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DEL CORONAVIRUS E DI ALTRE QUESTIONI
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DEL CORONAVIRUS E DI ALTRE QUESTIONI

o Della paranoia accuratamente alimentata

 

 

Ormai da un paio di giorni non si parla d'altro.

Il coronavirus è tra noi.

Evidentemente, qualcuno s’era per un attimo illuso che un virus potesse rimanere costretto, ingabbiato, blindato a lungo all’interno degli “angusti” confini di un unico paese o di un’unica area geografica (con al massimo qualche trascurabile caso prontamente intercettato all’esterno). Anzi, ancor meglio, che potesse rimanervi ingabbiato addirittura ad aeternum. E, dunque, che potesse rimanere un grattacapo di altri, mentre noi tutti si sarebbe rimasti al sicuro, nelle nostre comode case, nelle nostre “progredite società”. Al massimo massimo si sarebbe potuto giusto internare tutti i potenziali infetti, ovvero tutti gli asiatici residenti nei nostri paesi (che tanto chi li distingue? Tutti con gli occhi a mandorla, accidenti!), e tutto si sarebbe concluso lì in serenità e allegria.

Salvo poi scoprire che virus e affini non si concedono a distinzioni di genere, provenienza o classe. Salvo poi scoprire che un’influenza o un raffreddore te li può trasmettere anche il miliardario di turno. Salvo poi scoprire che, difatti, mentre ci si affannava a “chiudere i confini”(chiaramente, solo agli stranieri) o chiedere di farlo quello, il virus, probabilmente già se ne viaggiava bellamente in business class.

Duro il risveglio per chi è sempre stato addormentato.

 

E’ notorio che virus, batteri e compagnia cantante vengono diffusi precipuamente da stranieri. Almeno, era noto fino all’altro ieri. Adesso si è scoperto che anche degli italiani possono trasmetterli e diffonderli. Adesso di barconi e combinate prodezze intellettive non si fa più gran parlare. Oggi ci si strugge nella perentoria condanna di meschini atti di violenza ed intolleranza. Oggi si continua a ripetere di non lasciarsi prendere dal panico. Tutto questo dopo settimane di continuo bombardamento mediatico, quotidiano e tartassante. Con un continuo profluvio di notizie o supposte tali, di prodi aggiornamenti di numeri e statistiche, d’inviati coraggiosi e imbellettati ai terminal aeroportuali, di ripetuti inviti alla calma di fronte ai toni si capisce pacati dell’informazione e alla totale inesistenza d’un emergenza di cui eppure si continua a ripetere la gravità…

Ma, di fronte a ciò, è tutta colpa di Internet. Quindi, non vi preoccupate, continueranno così. In nome del “dovere di cronaca”. Nel frattempo, però, non fatevi prendere dal panico, per la miseria!

 

 

 

 

Sono momenti come questi che mi fanno riaffiorare inevitabilmente alla mente la memoria di uno dei capolavori intramontabili della settima arte diretto da quel genio di Billy Wilder con protagonista per altro un recentemente deceduto Kirk Douglas: L'asso nella manica (Ace in the Hole, 1951). Signori e signore, breaking news: di Internet e a maggior ragione dei social networks non v’era traccia all’epoca. Capisco la cosa possa risultarvi scioccante.

Ciononostante, i meccanismi rimangono sempre quelli, solo aggiornati ai tempi. La ricerca dello scandalo, la ricerca del sensazionalismo, tramite il “titolo ad effetto”, si è anzi tramutata in un’arte a sé stante che ha perfezionato oltre ogni dire i propri strumenti. La persistente alimentazione di paura, paranoia e panico hanno ora alle spalle una grancassa ai tempi inimmaginabile che le fanno propagare ad una velocità prima inaudita. Eccolo qui, tutto l’intervento di Internet. La velocità e l'entità della propagazione. In tutta onestà le sciocchezze e specialmente le notizie shock venivano pubblicate anche prima, gli idioti circolavano in gran numero anche in passato, semplicemente non avevano accesso agli strumenti odierni. Con i quali contribuiscono certo come singoli al clima di paranoia montante e dominante in ogni caso ancora in buona parte alimentato da quei mass media che però, e non dovrebbe risultarvi incredibile, declinano educatamente qualsivoglia responsabilità in proposito. Sono i social networks, possibile che non capiate? Al di fuori di quelli, si tratta di pura, semplice, pacatissima e moderatissima, informazione. Mettetevelo in testa.

 

Tuttavia, non era solo di questo che intendevo parlarvi quest’oggi.

V’è un’altra questione che merita un’attenta disamina: quella dei cambiamenti climatici. “E che accidente c’entrano in questo caso?” Presto detto.

L’idea che per la mia lo ammetto mediocre e frugale mente gira insistentemente da alcune settimane è che tutto ciò che sta avvenendo in questi giorni d’inizio 2020 non si debba considerare altro che un fosco presagio di ciò che ci aspetta in futuro. E peraltro in scala ridotta.

Vado a spiegarmi. Tra le innumerevoli questioni che gli scienziati vanno ormai con enorme estenuazione ripetendoci ad ogni pie’ sospinto essere d’un enorme gravità v’è anche quella del scioglimento del permafrost. Una di quelle questioni che ormai da almeno vent’anni vanno dicendo bisogna affrontare al più presto prima che sia troppo tardi. Questo, con intenti e toni contrari a quelli della propaganda. Tutt’altro che allarmistici e tutt’altro che sensazionalistici. Perché qui si parla di fatti presentati in maniera veramente sobria (e non sedicente tale). Addirittura, si potrebbe dire, troppo sobria perché in qualcuno si è difatti instillata l’idea che non si tratti poi di questioni così tanto gravi e che quindi si possa pure tranquillamente rimandare a data da destinarsi. Questo “qualcuno” comprende i detentori del potere e certi loro organi di stampa, ma comprende anche purtroppo tanti semplici individui comuni ottenebrati da decenni di propaganda o da una vita intera vissuta nella superstizione e nell’illusione.

 

 

 

 

Ma veniamo al nocciolo della questione. Cos’ha a che fare con coronavirus e affini il discorso intorno allo scioglimento dei ghiacci e, in particolare, del permafrost? Beh, vi ha un gran “a che fare”. Perché ora come ora, date le misure sinceramente insufficienti messe in campo per affrontare la piaga imminente del riscaldamento globale, l’aumento dei 2°C non è solo “nell’orizzonte delle cose possibili” ma è quai una certezza matematica. E, una volta raggiunta quella soglia, s’innescheranno una serie di meccanismi di feedback potenziati all’ennesima potenza sui quali non avremo modo di intervenire (fatto salvo per la pronta e provvidenziale invenzione di una qualche rivoluzionaria, fantascientifica, miracolosa tecnologia). Tra questi vi è quello della rifrazione dei raggi solari.

Come risulterà evidente, il ghiaccio, essendo bianco, riflette la luce del Sole in misura notevolmente maggiore che non l’acqua scura priva dello stesso. Perciò, lo scioglimento già in atto e che verrà ulteriormente accelerato dall’aumento di 2°C genererà una molto più vasta area di mare non coperta dai ghiacci la quale rifletterà meno luce solare la quale a sua volta contribuirà ad un ulteriore incremento delle temperature. E così via, in un perfetto circolo vizioso.

 

Finché non si arriverà persino allo scioglimento del permafrost. Il che provocherà non solo il rilascio di ignote quantità di un potentissimo gas ad effetto serra come il metano che non “contribuirà” ma anzi più che altro darà spinta radicale verticale terrificante all’aumento delle temperature, ma inoltre provocherà in concomitanza il rilascio di malattie laggiù incastonate da innumerevoli anni. Ere geologiche. Malattie antiche di milioni, anche centinaia di milioni di anni con le quali gli uomini così come la maggior parte degli altri esseri viventi non sono mai entrati in contatto. Malattie totalmente sconosciute al nostro sistema immunitario che pertanto non potrà che rivelarsi inefficace. Pensate a quel che avviene in La cosa di Carpenter togliendovi la componente extraterrestre ma moltiplicato su scala globale e ve ne formerete un’idea forse addirittura parziale.

 

Se, dunque, per concludere, di fronte ad un qualcosa di sicuramente meno preoccupante come il coronavirus le risposte di parte della gente dei media e dei governi (specialmente i primi due) sono così incontrollate o febbrili o paranoiche o tutt’e tre, cosa potrebbe mai avvenire nell’eventualità sopra descritta? Nell’eventualità che si debbano per forza di cose affrontare contemporaneamente desertificazioni, carestie, esodi mai visti e malattie ignote? Non c’è da avere gran fiducia nelle nostre capacità di resistere a tragedie del genere. La civiltà così come la conosciamo ha avuto modo di crescere, svilupparsi e prosperare in un periodo di relativa stabilità climatica circoscritto e brevissimo dal punto di vista geologico. Difficile immaginare possa sopravvivere a simili cataclismi.

 

 

"But, anyway, it doesn't matter, don't panic!"

 

 

E, va da sé, tutto questo lo dico non per diffondere il panico o per deviare l'attenzione dal presente, perché qualcosa è ancora possibile fare. Fare, appunto nel presente, in maniera consapevole e senza stupide boutade o affrettati provvedimenti emergenziali in futuro che, invece di prevenire, tenteranno indubbiamente senza quasi mai riuscirvi di curare. Lo dico per, in qualche modo, rassicuravi. Soprattutto, lo dico perché ci si renda conto che, nonostante il bombardamento mediatico, difficilmente sarà il coronavirus (che pur non va eccessivamente sottovalutato) a toglierci di mezzo, difficilmente si rivelerà una nuova influenza spagnola, difficilmente se ne parlerà ancora tra cinque anni. Mentre invece malattie come quelle ancora là da venire o malattie tropicali come la dengue (che si sta diffondendo in maniera preoccupante in America Latina…) rischiano di diffondersi con l’aumento delle temperature. Non allarmatevi però, non accadrà domani, quindi per ora giustamente nessuno ne parla. Viviamo nell'eterno presente.

Ma non si era sempre detto che, per l’appunto, è meglio prevenire che curare?

 

 

*P.S.: in realtà, credo di aver fatto due cose: “rassicurarvi”, almeno in parte, sul coronavirus e però forse impaurirvi circa il futuro che ci attende. Dite che mi faranno opinionista televisivo?

 

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