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Nei commenti su una delle ultime newsletter è stato sfiorato un argomento che credo possa interessare anche ai numerosi appassionati di cinema che frequentano questo luogo e che può essere sintetizzata in questi termini: lo streaming è una modalità di visione che può favorire il cinema indipendente o lo schiaccerà definitivamente relegandolo ai margini del bulimico consumo d'immagini di questa epoca?

Buongiorno, mi chiamo Luca e non sono affatto in grado di dare una risposta a questo quesito. Per evitare, anzi, che questo testo si trasformi in un ammasso di teorie o peggio ancora in un inestricabile coacervo di "ci piacerebbe ma al momento non abbiamo la tecnologia", ho pensato invece di partire da una esperienza reale e di proporvi un percorso di condivisione che vi porterà a vedere dieci film europei indipendenti, inediti, gratuiti, senza pubblicità, in lingua originale. E due sono anche di produzione italiana.

L'edizione 2019 dell'Artekino Film Festival (online fino al 31 dicembre) offre esattamente tutto questo. E non è poco. La prima cosa che bisogna fare è andare sul sito del festival e registrarsi. Suvvia, non storcete il naso, con la montagna di dati che condividiamo con le più aggressive compagnie online non sarà la registrazione ad Artekino a rappresentare un ostacolo. Una volta smaltita questa procedura non resta altro da fare che scegliere da quale film, dei 10, iniziare la visione. La navigazione è semplicissima, i film scivolano via senza intoppi e ci sono i sottotitoli in tutte le lingue europee. Lo spirito guida dell'iniziativa congiunta tra Festival Scope ed il canale Arte, è quella di offrire un quadro sul cinema indipendente europeo e per raggiungere il loro obiettivo hanno messo insieme dieci proposte che, pur essendo state programmate in festival importanti, non hanno trovato spazi di distribuzione nelle sale. Delle due pellicole italiane in cartellone solo una, Selfie di Agostino Ferrente, ha fatto una veloce apparizione in sala a maggio. Fino ad ora io ne ho guardati 4 e ho già un mio favorito che penso sarà difficile da scalzare dalla sua posizione, per il resto posso dire che si tratta di opere originali, spesso di giovani autori alla loro prima esperienza nel lungometraggio. Un cinema sicuramente fuori dagli sche(r)mi, probabilmente ancora acerbo, che partecipa ad una iniziativa decisamente da sostenere.

Ora, il punto. È chiaro che la modalità di visione in streaming renda alcune cose molto semplici. Se da un lato è innegabile che questi dieci film non avrebbero avuto alcuna possibilità di essere visti da un'audience estesa nei canali distributivi ordinari e lo streaming invece ce li porta a casa rapidamente e, in questo caso, anche a costo zero, dovremmo cercare di capire se si tratta di uno schema sostenibile e replicabile su una scala più ampia, dove "scala" è la parola chiave. Nel panorama attuale - che è, come abbiamo visto in altre puntate di questa newsletter, in continua evoluzione - esistono dei grandi operatori come Netflix, Prime Video, AppleTv+ e Disney+ che ogni settimana sfornano nuove serie o episodi di serie e film originali - ossia prodotti da loro - ma che inseriscono anche a catalogo serie e film non originali, i cui diritti di trasmissione sono acquistati per un determinato lasso di tempo, o di views. L'indicazione che riceviamo dai movimenti dell'ultimo anno è che anche le grandi, tradizionali, case di produzione (Disney, Fox, Warner, HBO) hanno o avranno presto la propria piattaforma, cosa che implicherà naturalmente una minore volontà a rendere disponibili il proprio catalogo al di fuori della struttura di casa. È qui che entra in gioco la "scala", ossia l'economia di scala: se Netflix e Prime Video non potranno più rifornire le proprie piattaforme con i film e le serie targate Warner, Disney, Fox, HBO, non potranno certo pensare di tenere in piedi un catalogo, e quindi di tenere agganciati gli spettatori e i relativi abbonamenti, solo con i propri original. Dall'altra parte della "scala" invece, i piccoli produttori indipendenti che non saranno in grado di mettere in piedi le proprie piattaforme, diventeranno molto interessanti per rimpinguare i cataloghi e diversificare le visioni di quegli operatori non tradizionali (Netflix e Prime Video) che si vedranno poco a poco sfuggire grandi pezzi di cataloghi dalle mani.

