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Samp: Intervista esclusiva a RezzaMastrella
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Antonio Rezza, Flavia Mastrella

Samp (2020): Antonio Rezza, Flavia Mastrella

13 opere teatrali, una serie sterminata di cortometraggi e 5 lungometraggi, l’ultimo dei quali – Delitto sul Po – è uscito in sala nell’ormai lontano 2001. Provare a incasellare Antonio Rezza e Flavia Mastrella non è facile. Quando pensi di avere un’idea su ciò che fanno o sul loro mondo, si impegnano per deviarti e condurti su altre strade. Prevedibile è un termine che non conoscono, sfuggono alle etichette che tanto piacciono ai benpensanti e occupano uno spazio tutto loro nel mondo dell’Arte.

Non c’è Musa che si sia messa al loro servizio… eppure c’è quel dato che fa impressione: da 19 anni nessun loro film è uscito in sala. Sono stati fermi? No. Hanno girato e anche tanto, collaborato con l’ex Tele+ e con la Rai, scritto libri e portato le loro opere teatrali in mezzo mondo, da Parigi a Shanghai. E hanno lavorato a Samp, film che viene presentato in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori.

Per gli amanti dei record, le riprese di Samp sono iniziate diciannove anni fa e sono terminate nel 2020, l’altro ieri. Gli autori sono invecchiati con i loro personaggi. Ma è meglio dire che i personaggi sono invecchiati con i loro autori, sebbene sia impossibile distinguere guardando il film cosa è stato girato in passato e cosa invece è frutto del lavoro dell’oggi. «Si vede che ci siamo tenuti bene» scherza Flavia quando le faccio notare che non si avverte stacco alcuno, nemmeno di camera. Le immagini vivaci e colorate, quasi sempre en plein air, palpitano dallo schermo e propongono la storia di Samp, un essere umano tanto brutto quanto affascinante. Serial killer per professione, uccide nella sua Puglia per conto di un potente presidente tutti coloro che vengono definiti tradizionalisti. Al limite dello psicopatico, Samp uccide la madre e comincia a vagare alla ricerca della donna ideale. Si imbatte in incontri, alcuni dei quali fondamentali per il resto della sua avventura come uno scozzese alla ricerca delle proprie origini e un singolare zampognaro.

Raccontare il film non rende giustizia alla performance. Occorre vedere con i propri occhi la meraviglia che Rezza e Mastrella riescono a costruire e decostruire in continuazione. Occorre anche parlarne con loro. Per capire, analizzare e sapere. Ma anche per accogliere l’accorato appello di chi al “sistema” ha smesso di credere da tempo, come Antonio: «La critica che ci elogia deve anche occuparsi della fine che farà il nostro film. Dovrebbe intervenire ferocemente a difesa della nostra opera nel caso non fosse distribuita, così come deve intervenire a difesa di tutte le opere di talento che vengono censurate come ad esempio l'ultimo film di Franco Maresco».

Samp (2020): Trailer ufficiale

 

Samp è un film tematicamente pieno. Mi stupisce pensare che sia stato concepito 19 anni per quanto è moderno. La dicotomia tradizione/innovazione è qualcosa a cui forse a inizio Duemila si accennava ma che oggi impegna tutte le conversazioni sociologiche e non. All’inizio del film, il protagonista opera per conto di coloro che, propensi all’innovazione, eliminano fisicamente le persone che in qualche modo sono portatrici di valori tradizionali. Assistiamo poi a una sorta di conversione del killer che, un po’ come San Paolo sulla via di Damasco, diventa quasi baluardo della tradizione stessa. Mi raccontate chi è Samp e come nasce il film?

Antonio Rezza: Non sono molto abituato a parlare delle trame. Credo che l’opera non vada né difesa dall’autore né chiarita. Se l’autore si mettesse a fare il servo della sua opera, sarebbe come se sottolineasse che non valga quanto invece deve valere. Fin dove arriva il film, si può parlare. Se invece l’autore dovesse andare in soccorso dell’opera, significherebbe che il film è brutto, che non serve a niente e che lo ha fatto solo per portare a spasso se stesso.

