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Francesco Benigno: Il colore del dolore - Intervista esclusiva
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Francesco Benigno e la compagna Valentina Magazzù

 

Esistono le favole. Seppur perentoria, l’affermazione può calzare a pennello a Francesco Benigno, attore palermitano che ha fatto della sua recitazione viscerale il suo più grande marchio. Noto per la sua recitazione impetuosa, Benigno si è fatto notare sin dalla prima volta che è apparso sullo schermo. Del resto, lui, da sconosciuto e alla prima esperienza, in quel cult che è Mery per sempre di Marco Risi riesce a tenere testa a un giovanissimo Claudio Amendola e al più navigato Michele Placido. Tutti noi abbiamo impressa nella mente la scena in cui inizia a urlare in faccia “Mafia mafia mafia!” a un sempre più avvilito Placido tra le aule del carcere minorile Malaspina. Tra i ragazzi scelti da Risi è di gran lunga uno di quelli che si è impegnato di più, sfruttando il talento e la determinazione per coltivare con passione l’occasione di vita capitatagli: negli anni, Benigno è riuscito a costruirsi una solida carriera, fatta di film, fiction televisive e programmi a cui ha preso parte. Si sono susseguiti, tra gli altri, titoli come Palermo-Milano sola andata,la serie del capitano Ultimo, L’ora legale, Anni ’90 e Vacanze di Natale ’91 (lavorando, in quest’ultimo, a fianco del grande Alberto Sordi), in grado di far emergere la sua vena ora drammatica ora comica.

Del resto, Francesco ha la faccia e i colori del palermitano tipico, oltre che l’indole. Questo, almeno, a prima vista. Perché invece Francesco è quello che in città si definisce “un pezzo di pane”, un uomo che dietro il suo malinconico sguardo nasconde una vita che, grazie ai giusti incontri e alla volontà di ferro, ha saputo cambiare e capovolgere. Cresciuto con le spalle al muro, ha saputo con la forza dell’amore, degli incontri giusti e della resistenza, alzare la china e fare tesoro di ogni caduta. Si è rialzato quando ha perso la madre, si è rialzato quando in un istituto per giovani problematici ha ripreso a studiare, si è rialzato quando ha incontrato Risi, si è rialzato quando ha trovato l’amore.

Francesco Benigno da bambino con l'intera famiglia

 

Sono venuto a conoscenza quasi per caso del suo primo film da regista, Il colore del dolore. Ho visto una lunga intervista in tv e contrariamente a come si fa di solito, quando sono gli uffici stampa a contattarti, sono stato io a cercarlo. Dopo un breve messaggio, Francesco mi ha richiamato ed è scattata sin da subito una particolare empatia. Le anime ferite si riconoscono da lontano, si annusano e familiarizzano in breve tempo. Riusciamo a fissarci un incontro in città e, seppur tra mille contrattempi, ci incontriamo. «Ho fatto un film che non parla di mafia. Un caso quasi raro a Palermo: quando si parla degli anni Ottanta sembra sempre che la città vivesse di sola mafia e non esistesse altro. Volevo mostrare una Palermo diversa, una Palermo immersa nella sua bellezza. Sarà per questo che ho voluto tante scene all’aperto. È vero che la città è cambiata ma ho optato per soluzioni visive che la rendono quasi sospesa nel tempo», è la prima cosa che ha tenuto a precisarmi, quasi come se volesse offrirmi un primo identikit di Il colore del dolore, di cui ha scritto la sceneggiatura (raccontando episodi veri e altri figli di esigenze narrative) e curato la regia. Non deve essere stato facile per uno come lui spogliarsi per raccontare la propria storia ma voleva «mostrare come anche nella peggiore delle condizioni la speranza è uno scoglio a cui aggrapparsi, qualcosa a cui non rinunciare mai, anche quando tutto sembra remarti contro». E il risultato sembra dargli ragione: la sua è un’opera compatta che non tralascia nulla della durezza che ha dovuto affrontare, a partire dalle severe punizioni corporali a cui lo ha sottoposto il padre che, con violenza, riversava su di lui gli umori legati alla sua attività di biscazziere. Non mancano gli accenni alle umili condizioni in cui è cresciuto e alle esperienze più controverse. Ma su tutto regna il desiderio di sottolineare come non bisogna arrendersi mai, come rimboccandosi le maniche la vita sappia voltare pagina e regalarti qualcosa in cui credere.

