
Ovvero un testo in cui inizio prendendo spunto da un episodio eccezionale di una serie che sto amando a dismisura - quindi se leggendo pensate di riconoscere l'ambientazione o il personaggio e non volete spoiler sospendete subito la lettura o passate al paragrafo che inizia con "Perché a volte succede" e se invece, come in fondo spero, vi ho incuriosito e volete sapere che serie sia, scrivetemi un commento e ve lo dirò in privato. Poi, proseguo avvitandomi senza paura in una riflessione probabilmente un po' vertiginosa per le mie risorse dalla quale ne esco riposizionandomi su un livello che mi è più congeniale, cioè condividendo l'importante certezza che in certi momenti si può anche fare a meno della carta forno.
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Quella volta pensava di avercela fatta. Quella volta sí. Nel mezzo di una vita costellata di (in)decisioni poi dimostratesi fallimentari, eticamente discutibili, sebbene geniali, l'uomo si ritrovò invece nel mezzo del deserto messicano, bruciato dal sole, con le labbra gonfie come due canotti sanguinanti, inseguito da gente piuttosto violenta e priva di scrupoli. Disposti a tutto pur di impossessarsi di quelle due valigie piene di soldi. Già, quelle due sudicie borse piene di sudici dollari che il nostro uomo trascinava nel deserto, lo avevano spinto ad agire e poi a pensare che quella sarebbe stata la volta buona. Un lavoretto pulito che gli avrebbe assicurato una meravigliosa ripartenza, come se le ripartenze non si fossero sempre dimostrate, alla fine, la sua personale trappola esistenziale.
E invece no, o meglio per l'ennesima volta sì, una serie di dannati imprevisti aveva messo una seria ipoteca sul successo del suo progetto e adesso era chiaramente nella merda. Bruciato, dentro e fuori, inseguito da bruttissime persone armate, azzoppato dalla spina di un cactus bastardo, appesantito nella sua ricerca di salvezza dal frutto della propria ingordigia o superficialità e in più con una sete micidiale e naturalmente senz'acqua. Fortuna che il suo angelo protettore lo aveva fatto riflettere sulla possibilità di riservare una quota della propria urina per una futura utilizzazione. Il tutto dopo avergli salvato la pelle con una apparizione miracolosa quando sembrava che la sua vita sarebbe terminata così: crivellato di colpi di pistola, nel deserto, per mano di un cartello messicano. Le cose, insomma, si erano messe parecchio male. Finché non è arrivato quell'esatto momento in cui la sete è stata talmente insopportabile che bere la sua stessa urina gli è sembrato il migliore dei mondi possibili. O almeno non così schifoso come pensava.
Perché a volte succede. Il mondo crolla, si ripiega su se stesso, l'orizzonte si comprime e la nostra realtà si riduce, alla sua radice. E riducendosi, paradossalmente, rivela nuove possibilità, mette in luce priorità radicali, perché è nella radice, infatti, che risiede l'essenziale. Una volta ridotte alla radice le persone sono costrette a scendere verticalmente, iniziano a preoccuparsi di lavorare sulla propria solidità ancorandosi sottoterra e cercando una nuova fonte invece di mostrare la potenza del tronco, coltivare l'estensione del ramo o curare in maniera ossessiva la bellezza delle proprie fronde.
Quando capita uno di quei momenti - e non è detto che succeda, in una vita normale - c'è chi si ritrova a dover fare i conti con un'assenza dolorosa prima di quanto avesse previsto e, non potendosi lanciare a corpo morto nel flusso ordinario della realtà perché di ordinario è rimasto troppo poco, è obbligato a bersi quel dolore senza disperderne neanche una goccia. Accelerando il processo di cicatrizzazione della ferita.
Tra le pieghe di un panorama ridotto c'è chi ha visto sparire la propria fonte di sostentamento ma solo nel riflesso di questa caduta può scoprire che sul retro delle cartoline da cui quel panorama era composto c'erano ancora i bei disegni che faceva all'università o gli sguardi appassionati che annotava quando era innamorato della vita. E forse partirà, quando potrà, alla ricerca di amore. O di pennelli con cui colorare il futuro.
C'è chi, solo grazie all'accartocciarsi del panorama, si rende conto di essere da tempo sulla soglia del proprio abisso. E la semplice presenza di altri esseri umani affacciati sullo stesso orizzonte, rende più sostenibile l'idea che curarsi non significa essere stati meno bravi o meno forti. O forse poi anche sì, ma si sentirà meno solo e isolato di quanto avesse pensato.
In un mondo rimpicciolito c'è chi risponde al bisogno di fare qualcosa di nuovo e chi ha ripreso a fare qualcosa che non faceva da tempo. C'è chi si trova a competere con dei giganti e deve scoprire se è vero, come alcuni immarcescibili ottimisti sostengono, che i giganti possono avere le fondamenta fragili. E c'è anche chi, in questa discesa verso l'essenziale, esercita rinunce irrilevanti per poi scoprire quanto fossero irrilevanti già le premesse che avevano determinato i bisogni. E poi scopre quante soluzioni possono arrivare dalla semplice constatazione che alcune cose, da questo nuovo punto di vista ad altezza zero, non erano neanche problemi.
E via così, scendendo vorticosamente all'interno di una catena di rinunce e situazioni diminuite, di casualità incrociate, di scelte sbagliate o non esercitate, c'è chi arriva in quel momento chiave e, appunto, capisce che la salvezza passa attraverso una profonda sorsata amara. E non dico che possa sembrare buona ma certamente l'idea di utilizzare i propri scarti pur di salvarsi la vita è una prova di grandiosa radicalità.
Io, in questo scenario diminuito, ho anche finito la carta forno. E non la ricomprerò.
Offese, dileggi, ilarità e richieste specifiche possono essere consegnate al mittente, cioè io, usando l'apposita funzione commenti proprio qui sotto.
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