Il film si chiude con una dichiarazione di intenti: Ficcatevelii nel culo i soldi. È una sorta di presa di posizione nei confronti di un sistema nel quale non ci riconosciamo. Samp, come altri nostri lavori, è figlio di un rifiuto. Noi abbandonammo il cinema all’inizio degli anni Duemila: non rispondeva a quella libertà che trovavamo nel teatro. Non che il teatro sia un’oasi di libertà ma è più libero rispetto al cinema. Decidemmo di continuare a girare film ma non di finalizzarli: come autori facevamo i film ma come produttori ci impedivamo l’uscita perché non ritenevamo il cinema un territorio adatto ad accogliere la nostra indisciplina insieme al nostro rigore.

A distanza di venti anni, purtroppo, non è cambiato nulla. Ci eravamo ripromessi che fino a quando qualche festival non avesse selezionato Samp, non avremmo fatto uscire film: non siamo stati fermi, abbiamo girato diversi progetti che usciranno ora uno dietro l’altro. Per portarlo al cinema, i distributori – anche i meno sospetti – ci chiedevano per prima cosa: Avete il certificato di nazionalità che permette di sgravarci del 30% delle tasse?. Ecco come ragiona il cinema. Ecco perché abbiamo abbandonato il cinema. Ecco perché Samp dice Ficcateveli in quel posto i soldi ed è più attuale che mai.

Nulla è cambiato in vent’anni. Non ti si chiede più nemmeno com’è il film ma il certificato di nazionalità italiana. È una vergogna, secondo me. È inconcepibile con la nostra mentalità. Non so se è una risposta a quello che mi hai chiesto ma in ogni caso spiega le ragioni per cui siamo stati lontani dal sistema cinematografico.

Su Samp posso dirti che rimane quello che era: è, involontariamente, un tradizionalista peggiore di quelli che uccide. Il sistema è sempre quello di vent’anni fa, se non addirittura peggiorato: allora non chiedevano il certificato di nazionalità per lo sgravio delle tasse. Che interesse ha una mente libera a rapportarsi a questi salumieri?

Flavia Mastrella: Già dal 1996 si capiva che sarebbe andata a finire così la questione Tradizione/Innovazione. Certo, poi il virus non abbiamo potuto prevederlo perché è una forma molto all’avanguardia di potere. Il mondo culturale è andato pian piano cambiando e nel 2001 c’erano già difficoltà per il cinema indipendente, difficoltà per l’arte e difficoltà anche per il teatro. Abbiamo capito che era un momento storico particolare: sarebbero caduti e mortificati tutti i significati precedenti. Alla fine, tutta questa innovazione tecnologica a cui siamo andati incontro nasconde una mentalità altamente borghese, nella peggiore delle sue accezioni. Come avrai visto, il virus attacca tutto ciò che è interazione e non è famiglia, per esempio. Tutto ciò che è scoperta viene intaccato.

Samp inizia con una danza tribale, la taranta. È una danza che fanno in Puglia per liberarsi dal disagio, dalla fatica. Iniziamo il film con questa forte danza tradizionale che è curativa per l’essere umano. Io e Antonio abbiamo due diversi modi di vedere il film. Samp contiene molti contrasti perché rispecchia di due mentalità molto opposte. Io ho preso spunto da La terra del rimorso dell’antropologo Ernesto de Martino, grazie a cui ho capito il valore della Tradizione e della distruzione della Tradizione. La Tradizione che si è intaccata anche per i fenomeni popolari è quella sia della morte sia della cerimonia collettiva.

