106.800.000.000 euro giocati nel 2018, in aumento del 5% rispetto all'anno precedente, tra slot, gratta e vinci, lotto, superenalotto, scommesse on line e ippodromi. Il 45.5% del giocato si divide tra slot machine e videolottery. 263.322 sono le slot machine dislocate in tutta Italia, dalle sale apposite ai bar sotto casa (già in aumento dell'1,5% rispetto alla riduzione voluta e attuata dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli). 56.967, invece, sono le videolottery, anche queste in aumento del 2%. Sono questi i numero legali del gioco d'azzardo in Italia, secondo l'ultimo rapporto del 2019 facente riferimento all'anno precedente. Quali invece siano i numeri del gioco d'azzardo clandestino non è dato saperlo. Quello che si sa è che la criminalità organizzata ha fatto del gioco d'azzardo uno dei cavalli di battaglia, trovando spesso anche il modo di mettere le mani nei fondi destinati allo Stato. Basti sapere che esistono dei modi piuttosto elementari per manipolare i dati che in tempo reale le tanto amate macchinette mandano allo Stato. Con un conto approssimativo, i dati del gioco d'azzardo andrebbero quasi raddoppiati: spessoo i gestori delle sale riescono a non comunicare anche il 60% delle giocate effettive, trasformandole di fatto in un guadagno in nero che va nella gran parte dei casi a rimpinguare le casse della mafia. A Palermo, diverse sono state le operazioni condotte dalla Polizia tese a sgominare le reti criminali che si nascondevano dietro le sale scommesse, divenute oramai la nuova chimera del riciclaggio e del guadagno facile. Nonostante ciò, giocare alle macchinette non è ancora stigmatizzato come il drogarsi quando in realtà dovrebbe esserlo. Si parla non a caso di dipendenza dal gioco, di una patologia vera e propria con tanto di nome, ludopatia, e tanto di cure psicologiche e in taluni casi anche psichiatriche.
La ludopatia comporta una totale alienazione dell'individuo che ne soffre, deprivato della sua quotidianità e delle sue reti sociali. Spesso il ludopatico è una persona che, con le spalle al muro, è rimasta sola dopo aver perso soldi, posizione sociale, lavoro e affetti familiari. Si tratta dell'ultimo stadio di un percorso che ha il suo campanello d'allarme in una frase che fin troppo spesso sentiamo oramai pronunciare: "gioco l'ultimo euro (o compro l'ultimo biglietto) e poi smetto". Il poi è qualcosa che in realtà non arriverà mai se non in maniera netta o tragica. Chi è ludopatico vive un'odissea interiore che lo porta inevitabilmente a una sorta di dissociazione della personalità: da un lato, è consapevole di mettere in atto un atteggiamento sbagliato, ma dall'altro lato non riesce a smettere di ricorrere a quella che oramai è una dorga quotidiana. Come il bulimico non smette di mangiare fino a quando non vomita anche sangue, così il ludopatico non smette di giocare fino a quando non si macchia di sangue, reale o metafisico. Contro la ludopatia, a parte i messaggi di pubblciità sociale, poco si fa in Italia. Anzi, si tende a minimizzare la questione: allettanti pubblicità promettono milioni di euro, i Monopoli di Stato fanno annusare la polvere del SuperEnalotto e sirene procaci richiamo con le loro utopie, salvo poi lavarsi la coscienza con un messaggio recitato quasi sottovoce e di sfuggita: gioca consapevolmente. Qualcuno venga a spiegarci cos'è questa tanto declamata consapevolezza.
