Parte questa sera su Rai 1 (e da domani on demand su RaiPlay) la serie televisiva Vivi e lascia vivere. Per i dettagli della trama, vi rimandiamo ovviamente all’articolata scheda presente nei nostri database ma fa piacere che, dopo il grande successo di Doc – Nelle tue mani (serie da 8,9 milioni di telespettatori), il pubblico possa riunirsi davanti alla televisione in questo particolare momento storico, segnato dall’emergenza Covid-19, per una vicenda che parla di cambiamento e di forza d’animo, come ha ribadito Eleonora Andreatta, direttrice di Rai Fiction: «Vivi e lascia vivere parla del cambiamento che attraversa la vita e diventa un’occasione per guardarsi dentro e con responsabilità e coraggio farne una leva di futuro. Nell’incertezza dei tempi che viviamo - e nei limiti di una finzione - voglio pensare possa offrire un piccolo contributo di emozione e riflessione.
Nella linea del racconto femminile che tanto Rai Fiction ha approfondito in questi anni con nuovi modelli, abbiamo subito sentito la forza del racconto incentrato su una protagonista, Laura, che si ritrova sola a farsi carico di una famiglia e deve imparare a essere più forte di fragilità e avversità. Elena Sofia Ricci su cui il progetto è stato costruito ne restituisce la sensibilità, la tensione e anche la durezza. Intorno a lei tre figli e voglio sottolineare come la serie ne esplori le diversità insieme alle paure, al bisogno di affetto e alla voglia di crescere. E tante donne che lottano per la loro dignità. È un family intenso, un melò di sentimenti con una linea crime e tanti fili narrativi ed emotivi, Vivi e lascia vivere. Pappi Corsicato, che ne ha avuto l’idea insieme a Monica Rametta, vi porta la delicatezza di autore introspettivo, aderente alla realtà e con grande talento visivo, oltre agli scorci di una Napoli inedita».
Abbiamo per l’occasione intervistato Pappi Corsicato, autore napoletano doc che non necessita di presentazioni al suo debutto nella serialità televisiva.
--------------------------------
La prima domanda è d’obbligo, visto i tempi. Come stai trascorrendo questo periodo di quarantena forzata?
Sono a Roma e non ho avuto modo di annoiarmi. La lavorazione agli ultimi dettagli per Vivi e lascia vivere ha catturato la mia attenzione e sono stato preso dall’euforia della messa in onda. Non mi sono di certo annoiato, anche perché tra leggere e scrivere ho sempre qualcosa che mi tiene impegnato. Però tutti noi siamo stati chiamati a un cambiamento a cui non eravamo pronti. Siamo stati costretti a cambiare stile di vita, a relazionarci con gli altri e con noi stessi in un modo totalmente diverso e nuovo. Il cambiamento è qualcosa a cui vanno incontro anche i protagonisti di Vivi e lascia vivere e che riguarda tutti gli esseri umani: chi di noi almeno una volta nella vita non si è trovato a dover cambiare direzione?
Vivi e lascia vivere segna il tuo debutto nel mondo della serialità televisiva. Come mai tale scelta?
Se fosse stato per me, il debutto sarebbe avvenuto anche tempo prima. Ho manifestato in passato il desiderio di girare qualche puntata di La squadra o Un posto al sole, le due fiction Rai ambientate a Napoli. L’ipotesi non si è mai concretizzata: probabilmente allora la mia visione non conciliava con quella più rassicurante dei due prodotti. Sono passati molti anni e occorreva Laura, la protagonista della serie in partenza questo giovedì in prima serata su Rai 1, con la sua storia a portarmi in televisione.
Chi è Laura?
Laura è una donna che deve fare appello alla sua grande forza per affrontare un cambiamento che non aveva previsto. Si tratta di una figura femminile particolarmente forte con cui si entra gradualmente in empatia. Per un pubblico abituato a protagoniste più rassicuranti, può apparire spiazzante in un primo momento. Laura non fa sconti a nessuno ed è una donna particolarmente moderna. Chi si aspetta una vittima della situazione o una madre onnipresente per i suoi figli rimarrà sorpreso. [Non è un caso che Rosa, sua amica, definisca Laura “un po’ stronza”, ndr].