Il film è rimasto fermo per 19 anni perché la libertà è stata calpestata. Nel 2001, avevamo realizzato un altro film, Delitto sul Po, molto sperimentale. Nonostante avesse una buona frequenza di pubblico in sala, è stato smontato. Veniva proiettato al cinema Fandango, a Roma. Ci hanno tolto la possibilità di esprimerci e abbiamo deciso di fermarci. Abbiamo continuato a girare film e a far lavori per la Rai (l’ultimo risale al 2018). A un certo punto (e anche Samp risente di questa presa di posizione), ci siamo resi conto che funzionava di più la performance nella creatività.

Antonio Rezza, Francesca Cogodda

Samp (2020): Antonio Rezza, Francesca Cogodda

 

Dato che ognuno di voi ha una propria concezione e visione delle cose, non saranno mancati i conflitti. Un episodio su cui vi siete fortemente scontrati? E a quale soluzione siete arrivati?

FM: Sulla fine del film. C’è un attimo di lotta tra la musica e l’aspirapolvere. Abbiamo litigato per giorni. Alla fine, abbiamo lasciato a una monetina il compito di stabilire cosa fare. Quando il problema è spinoso, la sorte aiuta sempre.

Qual è il vostro metodo di lavoro? Siete sempre in continuo divenire. Come Samp, del resto: quando pensi di sapere cosa accadrà, rimani sorpreso dalla strada che invece prende. Stupiscono le trovate sceniche, come quella della “donna della macchina” o le costruzioni naif degli omicidi. È uno stimolo continuo per chi sta dall’altro lato e vi guarda. Non siete mai prevedibili: la carta che giocate dopo si rivela sempre più vincente di quella che si pensa.

FM: Dipende dalla cosa che dobbiamo fare. Per quanto riguarda i film, lavoriamo soprattutto sull’idea, elaboriamo degli schemi comportamentali, ci concentriamo sui concetti e ci affidiamo all’improvvisazione. I concetti però sono ferrei: l’improvvisazione serve a tirarli fuori e a raccontarli. In teatro, invece, io creo un habitat, un piccolo mondo da vivere, e Antonio vi vive dentro, improvvisando in quel luogo. Insieme poi sintonizziamo il tutto, togliendo elementi dallo spazio e dalla drammaturgia. Siamo sempre in capovolgimento, anche delle nostre stesse regole. Non esiste una via dritta: è sempre ostacolata da noi stessi. La nostra fortuna è quella di non diventare mai manieristi e di essere diversi: ognuno dei due alimenta la sua diversità.

Samp, nell’arco di poco tempo, girerà diversi festival, passando dalla presentazione alle Giornate degli Autori all’apertura del Sicilia Queer Film Festival a Palermo.

AR: Samp andrà anche a Bellaria e girerà all’estero. Diversi festival non aspettavano altro che noi ritornassimo con i nostri progetti. Quando ancora esistevano i festival di cinema indipendente come Bellaria o Torino (che non è più un festival di cinema indipendente da parecchio tempo), noi eravamo sistematicamente tra i vincitori. È un po’ un rimpianto aver abbandonato il nostro cinema ma il compromesso non sappiamo nemmeno dove sta di casa.

FM: Eh, Palermo. Io adoro Palermo. Non sappiamo ancora se riusciamo ad accompagnare il film. Certo, rinunciare a Palermo è abbastanza dura per noi. Però, grazie alla situazione un po’ cambiata, siamo molto impegnati: stiamo lavorando su più progetti per vedere di andare avanti. È un momento molto duro per il teatro: dobbiamo trovare una soluzione per andare avanti nel migliore dei modi con tutta la nostra squadra.

Antonio Rezza

Samp (2020): Antonio Rezza

 

Da un punto di vista del formato, Samp appare a un primo impatto visivamente ostico per via di un’immagine a cui forse non siamo abituati. Si ha quasi la sensazione che sia girato con un telefono cellulare in costante movimento, che sia una ripresa su una ripresa.

