Immaginate di lavorare come assistente alla regia e di essere stati contattati da un regista che vi vuole presentare il suo progetto cinematografico. Vi ha anticipato qualcosa al telefono ma l’appuntamento che avete preso, nel caffè al quale siete già seduti ad aspettarlo, sarà dedicato proprio alla spiegazione più dettagliata del suo cortometraggio. Lo vedete da lontano puntare dritto al vostro tavolino. È alto e distinto, si avvicina e vi dice: “Vera?”. Vi trovate a Roma, è il 1953. Lui è Vittorio De Seta, voi siete Vera Gherarducci, appunto, assistente alla regia.
Neanche il tempo di una veloce presentazione e il regista inizia a raccontarvi la traccia del suo primo corto: voglio fare un film sulla pesca del pesce spada. "Pesce spada?", ripetete. Sì, tutti gli anni in questa stagione il pesce spada va a deporre le uova nelle acque che separano la Sicilia dalla Calabria. Qui l’uomo lo aspetta per cacciarlo e ucciderlo, si tratta di una pesca antichissima le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Voglio riprendere questo rito, questa caccia, questa festa.
Bello, dite. Mi interessa. Non sapevate (ancora) che nella mente del regista, per rendere al massimo lo spirito e la dinamica della battuta di pesca, si erano già formate una discreta serie di dettagliate inquadrature con cui aveva intenzione di trasmettere allo spettatore tutta l’epica che questa antica caccia si porta appresso; i volti dei rematori sotto sforzo e in preda ad una trance che neanche uno sciamano strafatto di peyote; il ruolo della vedetta, arrampicato nel cielo sopra ad una imbarcazione composta solo da una tolda e da un palo alto come un palazzo di 5 piani in cima al quale la vedetta stava appollaiata in attesa dell’avvistamento; la posa plastica del più maturo ed esperto del gruppo, il fiociniere al quale spetta il duro compito di sferrare il lancio determinante con cui arpionare il pescespada ed iniziare così il processo di cattura, un colpo da assestare con precisione a grande velocità, un unico tentativo per non vanificare un lungo inseguimento.
Il regista, come sempre, ce le ha tutte bene in mente le situazioni, le scene, i piani che vuole utilizzare. Come tutti i progettisti lui vola alto, vede grande e finito, immagina tutte le linee e tutte le prospettive, poi va beh, quella ripresa in mare aperto, quella in cui la camera dovrebbe stare appesa nel cielo insieme alla vedetta, anzi in sostituzione della vedetta, ancora non sa esattamente come realizzarla ma Vera, come tutti gli assistenti alla regia, se la saprà cavare e si farà venire in mente qualcosa.
Voi siete Vera e non avete ancora la minima idea di come realizzare i desideri del regista. Voi siete Vera, è il 1953, i film si girano in pellicola e per realizzare quell’inquadratura dall’alto che il signor regista ha immaginato, quella che dovrebbe offrire allo spettatore quell’esatto punto di vista della vedetta e l’avvistamento del pesce spada che nuota in lontananza e poi la sua fuga e i suoi cambi di direzione repentini, per quella ripresa dall’alto, signor regista, bisogna portare la camera lassù, non si può (ancora) agganciare una Go-Pro sulla pancia di un drone da 90 euro.
60 anni dopo, uomini e pesci sono di nuovo protagonisti di un altro documentario, di un’altra pesca, ben più atroce. Leviathan, (Lucien Castaing-Taylor, Véréna Paravel) raduna in sé tutti i cambi di paradigma che i 60 anni di distanza tra le due opere hanno comportato. La nave da pesca industriale che naviga davanti a New Bedford, Massachussets, è un mostro che solca le acque e ingurgita tonnellate di pesce che vengono letteralmente prelevate e poi lavorate, selezionate, fatte a pezzi, congelate, approntate per essere immesse in un famelico mercato.
Mentre le videocamere Go-Pro, agganciate ai bordi della nave o a galleggianti immersi nell'acqua e assicurati attraverso lunghe cime alla nave, riprendono senza sosta il mostro che ingloba il pescato navigando in un mare ostile e minaccioso - rendendo possibili linee prospettiche inedite, completamente casuali che spostano l'autorialità alla fase di montaggio - in una delle salette interne del peschereccio una camera fissa inquadra un uomo sfatto di stanchezza, o di noia, che crolla di sonno davanti alla tv e al fondo di una birra ormai calda, riassumendo, in un malato e lisergico contrappasso, l'evoluzione che l'uomo ha percorso in questo, tutto sommato, breve lasso di tempo.
Da una parte c'è l'epica di un confronto quasi alla pari, un mare su cui le imbarcazioni scivolano con armonia e l'uomo Achab tutto teso nello sforzo con cui cerca di compensare, con unità di sguardo e d'intenti, la premessa inequivocabile di non essere nel suo ambiente naturale; sull'altro versante una natura minacciata, e dunque minacciosa, medita vendetta mentre l'uomo calato nel processo industriale non può alzare lo sguardo dal flusso continuo di pesce da sezionare, spaccare, scartare, ributtare in acqua morto se non serve, lasciando dietro di sé una scia di sangue. Mentre il Leviatano "fa del mare come un vaso di unguenti", un uomo aspetta una qualsiasi fine, immerso in una sorta di soffocante bolla immobile in cui il tempo è scandito solo dai frame ripetuti di una vecchia tv accesa.
Se per vedere Leviathan dovete ricorrere al buon vecchio Dvd/BluRay, Lu Tempu Di Li Pisci Spata, primo cortometraggio documentario di Vittorio De Seta, è stato oggetto di un meraviglioso restauro a cura della Cineteca di Bologna ed è visibile in streaming, in questi giorni e fino al 28 giugno, in un luminoso formato 1080 HD grazie alla piattaforma Henri nell'ambito di un omaggio che la Cinémathèque française ha dedicato ad alcune pellicole italiane rare e restaurate.
Ringrazio moltissimo Laulilla perché, grazie alla segnalazione che trovate qui, mi ha fatto scoprire questa iniziativa e insieme ad essa anche tutti i documentari di Vittorio De Seta che facevano parte della serie Il mondo perduto e che erano spesso programmati all'inizio delle proiezioni nelle sale cinematografiche italiane degli anni '50 e '60. Praticamente secoli fa.
Un'altra era. Vera.
*A proposito di Vera: ovviamente non ho la minima idea di come si sia svolto il reale primo incontro tra Vera Gherarducci e Vittorio De Seta (di certo deve essere stato piuttosto scintillante visto che poi si sono sposati!) ma in questo testo l'ho immaginato, e probabilmente ridotto, a semplice escamotage narrativo un po' pittoresco per introdurre gli argomenti che mi interessava affrontare. Mi auguro che sappiate perdonarmi ma qualora vogliate farmela pagare sarà sufficiente usare il modulo commenta qui sotto per comunicarmi tutto il vostro risentimento!
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