Nelle note di regia, dichiari di esserti ispirato a Filomena Marturano.
Chiaramente si tratta di un’ispirazione inerente al carattere del personaggio e non alla sua storia. Filomena ha per me rappresentato sempre quel tipo di donna che, pur di fronte alle avversità, reagisce a testa alta e sceglie in maniera autonoma come comportarsi per ciò che ritiene sia il bene per sé e per i figli. Al pari di Filomena, Laura rimette mano alla sua vita e alle sue priorità. Reagisce quando le circostanze la spiazzano e non ha paura di mostrare la propria fragilità o la propria forza.
Tra l’altro, il montaggio sapiente dei primi due episodi mostra a quale grande cambiamento Laura si appresta. È possibile vedere una Laura del passato contrapposta a quella in divenire del presente.
Nei primi due episodi Laura non fa altro che cominciare quel cambiamento che si accentuerà nelle puntate successive. Si mostra come il suo rapporto con i figli non sia semplice, soprattutto con la figlia maggiore Giada, e come la sua quotidianità sia segnata da segreti e non detti. I segreti sono una specie di fil rouge che accomuna un po’ tutti i personaggi, femminili e non.
Perché hai scelto Elena Sofia Ricci per il personaggio di Laura?
Conosco Elena da tempo, da quando ho conosciuto la madre sul set di Mi manda Picone, e mi piaceva l’idea di lavorare con lei. Ne apprezzo particolarmente la versatilità e mi sono divertito a trasformarne l’immagine televisiva, legata al grande successo della serie per famiglie Che Dio ti aiuti. Il pubblico è abituato a vederla come Suor Angela, vestita dalla testa ai piedi e dall’animo nobile. La mia Laura è per certi versi l’esatto opposto: ho giocato con il modo di vestire (chi l’ha detto che non si possa essere tristi anche se vestiti in maniera coloratissima?), con gli accessori e persino con il modo di camminare. Ne è venuta fuori un tipo di donna che tutti noi abbiamo incontrato almeno una volta durante il corso della nostra vita, al cinema o nella realtà.
Non è un caso che in certi frangenti mi abbia ricordato certi personaggi di Bette Davis o di Joan Crawford.
Ci sono moltissimi riferimenti cinematografici che un occhio attento può divertirsi a cogliere. Nella storia si mischiano più generi: fondamentalmente family, racchiude anche dramma, thriller e noir, da mescolare in continuazione.
E le citazioni sono da sempre un must del tuo cinema. Il tuo marchio di fabbrica è piuttosto visibile in moltissime sequenze o dettagli: un paio di calzini con la scritta “Fuck You”, un acceso smalto celeste, un incubo in piscina o una sequenza di nuoto sincronizzato da mozzare il fiato. E siamo solo alla prima puntata. Uno degli aspetti poi che mi ha colpito è il taglio cinematografico scelto. Molte delle sequenze sono girate con la macchina a mano.
SI è trattata da una scelta voluta. Per rendere più reali e più vivaci i personaggi, le situazioni e i luoghi, ho voluto girare alla vecchia maniera. L’obiettivo per me erano le emozioni da trasmettere. Le emozioni sono fondamentali al cinema così come nelle serie, non faccio molta differenza tra i due linguaggi. Ultimamente, abbiamo visto serie girate benissimo, quasi in maniera magistrale, ma povere dal punto di vista delle emozioni.
Ritornando al cast della serie, hai avuto la fortuna di dirigere un manipolo di attrici più che brava. Da Iaia Forte, con cui hai quasi sempre lavorato, alle brave Bianca Nappi e Teresa Saponangelo, senza voler dimenticare Orsetta De Rossi e le nuove leve come Silvia Mazzieri o Carlotta Antonelli. Com’è stato lavorare con loro?