AR: Il formato tv era all’avanguardia in quel periodo. È stato poi messo lo scotch sull’obiettivo per avere immediatamente e non in postproduzione la sensazione di aver girato in 35 millimetri. Lavorando per noi stessi, la sera volevamo già avere la sensazione di aver girato in 16:9. La macchina in quel periodo non lo permetteva. Credo che il film sia estremamente commerciale, chiunque lo vede vi si abbandona. Nonostante oggi con i formati si siano fatti passi giganti, se vedo un film in bianco e nero degli anni Quaranta dopo mezzo minuto mi abbandono alle percezioni e non sento l’assenza dell’immagine leccata. Penso che chiunque dopo pochissimi minuti possa abbandonarsi al nostro film.

FM: Il formato è molto antico ma migliora la capacità poetica del lavoro. Siccome non ci facevano far film, abbiamo messo lo scotch sull’obiettivo per restituire il senso del cinema a 16:9. Si tratta di una tecnica che non prevede la zoomata, devi di conseguenza andare sempre vicino al soggetto e obbliga a un certo tipo di movimento. Noi ci costringiamo a certe determinate tecniche: tutti i primi piani sono realizzati da molto vicino e la macchina da presa diventa una spia della situazione. Non è più una macchina distante che riprende ma vive dentro la situazione, respira e vibra.

Samp ha un linguaggio tutto suo ma ripete più di una volta una frase che mi ha particolarmente colpito e che è inerente alla laurea mancata.

AR: Si tratta di qualcosa di autobiografico. È un cruccio mio. Ho promesso a mia madre che mi sarei laureato ma poi interruppi gli studi. Adesso, invece, per forza di inerzia mi sono laureato: con le nuove forme di laurea, avevo il punteggio (15 esami sostenuti sul 20) per conseguire la laurea triennale. In quel periodo però la laurea era il cruccio di mia madre ma lo feci mio all’improvviso in scena. Non ricordo che fosse una cosa scritta, venne spontaneamente. Ma poi diventa quasi un trauma per Samp: come se poi potesse servire una laurea a un personaggio del genere.

A me la laurea sembrava più che altro una sorta di certificato sociale.

AR: Può darsi. È bello che tu ci veda delle cose che non ci sono. Il film è aperto. È un film clamoroso dove si respira una libertà assoluta. E questa libertà è stata possibile solo perché noi abbiamo girato seguendo solo i nostri ritmi e non sotto l’imposizione di qualche produttore. Per ritornare a quanto si diceva prima, oggi ti offrono soldi senza sapere nemmeno quello che andrai a fare. Lo trovo veramente assurdo: ci arrivano proposte di contribuzione per i prossimi film senza sapere quello che faremo. Oramai si parla esclusivamente di progetti finanziati o da finanziare: più il progetto è costoso più trovi aiuti. È come il doping nel ciclismo: noi lo sappiamo che il sistema è corrotto. Occorre che anche la critica se ne accorga e lo sostenga. Se lo diciamo noi, lo dice Franco Maresco, lo dice Luca Ferri e lo dicono tutta una serie di registi intransigenti, vuol dire che è vero. I registi quando sono intransigenti possono diventare dei fari illuminanti ma ovviamente la critica deve seguire questa indole: se diciamo che è un sistema ingiusto, drogato, incapace di tutelare un talento vero, è vero.

Samp è un film pieno di colore, un film pieno di idee. Ringraziamo le Giornate degli Autori per averlo selezionato. Io ho quasi pronto un film performativo su un Cristo che urla e Flavia uno sulla Costituzione, due opere devastanti che usciranno subito dopo. Un festival a cui avevamo proposto una copia lavoro di Samp non prese il film perché troppo italiano. Come si fa a giudicare italiano un film di uno che si innamora di una macchina che si muove? Cos’ha di italiano? L’assurdità nell’arte non c’è più: farebbe piacere a chi ci guarda dall’estero che l’Italia fosse assurda, forse spera che l’Italia sia come noi. Samp non è un film italiano, mi dispiace.

