"Can che abbaia non morde" ci rivela un noto detto che evidentemente non ha confini: ma gli esseri riservati ed apparentemente timidi, nascondono a volte nevrosi e frustrazioni in grado di renderli dei mostri incapaci di trattenere tutto quanto è stato represso e contenuto in anni ed anni di sopportazione ed obbendienza.
Film d'esordio folle e scatenato di Bong Joon-ho, che si premura (per il suo bene!) ad informarci che le scene aventi protagonista i cani, sono state girate con l'ausilio di speciali addestratori: una precisazione prudente che dovrebbe farci intendere che nessun cagnetto finisce gettato nel vuoto come appare, o dimenticato in un armadio, ma che non riesce a toglierci quel disagio da cattiveria latente che il film emana in modo dirompente, e che finisce per divenire uno dei punti di forza di una pellicola destinata a dare origine ad un grandissimo autore.
VOTO ***1/2
Mirabilmente trasposto da un'opera teatrale, "Come to see me", incentrata sulle reali gesta del primo, reale omicida seriale coreano conosciuto e mai catturato, Memories of Murder fu un successo notevole al botteghino, che premia un thriller splendidamente girato e costruito, forte di una fotografia dai toni seppiati che riesce a rendere palpabile lo squallore di un mondo in balia della inafferrabilità del male, nonché di alcuni tagli di immagine magistrali, specialmente quelli di apertura e chiusura con sfondo rurale, indimenticabili, che lasciano il segno e resero già in quei primi anni del nuovo millennio l'allora giovane regista Bong Joon-ho, come uno dei più interessanti ed ispirati cineasti destinati a far emergere un paese destinato a lasciare un segno indelebile in materia cinematografica.
VOTO ****1/2
The Host risulta stupefacente ancor oggi per la verosimiglianza in cui è stato realizzato e fatto interagire il mostro rispetto ai protagonisti (figurarsi nel 2006 alla prima, emozionante proiezione sul grande schermo dell'allora Noga Hilton, ora Palais Croisette, disposto proprio di fronte alla leggendaria Croisette); ma anche e soprattutto per come riescono la salda sceneggiatura e la splendida mano registica a giostrare una storia a metà strada tra la fantascienza e l'horror, addentro ai confini della commedia familiare con piccole esilaranti incursioni nella comicità più scatenata.
E la fotografia straordinaria, che rende il luogo più inospitale e sinistro a cui si possa pensare - ovvero il "carniere" ove il mostro custodisce le sue vittime con un premuroso ed a suo modo assennato e razionale senso di gestione delle risorse - uno dei luoghi cinematograficamente più suggestivi che siano mai stati riprodotti ed offerti alla visione del pubblico.
Uno spasso, questo film che unisce tensione a divertimento più dei Predatori dell'Arca Perduta, la quotidianità di vita tipica della commedia ed il senso dell'affetto familiare ancor più di quanto produceva E.T., oltre ad una tensione a fior di pelle degna di Alien, per un film-gioiello che rimane a tutti gli effetti un blockbuster, anzi "il blockbuster", ma che, anche grazie a ciò, trasuda quella autorialità e quella perfezione che renderanno il regista Bong Joon-ho un cineasta degno del primato da Oscar ottenuto quest'anno con il pluripremiato, famosissimo ed eccellente Parasite, già Palma D'Oro assai meritata quanto a sorpresa del Festival di Cannes 2019.
VOTO *****
SHANKING TOKYO e’ affidato al geniale sud-coreano Bong Joon-ho, ed e’ un piccolo capolavoro di intensita’, incanto emotivo, struggente sensibilita’. Un uomo ancora giovane, frustrato dalla frenesia del vivere quotidiano, sceglie di isolarsi in una vita monastica all’interno del suo appartamento, e vive da dieci anni senza incontrare nessuno, leggendo, pensando, facendosi rifornire a domicilio di generi di prima necessita’, abitudinario nel ciclico trascorrere del tempo, preciso catalogatore e razionalizzatore degli spazi del suo microcosmo. Si concede una pizza il sabato, che ritira porgendo il corrispettivo senza guardare il corriere che gliela consegna. Un giorno pero’ un particolare tatuaggio sul braccio di quella che si rivelera’ una splendida fanciulla spingera’ l’uomo a guardarla in volto. Subito dopo un violento sisma scuotera’ ogni cosa e la giovane sverra’ ai suoi piedi. L’uomo la soccorre, la sfiora castamente in uno dei “bottoni” che porta tatuati al braccio, la giovane si sveglia e fugge.Folgorato dalla visione celestiale della ragazza, il protagonista ordinera’ pizze per cercare di rivederla, ma presto scopre con amarezza che la giovane si e’ licenziata. Con la potenza dell’amore trovera’ la forza di riaffrontare lo spazio e le insidie del mondo esterno e iniziera’ a cercarla; verra’ rifiutato, trovera’ pero’ nel suo braccio il tasto dell’amore e sara’ un nuovo terremoto… non solo di sentimenti. Stupendo e toccante come solo un magnifico regista come Joon-ho sa rendere.
VOTO ****
Mother è innanzi tutto una drammatica rappresentazione di un rapporto contrastato madre/figlio, con un genitore apprensivo e oppressivo, in gran parte responsabile del disagio, della inettitudine e irresponsabilita’ del giovane figlio. Si scoprira’ nel corso della vicenda anche un drammatico tentativo di omicidio/suicidio da parte della donna, certamente una figura piuttosto problematica ed inquieta.
Ma il film e’ anche molte altre cose: un giallo innanzi tutto, in cui il barbaro omicidio di una giovane, esposto in modo crudelmente plateale sul tetto di una abitazione, fa andare in tilt le approssimative indagini di una polizia piuttosto svogliata e propensa a scegliere la soluzione piu’ semplice: meglio incolpare il giovane disadattato, povero, e senza grandi possibilita’ di difendersi che sobbarcarsi l'onere di un'indagine apparentemente piuttosto complessa.
