LA CONTROSTORIA DI OLIVER STONE
Probabilmente la più importante (esagero) opera del regista.
Mi spiego.
Un paio di giorni fa, ho avuto modo (finalmente) di concludere la visione della miniserie “USA - La storia mai raccontata” (in originale, “The Untold History of the United States”), scritta (in collaborazione con Matt Graham e lo storico Peter Kuznick), diretta e prodotta per l’appunto da Oliver Stone (per alcuni, noto “teorico del complotto”), che pare abbia dovuto investirci in prima persona ben 1 milione a fronte del lievitare dei costi, uscita per Showtime tra il novembre 2012 e l’ottobre 2013, nonché vista in Italia su LaEffe sul finire del 2013 e comunque reperibile in DVD (esatto, non in Blu-Ray [accontentiamoci]).
Una serie che fin dal titolo dà un’idea piuttosto chiara di dove intenda andare a parare.
Va da sé che il medesimo risulta anche un poco, giusto un poco, forzato, ma in ogni caso l’impressionante opera di Stone (che ha richiesto oltre 4 anni di lavorazione, e ha una durata complessiva di oltre 12 ore [se si considerano anche i due episodi “speciali” {riguardanti la Prima guerra mondiale, la Rivoluzione russa, Roosevelt, Hitler e Stalin pre-conflitto mondiale}, episodi però stranamente assenti dal cofanetto italiano), nonostante per la sua totalità composta da filmati d’epoca e immagini commentati dalla voce narrante in originale dello stesso regista, possiede una forza comunicativa innegabile (pare che uno degli obiettivi fosse quello di riuscire a tener svegli pure i ragazzini in deficit d’attenzione), che evita abbastanza abilmente di scivolare nel sensazionalismo e nella retorica ma soprattutto nella semplificazione, costruendo un quadro agghiacciante delle politiche portate avanti dallo stato più potente del mondo dal secondo dopoguerra sino ad oggi.
Mettendo tutto in fila, per così dire, questa “Storia mai raccontata” attanaglia lo spettatore, lo carpisce per poi scuoterlo e percuoterlo (si può immaginare, specialmente lo spettatore americano disorientato e ottenebrato dalla marea nera di retorica patriottica in cui è quotidianamente immerso), fino a condurlo alla consapevolezza degli orrori che sono stati compiuti, si capisce, in nome di “pace, libertà e democrazia”.
Ovviamente, si diceva, il titolo è piuttosto esagerato per il puro e semplice fatto che, per chiunque non viva nel pervicace obnubilamento statunitense, tante delle cose dette dovrebbero già far parte del patrimonio comune.
Ciononostante, visto e considerato il perenne e consistente attacco alla realtà storica, alla Storia, condotto su larga scala, non solo in Italia (dove va di pari passo con la denigrazione delle geografia che tanto, come disse una volta un grande commentatore,“dove cazzo vai?”), il proliferare incontrollato di una sorta di storia “codificata” e “mummificata”, ovvero incontestabile, fortemente parziale e unidirezionale (e non si sta parlando solo di quella dell’ultimo secolo, chiaramente), cristallizzata nelle sue incrollabili certezze da diffondere tra la gente, o meglio prontamente confezionata per il volgo (che tanto, si sa, non è che propriamente se ne interessi granché, di quello come di altro); di una storia, insomma, “istituzionale ed istituzionalizzata” nel senso più deteriore dei due termini, che ignora impunemente i fatti e costruisce altrettanto impunemente, invece, “narrazioni”; di fronte a tutto questo, nonché alla per nulla rassicurante consapevolezza che, a quanto pare, non solo la storia ma proprio tantissime altre cose, questioni, argomenti che abbiano la malaugurata idea di farsi stampare nero su bianco e l’altrettanto malaugurata idea di richiedere un’attenta lettura, vanno sempre meno di moda (questo, se si vuole fidarsi delle costanti statistiche che ci informano circa il miserevole livello di lettura nel nostro paese come in altri); ebbene, tutto ciò considerato, forse anche da noi, in Europa, potrebbe non risultare del tutto inutile fermarci un attimo a guardarci indietro e riconsiderare la storia degli ultimi decenni per tramite di un’appassionante ma al contempo costernante miniserie di 10 (o, meglio, 12) episodi che, come già accennato, nonostante non dica praticamente nulla di nuovo, sicuramente lo dice molto bene, e magari riuscirà a rendere partecipi un po’ più individui dello stato di totale asservimento in cui viviamo da almeno 70 anni, dello stato completamente distorto e parziale del dibattito pubblico odierno in Italia, Europa come negli Stati Uniti (su questioni fondamentali come la NATO, il “preservare le tradizioni”, l’“aiutare i bisognosi”, l’economia, la democrazia, per non parlare poi del “terrorismo”), dell’asfissiante “occidentalocentrismo” che continua a perseguitarci e ci impedisce di vedere il mondo con occhi nuovi e di comprendere il punto di vista degli altri, in ultima analisi della persistente follia dell’egocentrismo imperialistico, violento, xenofobo, “eccezionalistico”, cinico ed insensibile della nostra civiltà.