FM: In realtà, è così. La laurea è un certificato sociale. Però ciò rispecchia il pensiero contemporaneo dell’analfabetismo a tutti i costi. Adesso sembra che studiare sia inutile: i laureati sono molto depressi! Non è vero che le lauree non servono più. Si tratta semplicemente di un abuso: la gente ignorante si veicola meglio. Non far studiare la gente serve a non farle sviluppare senso critico e a mantenerla di conseguenza buona. Tutto è stato riaperto tranne scuole e università: il Covid non ha fatto altro che accelerare la deumanizzazione dell’essere umano già in corso.

Antonio Rezza, Francesco Artibani

Samp (2020): Antonio Rezza, Francesco Artibani

 

Dichiarate che Samp procede destrutturando il concetto stesso di sceneggiatura. Mi interessa capire quanto del film era scritto e quanto invece improvvisato sul momento.

AR: Siamo partiti da alcune vicende cardine: Samp avrebbe ballato all’inizio, avrebbe ucciso la madre, si sarebbe innamorato di una macchina con una donna dentro, che avrebbe avuto altri amori… Non c’era però una sceneggiatura esatta. La sceneggiatura si scrive per tranquillizzare i produttori. I produttori in questo caso eravamo noi ed eravamo più che tranquilli. Il resto è venuto da solo. Scendevamo dalle macchine già vestiti da personaggio quando ci piacevano i luoghi e i set: - un po’ come se il personaggio abbia sottratto il film agli autori, com’è giusto che sia – e coinvolgevamo le persone che trovavamo sul posto, facendole interagire con i nostri attori. È stato un processo di destrutturazione sia della sceneggiatura sia del set. È un’emozione unica girare in questo modo: non sai quello che vai a fare nonostante tu abbia il controllo totale su quello che accade. Ma quale produttore te lo farebbe fare? Chi metterebbe i soldi per mandarti così allo sbaraglio? Oggi Pasolini non farebbe nemmeno un film.

FM: Samp è girato on the road. Vedevamo un posto. Ci recavamo sul luogo. Stavamo tutti in costume dalla mattina. Prendevamo delle persone e le facevamo recitare: tutti i morti del film sono tutte persone prese al volo. In 20 minuti si risolveva tutto in maniera molto istintiva. Il personaggio era pronto a venir fuori nel momento più opportuno, quando c’era l’energia perfetta. Ogni cosa prendeva forma sul momento o in fase di montaggio, non c’era una sceneggiatura classica. I dialoghi sono stati attaccati dopo, non sono stati pensati lì per lì e non erano scritti. Essendo una storia molto lunga, le sfumature sono venute dopo, anche in fase di montaggio.

Ed è improvvisata anche la scena in cui Samp beve il latte direttamente dal seno della “barista”?

FM: L’avevamo pensata prima. Dopo che uccide la madre, Samp va a questo “bar” a prendere il latte materno perché ha bisogno della figura matriarcale. La persona che ha fatto la scena, una nostra amica che vive in Puglia, non sapeva cosa avrebbe fatto Antonio, non le abbiamo detto niente prima. Abbiamo tenuto tutto nascosto fino all’ultimo momento. Quando le è stato detto cosa sarebbe avvenuto, non poteva più tirarsi indietro e nell’euforia l’ha girato. Se le avessimo detto cosa avevamo in mente, si sarebbe preoccupata: nella sua eleganza formale, la scena è violenta. Quindi, nella nostra “cattiveria”, se le avevamo proposto di fare la gestrice di un bar ma non le avevamo rivelato che tipo di bar. Dopo aver girato, rideva. Il pensiero invece di dover girare quella sequenza sarebbe stato dannoso: il pensiero logora la spontaneità e sarebbe risultata molto più rigida.

Antonio Rezza

Samp (2020): Antonio Rezza

 

È vero che facevate fatica a coinvolgere la gente a meno che non dicevate che ci fossero sparatorie e uccisioni?