Notevole anche l’interpretazione di Hye-ja Kim, nel ruolo di una madre eccessivamente ansiosa, a cui vanno imputati gran parte dei problemi del figlio disadattato, una donna tenace che pero’ non si arrende neanche di fronte all’evidenza piu’ schietta e drammatica, o almeno fino a quando non si accorge che a pagare dovra’ essere un soggetto ancor piu’ debole e vulnerabile rispetto al gia’ problematico figlio.
Bellissima e indimenticabile la scena della danza della “madre” tra le flessuose spighe di grano con cui si apre il film, ripresa poi nel finale straziante e straniato in cui emerge la soluzione che dovrebbe accomodare tutte le esigenze, ma che invece devasta irreparabilmente la coscienza della protagonista.
VOTO ****
Altro che blockbuster insomma! Snowpiercer è il "Brazil" di Bong Joon-ho, e il fumetto che ne ha ispirato la genesi è la base che ha permesso a questo geniale cineasta di affrontare tematiche globali inquietanti ed affascinanti insieme, dove problematiche civiche e razziali si commistionano alla perfezione con il lato ecologico/catastrofico legato alla devastazione del nostro pianeta da parte di una umanità sempre più aberrante. Popolato, come il capolavoro di Gilliam. da personaggi grotteschi, eccentrici, sopra le righe e mostri di una umanità che si aggrappa sulle unghie di ogni più sordido compromesso per assicurarsi la sopravvivenza, Snowpiercer ha genialità di scegliere il treno come un universo che per essere attraversato necessita fisiologicamente di essere percorso completamente, permettendo dunque al "messia" ribelle di scoprire verità agghiaccianti sulle differenze di trattamento che separano chi conta da chi invece è meno di zero: da chi lotta per accaparrarsi la sua barretta gelatinosa insapore e viscida, sottoposto a vessazioni e torture per ogni omissione anche incolpevole, a chi inganna il tempo del suo viaggio senza fine occupato solo a decidere di quale delizia cibarsi, a quale acconciatura elaborata contornare la propria estremità superiore, in quale discoteca o locale trendy trascorrere la propria serata. Tutti vagoni che il nostro manipolo di eroi ribelli percorre per raggiungere il dio ingiusto che governa quel mondo raggelato fisicamente e pure nell'animo, decimandosi senza pietà: perché in questo film non c'e' spazio per la speranza e anche i protagonisti che più ci rimangono nel cuore muoiono decimati dalla cattiveria di una umanità che vive come in un acquario, dove tutti sono necessari, ma nessuno, tranne quel dio che nessuno conosce, è indispensabile. Una metafora potente sulla storia dell'umanità che trasporta il blockbuster su territori ben diversi e ben più complessi ed ambizioni di qualunque altro film d'azione.
VOTO ****
Favola ecologista a base di maiale-elefante transgenico che dimostra un cuore ed un carattere tali da renderlo inimmaginabile come animale sacrificale, pietanza da macello per sfamare una umanità senza risorse. Dinamico, ironico, girato con la perizia che riconosciamo come dote strategica del gran cineasta di The Host.
Non il "Joon ho" dei tempi migliori, forse, ma comunque nei dintorni di un gran bel film ove le doti eccelse del grande cineasta - attorniato per l'occasione da un cast misto tra occidentale (Gyllenhall-Swinton-Dano scatenati e mobili come macchiette comiche - da citare su tutti pur non essendo nessino dei tre il benché minimo protagonista) e coreano di tutto rispetto - sono visibilmente presenti a garantirci due ore di favola che scorrono con la velocità di in thriller serio e concitato pur essendo tutt'altro; conservando livelli di ritmo a cui ormai il regista ci ha abituato a pretendere dal suo fino ad oggi sempre splendido e tecnicamente ammirevole lavoro di direzione e ripresa.
VOTO ***1/2
I poveri sono cattivi dentro, avidi, imbroglioni ed approfittatori.... e puzzano pure.
I ricchi sono belli, gentili, gradevoli, ma come infiacchiti dall'opulenza che li circonda, che li rende poco per volta vulnerabili, creduloni, ingenui, propensi a farsi fregare.
E' un film fantastico, l'ultima fatica del gran regista coreano Bong Joon-ho: un film che, già dal titolo, e poi dalla inquietante locandina, fa pensare ad un tipo di parassita cosmico, ad una minaccia superiore come lo era quella dell'altro magnifico The Host; poi ci si accorge che di parassiti si sta parlando, ma nell'ambito di una dimensione tutta tragicamente terrestre, addentro ad una avviata economia di stampo occidentale, pur nel cuore di uno dei paesi più industrializzati dell'Est-Asiatico, in cui tuttavia il divario tra la minoranza di ricchi e la maggioranza degli indigenti, si sta sempre più demarcando, creando una barriera impenetrabile ove risulta sempre più difficile avviare una comunicazione fruttuosa tra i due estremi.
Sferzante, ironico, potente nella sua direzione convulsa che riporta al thriller convulso più angosciante pure la commedia sofisticata e a tratti scanzonata che pareva caratterizzare la narrazione lungo la sua prima parte; bizzarro al punto da inserire in colonna sonora pure un pezzo cult di Gianni Morandi (addirittura il melodrammatico "In ginocchio da te"), Parasite è stata la sorpresa di Cannes 72 ed il maggior riconoscimento devoluto in quella sede all'ottimo autore sudcoreano, mi pare si tratti di una sorpresa inaspettata ed un premio davvero azzeccato.
VOTO ****
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