA – The Disciple
Le medie di apprezzamento negli ultimi anni, compreso questo, sono state
2015 – 6,41 (50 lungometraggi visti)
2016 – 5,94 (57 lungometraggi visti)
2017 – 5,94 (57 lungometraggi visti)
2018 – 5,46 (62 lungometraggi visti)
2019 – 5,42 (44 lungometraggi visti)
2020 – 5,70 (55 lungometraggi visti)
Nel 2020 sono stati esclusi i corti della SIC@SIC e il corto di Guadagnino Fiori fiori fiori!
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