AR: Sì. Con degli escamotage però riuscivamo a convincerli. Chiedevo io e capitava che certe volte si rifiutassero. Mandavamo Francesca (Cogodda), l’attrice che fa la principessa, e subito accettavano. Le donne, purtroppo, hanno questo appeal. Io trovo sia una buffonata tutta questa falsa tutela della donna con cui facciamo i conti oggi, ricorrendo anche a parole inventate come femminicidio. Per me, una donna che muore è un essere vivente che muore: non è una femmina che muore. Questa pagliacciata della falsa tutela delle registe alla Mostra del Cinema di Venezia raggiunge un paradosso: si deve difendere un genere quando siamo in realtà tutti lo stesso genere. Paradossalmente, causa restrizioni da Covid, se un film è diretto da un uomo e una donna, le interviste sono fatte solo a uno dei due e nella maggioranza dei casi vengono fatte all’uomo. Nessuno ipocritamente lo dice o lo fa notare. Oppure si privilegia per le risposte il maschio, dando la parola alla donna sempre in secondo tempo: il maschio ha sempre qualche cartuccia in più. Eppure, non viene scritto mai. Come mai? E perché le donne non si incazzano? Io sono uomo e m’incazzo: trovo ingiusto che tra un maschio e una femmina venga intervistato un maschio. Quando lo farà la donna? Flavia si incazza. Siamo una società maschilista che morirà maschilista ma sta cercando di rifarsi la faccia attraverso una serie di leccatine di culo alla donna. Lo dico ovviamente andando in soccorso della donna: non vorrei essere frainteso. Voglio che venga frainteso quello che faccio a livello artistico ma non il mio pensiero politico. L’arte deve creare fraintendimento, il pensiero politico no.

Anche perché il pensiero politico è individuale mentre l’arte è, come dire, collettivo. Nessuno può venire a importi un cambiamento del pensiero mentre l’arte stessa tende al cambiamento. Credo poco al concetto che l’arte sia un piacere. Per me, l’arte è un dovere. L’artista ha il dovere di proporre arte e il pubblico ha il dovere di percepirla, capirla o fraintenderla.

AR: E lo Stato ha il dovere di non intromettersi e di rimanerne fuori.

FM: Per me è quasi una iattura essere donna. Certe volte mi relegano a ruoli secondari. Si tratta di un sistema obsoleto che peggiora di giorno in giorno: come se non bastasse già la divisione dei ruoli, adesso siamo tutti divisi. Ma accadeva anche prima del Covid: gli uomini stanno con gli uomini, le donne stanno con le donne, i bambini stanno con i bambini e i vecchi con i vecchi. Non c’è più interazione tra le varie categorie umane: questo è sbagliato. La gente di tutte le età e generi si deve incontrare: l’esperienza si passa. L’esperienza è molto perseguitata. Dobbiamo essere sempre impreparati… alla vita, alla tecnologia e a tutto quanto. Altrimenti, poi pensiamo.

E qual è il rischio del pensare?

FM: Il rischio è che ci si renda conto che ci stanno manipolando in maniera ridicola per scopi neanche poco chiari. Forse solo economici.

Antonio Rezza, Flavia Mastrella

Samp (2020): Antonio Rezza, Flavia Mastrella

 

Alla fine di Samp entra in scena il principio creativo, interpretato da te, Flavia.

FM: Samp se ne va e lascia un mondo in disordine, tra la quotidianità e la cultura storica. La sacerdotessa che sta sul dolmen cerca di mantenere viva l’arte, stando ferma alla fine. Il film è molto interpretabile, lascia spazio alla fantasia dell’altro. Ognuno può vederci quello che vuole. L’autore può far da guida a comprendere meglio i significati sottesi. Anche in questo, io e Antonio la pensiamo in maniera diversa: è questa la nostra forza.