Si è trattata di una delle esperienze più divertenti della mia carriera di regista. Le attrici si sono fidate totalmente della mia visione delle cose: anche quando non capivano le ragioni delle scelte, si sono totalmente rimesse alle mie decisioni. Chiaramente, le atmosfere sul set di una serie sono diverse da quelle di un film. Girare per 22 settimane non è come lavorare insieme per un mese e mezzo: cambiano i tempi e cambiano inevitabilmente i rapporti.
Hai girato la storia a Napoli. Ma la Napoli che ci mostra non è quella a cui ci hanno abituati le ultime serie televisive. La città è un tripudio di colori, dall’azzurro del mare in poi. Le ambientazioni, a cominciare dalla casa di Laura, non sono quelle dei quartieri più popolari. E il clima anche di solidarietà regna sovrano, basti pensare alla scena in cui Laura necessita dell’aiuto di un gruppo di giovani in lambretta. Per non parlare poi del fatto che, una volta tanto, le organizzazioni criminali non giocano un ruolo portante nella storia.
Pur apprezzando molto prodotti come Gomorra o I bastardi di Pizzofalcone, volevo che la mia fosse una Napoli che da molto tempo non si racconta più. Colori, luce e atmosfere sono quelli che hanno accompagnato e accompagno il cambiamento della città. Mi piaceva l’idea di raccontare una Napoli diversa da come l’hanno raccontata altri, riscoprendo anche zone quasi dimenticate come Posillipo.
Il tuo ultimo lavoro di finzione per il cinema risale al 2012: Il volto di un’altra. Come mai così tanto silenzio da allora?
Non ci sono mai state le condizioni giuste per ritornare sul set di un film. O, per dirla meglio, nessun produttore si è mostrato disponibile ad avallare un mio nuovo progetto.
[NdR: E il che, me lo lasci Pappi aggiungere, è impensabile: quanti sono quei registi che hanno uno stile proprio come il suo, che hanno contribuito a rivedere i canoni del cinema italiano del secondo Novecento e che sono esplicitamente omaggiati dal cinema americano con un personaggio che porta il suo nome (esiste un Pappi Corsicato in A proposito di Davis)?. In questi giorni in cui si parla di come rimodellare il settore, si comincino per favore a rivedere le priorità e a ripensare all’intera industria].
In Vivi e lascia vivere fai recitare nella stessa serie Elena Sofia Ricci, Massimo Ghini e i rispettivi figli Emma Quartullo e Leonardo Ghini.
Diciamo subito che mentre Emma interpreta il personaggio di Laura, della madre, da giovane, Leonardo non interpreta quello del padre, Toni, ma veste i panni del suo rivale… Renato, l’uomo che Laura sposerà e che è portato in scena da Antonio Gerardi.
Si crea così un bel corto circuito. L’idea è stata tua?
Si, mi sembrava divertente come cosa. Anche se somigliante al padre, Leonardo è meno somigliante al padre dell’attore che invece ho scelto.
Che tipo di aspettative hai sulla ricezione della serie? Come pensi che possa reagire il pubblico?
Non ne ho proprio idea. Spero che il pubblico sia incuriosito dall’insolita Napoli in scena e dagli attori. Mi auguro che sia intrigante per loro da vedere, al di là della storia. Non stiamo raccontando un caposaldo della letteratura mondiale ma un family a cui tutti possono affezionarsi.
Avete già pensato all’ipotesi di una seconda stagione?
Dipende ovviamente dall’accoglienza del pubblico e da come ovviamente va in termini di ascolto.
Guardando il tuo sito internet (www.pappicorsicato.it), ho notato che hai reso disponibili per intero tutti i tuoi lungometraggi. A prima vista, sembra una scelta strana. Pensandoci bene, invece, appare come una generosa condivisione di quelli che sono a tutti gli effetti dei beni collettivi. Perché tale scelta? Non rinunci così a ogni forma di profitto?