Stone, com’è noto, non è nuovo all’esplorazione degli aspetti più “controversi” della storia americana (in opere come Salvador, Wall Street, JFK), che è proprio ciò che gli ha attirato l’accusa di darsi alla diffusione di fantasiose teorie del complotto, nonostante quanto affermi, ad esempio, in questa serie si possa definire fin quasi il minimo, minimo di quel che si potrebbe e dovrebbe dire in merito alla politica estera degli Stati Uniti. Nonostante ciò che dica nella stessa sia ampiamente dimostrato e facilmente rinvenibile un po’ ovunque, al di fuori degli asfittici libri di testo scolastici e della letteratura disinteressata alle fonti, alle evidenze e alle prove.
Le critiche che spesso gli vengono rivolte, e che naturalmente vengono puntualmente rivolte ad ogni personaggio del genere, nonché ad ogni sua opera, paradossalmente (almeno, per quelli che tale critiche le estendono) non fa altro che confermare uno dei punti centrali dei quali si occupa la miniserie, ma dei quali si sono occupati anche schiere di intellettuali e storici: ovvero, la profonda deriva estremistica e monodimensionale nel dibattito pubblico statunitense. Deriva pericolosissima proprio in quanto si parla dello paese più potente al mondo che ha la capacità di influenzare profondamente tutto il resto del globo (e, difatti, non si è mai neppure fatto sfuggire l’occasione di farlo). Una deriva che vorrebbe imporre un’unica visione del mondo e della sua storia recente, con ovviamente gli Stati Uniti protagonisti in veste di salvatori mossi da nobili ideali che sempre ovviamente non vogliono far altro che esportare a beneficio dei popoli del pianeta, di gendarmi del mondo pronti a vigilare circa il rispetto dei diritti umani che a loro stanno evidentemente tanto a cuore e sempre pronti a rispondere a qualunque minaccia alla democrazia, che questa possa giungere dai comunisti o dai terroristi o dai cinesi cattivoni.
The Untold History of the United States, nel suo trattare di tutto questo e di molto altro ancora, si dimostra allora opera meritoria, tanto più in quanto proveniente da un americano sino al midollo come Oliver Stone, da decenni inserito nelle dinamiche di Hollywood ma al contempo, pare evidente, capace di portare avanti, pur con tutti i suoi limiti, narrazioni cinematografiche (e, in questo caso, televisive) per una volta, per l’appunto nel panorama hollywoodiano, controcorrente, non allineate e non indulgenti verso il proprio paese e le sue politiche. Capace di portare avanti una propria “poetica” fortemente interessata alla illuminazione di fatti tragici della Storia ricondotti il più possibile sui binari della realtà di quanto effettivamente avvenuto (pur tra plateali scivoloni, vedi Alexander). Capace di rimanere al passo coi tempi, anche nella tecnica (la miniserie, infatti, difficilmente riuscirà ad annoiarvi), ma soprattutto nella sostanza (vedi il film su Snowden, null’altro che un ideale proseguimento, sotto forma di fiction, di quanto qui affrontato).