Inevitabilmente, ho voluto concentrarmi sul Francesco regista. E ho voluto che mi parlasse della realizzazione di Il colore del dolore, di cui trovate qui in anteprima assoluta la recensione. Della sua vita, Francesco non rinnega nulla. Quando gli ho chiesto delle immagini per accompagnare questo pezzo, mi ha regalato cinque frammenti diversi di vita privata, cinque immagini che lo vedono figlio, uomo, padre, nonno e compagno. Nella famiglia Francesco ha trovato la sua serenità: lo si legge in faccia quando cita i figli, quando in privato nomina i nipoti o quando parla del suo grande amore Valentina.

 

Francesco Benigno con la compagna Valentina Magazzù, il figlio Giuseppe, la nuora e i due nipotini.

 

Da dove nasce l’idea di raccontare la tua storia?

Nasce da un momento particolare, intimo, condiviso con mio figlio Manuel. Vivevo a Roma e di notte gli raccontavo le favole, come facevano i genitori di una volta. Piuttosto che narrargli qualcosa di già sentito, mi venne in mente di raccontargli la storia di Francesco, il dodicesimo di tredici figli che viveva a Palermo, una città non facile e piena di disagi, che aveva la madre malata e che, a causa delle poche possibilità, andava in collegio. Ho notato allora, sebbene fosse piccolo e non sapesse nulla della mia vita, che Manuel era molto affascinato dal racconto: tornava le sere successive a chiedermi di continuare il racconto, non sapendo che faceva appello alla realtà.

E come si passa dai racconti alla voglia di farne un film?

Ero sul set di Tutte le donne della mia vita di Simona Izzo quando ho espresso al direttore della fotografia Blasco Giurato, che come sapete è uno dei più grandi direttori della fotografia in Italia e ha lavorato con Peppuccio Tornatore per Nuovo Cinema Paradiso, il desiderio di scrivere una storia autobiografica. Ho chiesto a lui quanto potesse interessare il mio racconto, la mia storia di riscatto. Non sapendo io scrivere una sceneggiatura, mi ha indirizzato verso suo nipote, Furio, sceneggiatore e regista (figlio di Luca Giurato, ndr).

Prima del lungometraggio, però, c’è stato il trionfo al Giffoni Film Festival.

Tutto è avvenuto quasi per caso. Ho incontrato Furio. Gli ho raccontato la mia vita a partire da quando ero bambino. Furio ha appuntato ogni cosa e ha lavorato a un trattamento. Nel 2007, l’IMAIE aveva creato bandi per finanziare giovani registi, corti e autori emergenti. Ho chiesto a Furio di elaborare un testo che potesse fare da base per un cortometraggio sulla mia infanzia e l’ho sottoposto all’attenzione dei selezionatori. Ho ottenuto il finanziamento e ho girato il corto nel 2007 a Palermo con protagonista mio figlio nei panni di me da piccolo (nonostante sia cresciuto a Roma, se l’è cavata più che bene). La fotografia è stata curata da Blasco Giurato, con l’aiuto del nipote Furio e dell’operatore Fabio Lanciotti. Il tutto è stato realizzato con mezzi quasi di fortuna, non avevo molto budget a disposizione. Ho lavorato poi per tre mesi alla postproduzione, curando ogni dettaglio. L’ho mostrato al grande maestro Marco Falagiani, che ha voluto fare la colonna sonora, e a diversi addetti ai lavori. Questi ultimi mi hanno suggerito di mostrarlo a Paola Comin, ufficio stampa del Giffoni Film Festival. Il cortometraggio, Benigno è il titolo, è stato allora scelto per la rassegna, nella sezione Sguardi inquieti, dove era in concorso con opere provenienti da oltre 21 differenti nazioni. Con sorpresa, è stato il mio film ad avere la meglio e a vincere il Grifone d’Argento.

Francesco Benigno con i figli Giuseppe e Manuel

 

Immagino che da qui sia sorta la volontà di andare avanti.