Si tratta di opere che, purtroppo, non girano più tanto. Offro così a molte persone la possibilità di vederle per la prima volta e di avvicinarsi al mio cinema. A ogni modo, si tratta di film che si trovano online senza che la gente sappia dove trovarli. Li ho solo raccolti in un unico posto e messi facilmente a disposizione di chi è curioso di vedere le cose che ho fatto.
Guardando al passato, hai un tuo film a cui sei più legato?
Sono legato a tutti i miei film. Non ho un brutto ricordo di nessuno di essi e non posso lamentarmi di nessuna delle esperienze fatte. Ho un bel ricordo di tutti quanti. Chiaramente alcuni sono più riusciti di altri ma hanno rappresentato tutti una bella esperienza. Non c’è nessuno che non rifarei o che per ragioni varie è stato un incubo.
Quali sono stati invece i titoli che hanno contribuito alla tua formazione di cineasta?
Anche qui la risposta può sembrare vaga ma è la verità: son talmente tanti che non riesco a fare una graduatoria o un elenco. Ho visto e vedo talmente tanti film che amo che non è per me possibile elencarli tutti. Alcuni li guardo e riguardo perché mi piace proprio vederli. Altri perché mi fungono da ispirazione. Ma sono veramente tanti. Sarebbe per me complicato anche sceglierne pochi, farei del torto ad altri.
Ricordi cosa ti ha spinto a fare cinema?
Era un desiderio che avevo sin da bambino, anche se non capivo come si facesse realmente un film. A 7/8 anni passavo le giornate ad ascoltare musica e a immaginare scene. Certi mestieri, quando se ne ha finalmente la possibilità, vengono quasi naturali dopo averli pensati o desiderati per così tanto tempo. Questo non vuole che si diventi poi bravi registi o che si abbia talento…
Com’è che da giovanissimo sei finito sul set di Legami! di Pedro Almodovar?
Anche in questo caso si è trattato di una serie di fortuite coincidenze. Ti dicevo prima che conosco Elena Sofia Ricci da molto tempo perché conoscevo la madre, la scenografa Elena Poccetto Ricci. Venne tempo fa a Napoli a girare un film con Nanni Loy, Mi manda Picone. Chiesero a mio padre di usare parte di casa mia e accettò. Era estate, mi trovavo a Napoli (ai tempi studiavo spettacolo a New York, danza e recitazione) e passai due, tre settimane dietro Elena: avevo la passione per il cinema e avercelo dentro casa non mi sembrava vero, era il massimo. Avevo dunque già questa esperienza di set e di altri a cui mi proposi di prender parte quando sapendo che Pedro Almodovar era in Italia per la serata dei David di Donatello. A New York, avevo avuto la possibilità di conoscere la sua filmografia e di appassionarmi al suo cinema. Mi proposi a lui come assistente volontario ma di fatto ho fatto l’osservatore sul set: anche meglio di ciò che mi aspettassi. Se avessi fatto l’assistente, sarei finito a fare il runner… da osservatore, invece, ho potuto vedere da vicino il suo operato, come si dirigeva gli attori o come li riprendeva. È stata un’esperienza molto formativa.
Tra i tuoi lavori figurano anche molti documentari. Come ti destreggi tra finzione e realtà, due generi che inevitabilmente hanno linguaggi tra loro molto diversi? Tra l’altro, scegliendo soggetti non facili come Julian Schnabel o Marco Ferreri.
Non so da dove mi venga la destrezza per passare da un genere all’altro. Realizzo documentari perché mi piace farli. Li faccio ovviamente a modo mio e, grazie a Dio, sembra che li faccia anche molto bene. Mi dai così anche la possibilità di dire quanto io sia contento che dalla scorsa settimana L’arte viva di Julian Schnabel sia disponibile su Netflix per tutti quelli che vorranno vederlo. Conoscevo bene Schnabel, siamo amici, la sua forte personalità e il suo lavoro: mi è stato quasi facile l’accesso al suo mondo. Con Ferreri è invece accaduto il contrario: amava molto i miei film fino ad allora usciti – Liberae I buchi neri - ed è stato lui a cercarmi per il backstage di Nitrato d’argento, quello che sarebbe stato il suo ultimo lavoro. Ferreri con me è stato particolarmente affettuoso e rispettoso: del resto, essendo stato lui stesso a chiedermi di lavorare dietro le quinte, è stato sempre più che disponibile.