È uno scenario possibile ma non sarebbe ancora abbastanza per "salvare" o per valorizzare la parte più sperimentatrice dell'industria cinema; essere semplicemente presente nei cataloghi di Netflix e Prime Video, per un film indipendente, non è affatto garanzia di visione e di esposizione e quindi neanche di redditività e sostenibilità economica. È qui che entrano in gioco diverse variabili che hanno molto a che vedere con il ruolo dei media di settore, con la critica tradizionale e infine anche con la nostra predisposizione alla ricerca e alla scoperta, con la nostra capacità da spettatore di andare al di là della schermata principale delle piattaforme a cui siamo abbonati, al di là del noto, del riconosciuto, del familiare. Se da un lato l'abbonamento ad un prezzo fisso mensile sarebbe la condizione migliore per fare esperimenti, dall'altro dobbiamo tutti sempre fare i conti con la nostra resistenza a schiacciare quel maledetto tasto play su un oggetto di cui sappiamo troppo poco, che non rientra nella nostra lista della spesa o nelle liste di quel che potrebbe piacerci, secondo associazioni spesso banali, a volte maldestre. Essere presenti nei cataloghi potrebbe essere solo un primo, fondamentale, passaggio ma poi ci vuole altro. Qualcosa che porti alla luce il sotterraneo, che arricchisca una locandina e le due scarse frasi di default con un contesto, con una narrazione, con un punto di vista.

La soluzione? Non ce l'ho, ovviamente. Riesco solo a dire cosa immagino. Immagino che possa nascere un luogo in cui convivano tante collezioni curate, liste di film che sorpassino le tipiche suddivisioni di genere o legate a qualche forma di successo, mi piacerebbe che in questa collezioni curate qualcuno di intelligente con il dono della scrittura mi raccontasse delle storie, mi dicesse perché una cosa vale la pena di essere vista, anche se è scomoda, sconosciuta, distante anni luce dalla mia lista, dalle cose che guardo di solito. In questo momento nella mia homepage di Netflix vedo queste categorie: I più visti, I titoli del momento, La mia lista, Da rivedere, (sono già stufo) poi una ridda di perché hai guardato, Serie tv con protagoniste femminili, Serie Tv premiate ai Golden Globe, un generico Film acclamati dalla critica, Comicità sboccata...
È l'algoritmo del "potrebbe piacerti" bellezza, ma io ho bisogno di storie, di umanità, di sentimenti, ho bisogno di sapere di più su un autore, su un tema e soprattutto ho bisogno di evadere dalla mia stessa bolla. Di evadere dal me stesso che mi viene sottoposto costantemente.

Con il festival di Artekino sono evaso. Ho fatto play su oggetti non noti. Ho fatto scoperte e pensieri. Ho camminato ai bordi di un lago salato cileno insieme a Messi and Maud e ho fatto pensieri sul significato che viene attribuito alla genitorialità nei nostri paesi "sviluppati". Ho camminato tutta la notte per Berlino insieme al gruppo di sbandati neo trentenni - a trent'anni dalla caduta del muro - non simpatici, non consimili, non coetanei eppure, anche senza empatizzare, avvertendo il disagio dietro alla maschera del sorriso da perenni ragazzini (Thirty). Sono stato sulla cima di una collina della campaga bulgara insieme ad una famiglia per la quale l'acqua diventa un miracolo e avere sete la norma (Thirst). Sono entrato nel cervello della Psychobitch Frida e in quello dello sventurato Marius che di Frida si innamora anche se prende un sacco di scarpate in faccia ma poi, alla fine, i due ballano la musica che hanno in testa e non quella che ascoltano tutti gli altri.

Non mi è piaciuto tutto. Ma, forse, il piacere non è tutto.

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