Io ho una mia libera interpretazione anche sullo Scozzese che funge da motore per la seconda parte del film. È un po’ come lo straniero che arriva da un ipotetico altrove e che minaccia lo status quo. Anche questo oggi è molto attuale: tutti quanti abbiamo paura dell’altro che arriva da un posto alieno a noi e minaccia il nostro star bene. Magari non era nelle vostre intenzioni ma io lo vado a percepire.

AR: Ecco tu dimostri di aver visto il film e di esserti lasciato trasportare. Noi stiamo ricevendo tantissimi complimenti per Samp anche se al contempo riceviamo risposte che ci lasciano interdetti: gente che non capisce il film… distributori che non lo capiscono: come se uno lavorasse per far capire ai distributori il film. Che lavoro sarebbe?

FM: Lo Straniero non arriva per annientare le tradizioni del posto. Cerca semmai la sua origine. È in fuga dalla sua origine ed è alla ricerca di una artificiale. Non la trova. Trova la morte. Malmena lo zampognaro non perché vuole distruggere le tradizioni del posto ma perché gli ricorda la sua origine. La musica ha un ruolo anche interessante. Lo zampognaro è in realtà uno sperimentatore, pure lui antropologo, che ha fatto un lavoro insieme ai nigeriani: è andato con le zampogne in Africa e ha fatto delle performance musicali molto interessanti.

Il distributore dovrebbe semplicemente essere un tramite che permetta al tuo lavoro di arrivare alla gente.

AR: E questo non esiste. Samp farà fatica ad arrivare in sala. Spero trovi qualche distributore illuminato, altrimenti toccherà a noi pensare alla distribuzione per farlo vedere a quanta più gente possibile. Fortunatamente, grazie al teatro, abbiamo tanto pubblico che ci segue: quando abbiamo cominciato a far teatro ci dicevano che eravamo 25 anni avanti ma il pubblico ci ha capiti, la gente non è stupida. Non prendiamo finanziamenti dallo Stato da 35 anni ma abbiamo pubblico: possiamo portarlo anche fuori dal teatro. Non vogliamo trasmettere il film nei teatri, vogliamo portarlo al cinema. Abbiamo fatto un film e vogliamo avere gli stessi diritti degli altri, pur non essendo “protetti”. La critica che ci elogia deve anche occuparsi della fine che farà il nostro film. Dovrebbe intervenire ferocemente a difesa della nostra opera nel caso non fosse distribuita, così come deve intervenire a difesa di tutte le opere di talento che vengono censurate come ad esempio l'ultimo film di Franco Maresco. 

FM: Io non so che destino avrà Samp. È un film tecnicamente spregiudicatissimo. È un po’ come se fosse fatto con il cellulare. Io, in questo momento, sto realizzando molti lavori con il cellulare, li trovo più spontanei. Avrà dunque i suoi bei problemi come del resto tutte le nostre opere. Vorrà vederlo sicuramente un bel po’di gente ma sarà quasi certamente distribuito da una rete indipendente.

Flavia, anticipami qualcosa sul tuo nuovo progetto cinematografico. Antonio mi parlava di Costituzione.

FM: Si tratta di un’azione di disturbo. Si tratta di una videolettura, ripresa con il cellulare, della Costituzione Italiana con 150 autori. Serve a dimostrare che anche con le norme restrittive legate al Covid si può lavorare e realizzare un’opera collettiva. C’è anche un altro dettaglio. A recitare gli articoli sono gli animali con la voce del loro padrone: gatti, cani, galline, maialini, pesci… Dato che gli articoli sono 159, il tutto è molto lungo. Penso di distribuire il film come un virus, a puntate. Mi rodeva dentro il fatto che vogliono cambiar la Costituzione e di non poter lavorare con tante persone: amo il contatto con gli altri, mi piacciono le persone!

Antonio Rezza, Flavia Mastrella

Samp (2020): Antonio Rezza, Flavia Mastrella

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Pietro Cerniglia.

©2020 Mondadori Media S.p.A. – Riproduzione riservata

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