E questa sua opera si dimostra, in definitiva, non solo meritoria ma anche mai così attuale ed urgente. Un vero pugno nello stomaco e un’ottima “risvegliatrice di coscienze”. Un’opera densissima e sempre chiarissima (chiarificatrice), che sintetizza abilmente oltre 70 anni di storia in relativamente poco tempo. Un’opera che, se non altro, si spera susciterà in quei (purtroppo pochi) che la vedranno la curiosità di andare ad approfondire. Di informarsi, ricercare, scoprire, riuscendo così magari a scostarsi finalmente dalla narrazione dominante e offuscatrice che vorrebbe una società fatta, invece, di coscienze tenute sempre profondamente, convenientemente, addormentate.
Vi lascio con queste brevi parole poste a conclusione del settimo episodio, che riassumono gran parte dei punti cruciali della serie, che sono peraltro tanti di quelli affrontati in questa mia disamina sulla stessa:
“Da quella che gli antichi greci chiamavano hybris, tracotanza, scaturisce la rovina.
Da quel conflitto1, inizialmente messo sotto silenzio, derivò una profonda alterazione della vita economica, sociale e morale in America. Una guerra civile che ha diviso la nazione sino ad oggi. Molto è stato negato, poco ricordato, di niente ci si è pentiti e, forse, nulla si è imparato.
La Storia non deve essere dimenticata o si ripeterà fino a quando non avrà trasmesso il suo insegnamento.
Il secondo presidente degli Stati Uniti, John Adams, una volta affermò: “il potere pensa sempre di avere una grande anima e di stare servendo Dio quando trasgredisce le sue leggi”.
Questo rifiuto ad apprendere ha reso la storia degli anni successivi un altro triste inevitabile bagno di sangue che continua a ripetersi.
Troppo spesso gli Stati Uniti sono stati affianco degli oppressori, sostenendoli con aiuti economici e militari, sfruttando la “lotta alla droga”, addestrando polizia e forze di sicurezza nazionali, con esercitazioni militari congiunte, creando basi all’estero e con occasionali interventi diretti in guerra.
Gli Stati Uniti hanno favorito l’ascesa al potere di una rete di dittatori, uomini che si sono dimostrati benevoli verso investitori esteri avidi di manodopera poco costosa e risorse altrui. Questo l’approccio britannico e francese, questo l’approccio americano.
Non “barbari” che violentano e saccheggiano, ma banchieri o dirigenti aziendali con la ventiquattrore, cortesi, colti e un po’ snob, pronti a depredare l’economia locale in nome della modernità, della democrazia e della civiltà a beneficio degli Stati Uniti.
Durante la guerra fredda gli uomini politici e i mezzi d’informazione evitarono il dibattito sulla moralità della politica estera statunitense. Si riempirono la bocca con banalità sulla clemenza degli Stati Uniti, e insistettero sul fatto che tattiche sgradevoli o addirittura illegali fossero necessarie per combattere ad armi pari.2 I Kissinger del tempo la definirono “Realpolitik”.
Tuttavia, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, agli inizi degli anni ‘90, la linea politica americana non è cambiata, ed assai di frequenti gli Stati Uniti hanno parteggiato per le classi al potere o per i militari3, osteggiando i più disagiati, desiderosi di cambiamento.
In cosa consisteva4 la guerra americana contro i poveri della Terra, i più deboli, la cui morte era5 solo un danno collaterale?
Si trattava veramente di combattere contro il comunismo?6 Oppure questa era la motivazione ufficiale, una copertura?
George Kennan, il più eminente stratega dei primi anni della guerra fredda, in un memorandum del 1948 colse l’essenza del problema. Gli Stati Uniti hanno il 50% delle ricchezze mondiali e solo il 6,3% della popolazione. E’ inevitabile che attirino invidie e risentimenti. Il dovere degli Stati Uniti è impostare rapporti che permettano di mantenere tale disparità. Per farlo, dovranno liberarsi da sentimentalismi e fantasticherie. Occorrerà non parlare più di obiettivi vaghi e inconsistenti come diritti umani, miglioramento del tenore di vita e democratizzazione. Bisognerà occuparsi di semplici concetti di potere.
Meno si è intralciati da slogan idealistici, meglio è”
1 Vietnam
2 si capisce, con i “comunistacci” infidi, viscidi, sporchi e cattivi…
3 non che le due cose siano mutualmente esclusive…
4 consiste?
5 è?
6 oggi, si tratta veramente di combattere il terrorismo?, ndr per la serie le domande retoriche…
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