Il cinema e il gioco d'azzardo sono sempre stati imparentati. Il fascino del poker cavalca insieme ai cowboy del western così come i casinò sono la casa ideale di tanti classici della Old Hollywood. Persino Marge Simpson ama il gioco d'azzardo e forse è l'unica che finora ha mostrato anche l'altro lato del gioco, la faccia della dipendenza. Alla ludopatia è dedicato ora un cortometraggio di 15 minuti diretto da Andrea Traina, regista e sceneggiatore italiano che ha già alle spalle diverse esperienze di peso in campo internazionale. Nato nel 1973 a Vittoria, nella contea di Ragusa (come si ama dire da queste parti), Traina ha ambientato nella sua cittadina Magic Show, la storia del ludopatico Ulisse. Si tratta di una piccola fiaba in cui scorrono le immagini di un presente che, molto distante da un passato fiabesco, mostra le terribili conseguenze che le slot machine hanno nella vita di un ex imprenditore. Ulisse lo si incontra costantemente al bar della stazione di Vittoria, è sempre l'ultimo cliente ad andare via: trasandato e con barba incolta, non riesce a liberarsi dall'incantesimo della slot machine che ha di fronte. Ogni euro introdotto diventa il mezzo per sperare in una vincita, come se questa potesse in qualche modo contribuire a riempire il vuoto che gli si è creato intorno: alieno e alienato, Ulisse ha perso la sua fabbrica e, cosa più importante, i suoi affetti. Non ha più nessuno accanto e ogni sera, dopo aver abbandonato la tana del lupo, chiama in maniera anonima casa del figlio, anche solo per ascoltare in silenzio una voce familiare. Complice il destino, prima di rientrare nell'abitazione che mostra i fasti di un tempo che fu, Ulisse si imbatte in un locale, il Magic Show, dove le 101 illusioni di Luna lo trasportano nel bagliore di un passato fatto di magie e sogni non ancora riposti nel cassetto. Mentre le immagini di un passato che potrebbe essere il suo (uso il condizionale per non rovinare la sorpresa) si intrecciano con quelle del presente, Ulisse deve fare i conti con gli usurai a cui si è rivolto: ha una scadenza da rispettare, altrimenti a pagarne le spese non sarà lui direttamente ma coolui a cui tiene di più, il nipotino. Colpito dalla maledizione del faraone, sperpera anche il denaro prestato da una spogliarellista sua ex dipendente e non ha altra scelta che ricorrere a un disperato tentativo di rivalsa, a un gesto che gli costerà parecchio caro: del resto, la magia dei sogni non trova mai corrispondenza nella tragedia della vita reale. In maschera o senza, Ulisse ha ormai perso la sua identità e nessun dente potrà mai schivare il proiettile della sconfitta e dell'arresa eterna.
Sceneggiato dal regista con Davide Vigore e la giornalista Ornella Sgroi (che abbiamo avuto il piacere di intervistare per uno dei nostri più apprezzati Cinelavorando), Magic Show ha diversi punti di forza. Primo tra tutti, le interpretazioni degli attori. Ulisse ha il volto di Nino Frassica che, abbandonati i panni dello strano direttore di Novella Bella a cui siamo abituati a vederlo da Fabio Fazio, offre un'inedita vis drammatica: al servizio della storia, abbandona manierismi e smorfie per restituire la solitudine di un uomo che tale più non è. Nel suo sguardo smarrito e nella sua barba incolta è possibile leggere il peso di notti insonni e giorni addormentati: come in balia di una spietata corrente, il suo Ulisse alla deriva viene richiamato dalle sirene delle slot e dimentica la sua Itaca, quel porto sicuro in cui avrebbe potuto attraccare se solo si fosse lasciato aiutare. Accanto a lui recita una forza che il cinema italiano non ha ancora saputo sfruttare a dovere: Lucia Sardo. Il ricordo cinematografico la vuole mamma coraggio in I cento passi e prostituta dal cuore d'oro in Le buttane: Traina la mostra invece come mamma subdola regalandole il ruolo della gentil usuraia, della donna dai modi graziosi e dal sorriso innocuo utili a celare il mostro di cui è portavoce. Non si può poi non apprezzare le metafore letterarie, cinematografiche o semplicemente linguistiche, che accompagnano il soggetto, piccoli dettagli che sparsi nei quindici minuti si trasformano in gioco per lo spettatore: Ulisse come l'eroe di omeriana memoria, le 101 illusioni di Luna come quelle regalate dal Viaggio sulla Luna di Mélies, il "Faraone" della slot machine come un Tutankhamon con la sua maledizione e, ironicamente, la stessa cittadina di Vittoria, una vittoria che per il protagonista mai arriverà. A vincere è però il cinema sociale e di denuncia che, ancora vivo e pulsante, va ricercato tra le fila di giovani autori come Traina, che non ha paura di rischiare.
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