Mi sono detto: visto che interessa il corto, scriviamo la sceneggiatura del lungometraggio e proviamo a realizzarlo. Furio aveva altri impegni lavorativi e mi sono allora rivolto a un giovane toscano (che scrive molto bene) di nome Carlo Baldacci Carli. Tramite Skype, lui dalla Corsica e io da Roma, abbiamo scritto la prima stesura della sceneggiatura. Ne è poi venuta una seconda, che abbiamo fatto leggere a Gianni Saragò, un produttore adesso in pensione a cui è piaciuta molto e che ha voluto darci una mano. Ho conosciuto dopo Eduardo Rumolo, organizzatore e produttore che mi ha chiamato per recitare come attore in un suo cortometraggio. Poiché era socio della Rossellini Film, gli ho proposto di lavorare insieme alla produzione del mio film. Nonostante la Rossellini Film non avesse i soldi necessari, abbiamo avviato l’iter della produzione grazie ai contributi della Sicilia Film Commission e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Con l’aiuto dell’IMAIE e dei vari tax credits, mi sono messo a lavorare su sopralluoghi e casting (a Palermo, ai miei provini si sono presentati quasi 3 mila aspiranti attori, un dato record). Ero sul punto di cominciare a girare quando, non avendo accesso al credito, la Rossellini Film non aveva possibilità di rivolgersi alle banche per ottenere gli anticipi necessari alle riprese. E lì si è bloccato il tutto: ho provato a coinvolgere terze parti ma non era prevista la cessione. Nessuno poteva dunque subentrare alla Rossellini Film e, dopo due anni di rinvii e spostamenti, ho dovuto rimettere indietro le delibere.

Sfumato un primo tentativo, non ti sei arreso.

No. Non mi piace stare con le mani in mano. Ho aperto un’associazione culturale, Mary per sempre, con cui – grazie a un finanziamento dell’IMAIE – ho girato un mediometraggio scritto e interpretato da mio figlio Manuel. Si intitola Scintilla e ha come argomento il cyberbullismo. Ma il mo sogno restava sempre quello di voler a tutti i costi concretizzare il mio lungometraggio e ho dunque presentato domanda di finanziamento alla Sicilia Film Commission. Ho avviato finalmente la produzione e iniziato a cercare contributi esterni. Ho parlato con Salvo Ficarra e Valentino Picone, con cui ho girato L’ora legale, e mi hanno dato un contributo a titolo amichevole e a fondo perduto. Sono riuscito a coinvolgere un imprenditore palermitano. Ho presentato richiesta di contributo alla Sicilia Film Commission e, da solo, ho chiuso tutti gli accordi con i fornitori, ho trovato il cast tecnico e ho selezionato gli attori. E l’estate del 2019, in 5 settimane, sono riuscito a girare Il colore del dolore tra le province di Messina, Agrigento e Palermo.

E il sogno è divenuto realtà, per usare un linguaggio da favola.

È un film che trasmette emozioni e che racconta di riscatto. È un film che è un tributo a Marco Risi e che dà opportunità ai giovani, come tento di fare tutti i giorni con la mia associazione culturale, fondata appositamente per mettermi al servizio loro. È un film che fa capire ai ragazzi di oggi che hanno tutto e non sono mai soddisfatti quanto importante sia rispettare e amare la propria vita anche quando non si ha niente e si affrontano mille difficoltà. È un film che ha una chiusura in grado di trasmettere notevolmente speranza. È un film che ha le musiche meravigliose composte appositamente da Savio Riccardi e ha il montaggio del grandissimo Ugo De Rossi. Credo di aver fatto un buon lavoro, sebbene le limitate risorse: non vedo l’ora che il film arrivi nelle sale (di tutta la Sicilia e in Calabria, in un primo momento).

Francesco Benigno da piccolo con l'amata madre

 

 

Parliamo di un’altra cosa positiva. So che arriverà nelle librerie il 7 marzo la tua autobiografia.

Il libro racconterà la mia vita. È la mia storia di "uomo nuovo", rinato dopo avere conosciuto il dolore grazie a persone che mi amano come Valentina e alla forza che ho trovato nel nostro cammino di fede. Ho scritto il libro insieme a don Giuseppe Calderone, che ha raccolto i miei ricordi e le mie esperienze di vita, articolando il tutto in successione storica e di emozione. La casa editrice si chiama "We Can Hope" (noi abbiamo speranza, noi speriamo). Mentre il film girerà, a Dio piacendo, le sale cinematografiche, l'uscita del libro mi vedrà impegnato in presentazioni speciali: incontrerò i giovani nelle scuole e nei loro luoghi di ritrovo per portare loro la testimonianza diretta del dolore vissuto e della "vita nuova" che ho ora trovato.

Francesco Benigno e la compagna, l'attrice e presentatrice Valentina Magazzù

 

Trovate qui, invece, la recensione del suo film: Il colore del dolore - Recensione 

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Pietro Cerniglia.

©2020 Mondadori Media S.p.A. – Riproduzione riservata

 

 

Francesco Benigno e Pietro Cerniglia

 

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