In Vivi e lascia vivere torni a dirigere sul set Iaia Forte, attrice legata a quasi tutte le tue opere. Qual è il rapporto che avete?
Io e Iaia siamo legati sin dall’infanzia. Il nostro è un rapporto di amicizia che va oltre il lavoro: siamo come fratello e sorella. Siamo amici da vecchissima data, da ancor prima di cominciare a pensare a ciò che poi abbiamo effettivamente fatto. L’alchimia sul set è naturale: la simbiosi è tale che non potevamo non lavorare assieme. L’intesa è sempre massima: ci conosciamo bene e condividiamo spesso gusti e visioni. Il nostro è un legame di reciproca adesione e condivisione.
Con i tuoi film hai sempre portato fortuna alle tue attrici. Penso ad esempio a Caterina Murino, divenuta una star a livello internazionale e particolarmente apprezzata in Francia (dove è reduce dallo straordinario successo della serie L’ora della verità, prossimamente in onda anche in Italia).
Caterina è un’attrice adorabile. Ho avuto la fortuna di avere sempre un ottimo rapporto con tutte le attrici con cui ho lavorato. Sono rimasto in contatto con tutte e c’è sempre molto affetto. Con alcune ci si sente anche spesso. So sempre che se avessi bisogno del loro aiuto sarebbero sempre disponibili. E viceversa: accadrebbe lo stesso se fossero loro ad avere bisogno del mio sostegno.
Un’ultima ma fondamentale domanda. Le tue storie hanno sempre protagoniste femminili molto forti che schiacciano i personaggi maschili, relegandoli spesso in secondo piano. Da cosa dipende?
Credo dipenda dalla mia maggiore comprensione dell’universo femminile. Sono cresciuto in una famiglia di base patriarcale ma nei fatti fondamentalmente matriarcale. Le donne che hanno segnato la mia crescita sono state tutte di grande impatto. Senza voler cadere nel cliché, gli uomini tendono rispetto alle donne a essere più monocordi o a dare tale impressione. Parlo ovviamente di un livello emotivo: per cultura, non danno spazio alle proprie emozioni. Le donne invece da un punto di vista delle emozioni offrono molti più spunti di riflessione e di, per me, divertimento.
In Vivi e lascia vivere, però, i personaggi maschili sono abbastanza completi e completi, al pari di quelli femminili. Anche se, avendo tante donne in ruoli principali, c’è una vasta gamma di psicologie e caratteri femminili differenti.
Mi diverto di più con i personaggi femminili anche per un’altra ragione: c’è molta più ironia nelle donne. Gli uomini sono solitamente meno ironici. L’ironia è una di quelle caratteristiche che con il tempo un po’ si è persa.
Ironia e autoironia sono qualità che, secondo me, si sono perse anche a causa dei social e dei comportamenti che in essi mettiamo in atto.
C’è molta seriosità spacciata per serietà.
In questi giorni, non si può non pensare al futuro del settore audiovisivo. Nessuno di noi ha la sfera magica per individuare la soluzione giusta. Quale futuro intravedi?
Io mi auguro che la qualità torni a prevalere sulla quantità. Si produce veramente tanto, molto spesso le opere prodotte non vengono nemmeno viste dal pubblico o devono essere cercate per essere visionate. Non è facile cercarle o trovarle. Si deve tornare a puntare sulla qualità, su qualcosa di nuovo, interessante e originale.
--------------------------------
Pietro Cerniglia.
©2020 Mondadori Media S.p.A. – Riproduzione riservata
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta