C’è stato un periodo in cui certi film mi stomacavano - quel Miyazaki che tutti dicono genio assoluto, o l’ultimo allucinogeno prodotto di Lynch, o quella miracolosa produzione indipendente sconosciuta alla maggior parte della popolazione normale, ma portata in palmo di mano della critica-che-ne-sa - ma avevo preoccupazione di rivelare persino a me stesso la mia uggia, quasi ne provassi vergogna, perché ero evidentemente io a sbagliare. Cercavo distrattamente, in rete, conferme al mio sentimento di fastidio: trovavo poco, e comunque niente di rilevante. Non ricordo esattamente il momento e l’occasione in cui incontrai la prima recensione di Massimo Bertarelli, ma ricordo perfettamente che per me ebbe l’effetto di una rivelazione. Mi si spalancò d’improvviso un mondo. Era un autentico spasso. Totem intoccabili e circondati da un’aureola di santità, venivano etichettati finalmente come i tromboni che sono, film che sul Mereghetti e sul Morandini raccoglievano tutte le stelle del firmamento, giustamente da Bertarelli venivano ridimensionati a pizze barbose ed indigeribili, oltreché incomprensibili. Avevo trovato un critico che parlava la mia lingua, e che dava voce alle mie più segrete ed inconfessabili ansietà. Per la prima volta, mi sembrava di leggere qualcuno che pensava veramente ciò che scriveva: una sensazione nuova e celestiale. Il bambino che grida: “L’imperatore è nudo”. Quindi, giù a recuperare retroattivamente tutte le recensioni passate, e poi a comprare il suo imperdibile libro di cinesconsigli, e non perdersi nemmeno un suo intervento al Cinematografo di Marzullo. La lezione che mi ha impartito Massimo Bertarelli, e che ha rivoltato come un guanto il mio modo di guardare il cinema, ha la saggezza incomparabile delle cose più semplici: fidati sempre della tua sensazione, e non inventare delle ragioni a posteriori per farti piacere il film. Non negare la tua identità e la tua volontà. Abbi la sfacciataggine di essere superficiale, perché in certi casi è la visione più superficiale quella più veritiera. Ho imparato a guardare alla critica cinematografica, e, debbo dire, a tanti appassionati di cinema, come a una massa indistinta e a-critica, per cui il bello comunemente accettato è tutto bello (ma se ti piace tutto, è in fondo come se non ti piacesse niente), e il brutto fa tutto schifo, è tutto laido, è tutto indegno. Massimo sapeva trovare della dignità anche nei filmetti più maltrattati, ove ce ne fosse: altrimenti, naturalmente, falciava senza pietà. Amava dire, con misurata perfidia, che per i film dei Vanzina passava un racconto del costume italiano contemporaneo assai più pregnante che per i capolavori dei registoni adorati dai Festival e dalla critica più paludata. Eccolo, il secondo formidabile insegnamento di Massimo Bertarelli: niente è degno o indegno a priori, non avere quindi pregiudizio verso nulla, ma abbi cura sempre di valutare con la tua testa e con i tuoi occhi ciò che hai guardato. Non sempre il mio giudizio collimava con quello di Massimo: eppure c’era talmente tanta sincerità anche nelle stroncature più inconcepibili – 2001: Odissea nello spazio, per fare un esempio – che era impossibile volergli male, ed era impossibile non sbellicarsi anche alla duecentesima lettura. Avevi la sicurezza matematica che se Bertarelli dava 2, l’aveva fatto in piena coscienza: una percezione che raramente mi capita di avere. Amava alla follia Monicelli, Risi, Germi: eppure nel suo bignamino sono sconsigliati tanti dei loro film. Detestava amabilmente Antonioni, non digeriva Fellini: eppure fra i suoi 100 film da salvare vanta sia un Antonioni sia un Fellini. Gli rimproveravano di essere un insolente, un anti-intellettuale, un incompetente, sostenevano, verdi di bile, che non fosse un vero critico perché parlava di noia e di incomprensibilità, e non delle filosofie oscure che si nascondono dietro un peto d’autore o silenzi di tomba lunghi interi quarti d’ora. Lo caricaturizzavano pur di esorcizzarlo, perché le argomentazioni, tutte vane, si frangevano contro la maschera imperturbabile del Massimo: ed ecco quindi la macchietta del Bertarelli bastonatore indefesso, che odia tutto e fa così per posa. Ma Bertarelli mica odiava tutti i film: tante erano le opere che lo facevano emozionare, commuovere, purché non in maniera ruffiana, ridere, sobbalzare, e per tutte queste aveva parole al miele, cariche di sincera ammirazione. Ne sapeva tanto di cinema, Massimo Bertarelli, almeno mille volte di più di quei beoti che lo ostracizzavano.
Mi mancherà un sacco Massimo Bertarelli. Mi mancherà la sua capacità innata ed inimitabile di racchiudere in poche parole ciò che interi volumi di critica cinematografica non riescono ad esprimere, mi mancherà il suo bonario cinismo, mi mancherà il suo impeccabile stile di scrittura, da giornalista della vecchia scuola, mi mancherà la sua gentilezza d’altri tempi, mi mancherà il suo sguardo inflessibile nel quale però s’intuiva un’inesplicabile timidezza. Ciao Massimo, e perdonami per la sbrodolata, perdonami se non sono stato sintetico come solo tu sapevi essere, e perdonami anche per il pessimo elogio post mortem, che avresti tanto tanto detestato.

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Concordo al 100%... Massimo Bertarelli è stato uno dei pochissimi critici cinematografici sempre limpidi nel giudizio e mai asserviti al piattume ideologico imperante...
Condivido e mi associo. Talvolta dissentivo dai suoi giudizi, ma gli riconosco il merito di essere stato una voce libera, una delle poche non compromesse con cattedre e pulpiti. In un paese di mascalzoni e prebendari, era - per dirla spiccia - tra i pochi che potevano dirsi a tutela del consumatore
Ho sempre preferito l'originale: il simpaticissimo Sallusti
manchera' anche a me,meglio i suoi pareri schietti ma sinceri (a volte non mi trovavo d'accordo....) che la maggioranza di pareri che girano attorno alla preda (il film) senza mai azzannarlo...e ce ne sono...come se ce ne sono.
Non sempre ho concordato con i suoi giudizi (e questo tutto sommato credo sia normale) tuttavia in certe circostanze mi sono trovato in linea col suo pensiero. Ad esempio ho guardato almeno tre volte Otto e mezzo di Fellini cercando di capire perché tutti lo ritenessero un capolavoro mentre io lo trovavo noiosissimo e sconclusionato, poi ho letto il giudizio di Bertarelli e mi sono sentito sollevato: anche un critico professionista la pensava come me.
Credo che Bertarelli sia stato una sorta di Guidobaldo Maria Riccardelli alla rovescia, quello si divertiva a straziare Fantozzi e colleghi con film ungheresi sottotitolati in russo, questo si divertiva a far saltare per aria certi "miti intoccabili". Io l'ho apprezzato molto per questo. E credo che una voce così fuori dal coro sia comunque da apprezzare
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