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Ma anche, chi siete voi? Ve lo dico, questa sarà una newsletter piena di domande, perché ho deciso di contravvenire ad alcune buone regole del giornalismo. O almeno a quelle regole che sono state scritte prima che ai lettori fosse data la possibilità di rispondere. Domande, quindi. Cominciamo.

Mia figlia di 14 anni si è intrippata con Friends. All'inizio pensavo fosse una cosa passeggera, va beh, passerà mi dicevo, è un esperimento momentaneo. Invece no. Non passa affatto. Ha visto tutti gli episodi, chiaro, ma quel che è più interessante è che ormai si muove nella mappa delle stagioni e degli episodi di Friends con la stessa velocità e sicurezza con cui Google Maps ci dice che per andare da Milano a Melzo c'è traffico e ci dovremmo mettere 47 minuti. Probabilmente la navigazione di Netflix è troppo lenta per lei visto che ormai vorrebbe saltare direttamente dal minuto 16 dell'episodio 3 della stagione 8 al minuto 20 dell'episodio 1 della stagione 9 (i suoi preferiti). A proposito di ciò, vorrei dirvi che mia figlia non è pazza. O almeno non è più pazza di Netflix che - quando la Warner, proprietaria dei diritti della serie, ha ventilato di volersela tenere tutta per sé - ha sborsato circa 100 milioni di dollari pur di averla anche per il 2019. Se mia figlia è pazza, quindi, è in numerosa compagnia, non solo di tutti coloro che guardano Friends come oggetto vintage, coloro che quindi l'hanno vista "in diretta" e che poi la riguardano con lo sguardo adulto, ma anche di gran parte della generazione z, ossia quella nata dopo il 2000 di cui mia figlia fa parte.

La prima domanda è "cosa ci trova una ragazzina di quattordici anni in una serie come Friends che ha compiuto 25 anni dalla messa in onda del primo episodio?". Chiedilo a lei, no? Certo, l'ho fatto. Poche domande, piuttosto vaghe, con un tono molto secco, tipo Cinico Tv di Ciprì e Maresco. È il mio metodo di indagine quando voglio arrivare al succo senza imboccare le risposte.

Perché non la smetti di guardare Friends?
Perché quando non ho voglia di pensare o voglio guardare qualcosa di semplice che mi metta di buon umore Friends è sempre la soluzione.

Questa cosa ha un nome e si chiama comfort tv. Si tratta di show come The Office (versione Usa, perché la Uk è decisamente meno comfort), Modern Family, Una mamma per amica, serie televisive che hanno, o hanno avuto, almeno in qualche momento, un ruolo ben preciso nella vita di molti di noi. Un ruolo che descrive molto bene proprio BoJack Horseman in un breve discorso (alcolico) nelle primissime battute del primo episodio dell'omonima serie animata che è una satira pungente e dolorosa del mondo di Hollywood: "Per molti di noi la vita è un costante e fortissimo calcio nell'uretra. Ogni tanto, quando torni a casa dopo una intera giornata di calci, quello che davvero vuoi è guardare uno show che parla di buone persone che si vogliono bene, in cui, a prescindere da quello che succede, alla fine di quei 30 minuti tutto sembra di nuovo ok."

In questa frase del cavallo parlante - in vino veritas, Bojack, maledetto ubriacone cripto-sentimentale - c'è una parola chiave e la parola chiave è persone. Questo plurale è fondamentale. Le serie tv sono essenzialmente oggetti corali, i tempi dilatati permettono agli autori di creare veri e propri universi di caratteri, ciascuno con il suo spazio, ciascuno eventualmente con i suoi fan. Anche quando ruotano attorno a personaggi forti e unici, come Dr. House o Walter White di Breaking Bad, c'è sempre intorno una struttura a sostenerne o a contrappuntarne le azioni. C'è sempre un mondo, una rete di relazioni che, forse, ben rappresenta più che la realtà che ci circonda e nella quale semplicemente immedesimarci, la realtà che ci piacerebbe avere. Un mondo fisico, vero, composto da rapporti che vanno avanti, che esistono, che passano anche attraverso i conflitti. E sopravvivono. A determinare il successo di certe serie televisive, forse, gioca un ruolo molto importante questo aspetto aspirazionale, che compensa delle mancanze accumulate nelle nostre vite contemporanee, dove i confronti e i relativi conflitti si sono spostati di piano. Dove le esperienze del mondo fisico si sono rarefatte e i contrasti che avvengono negli spazi "sociali" si possono chiudere sia sul nascere, rintanandosi nella propria bolla, che a posteriori, con un semplice clic: unfriend, stop follow.

In un certo senso questo plurale, persone, l'esistenza di questa rete, risuona anche con quello che ha risposto mia figlia alla domanda successiva.

Tre cose che invidi della realtà rappresentata in Friends
1. la relazione tra gli amici dove non litigano quasi mai
2. la vita che anche se non è perfetta sembra bellissima
3. che nel gruppo ci sono maschi e femmine invece che sole femmine come succede normalmente (o solo maschi)

Il gruppo misto di amici di Friends, che riesce a volersi bene a prescindere dalle differenze, appare come una specie di miraggio utopistico nello scenario degli adolescenti di oggi. D'altronde basta guardare alle serie tv contemporanee che hanno avuto l'ambizione di raccontarne le dinamiche per capire che, con tonalità più o meno oscure e tendenti al dramma, c'è ben poco da stare allegri. E in compagnia. Nessuna serie ha rappresentato così bene, ad esempio, il tipo di pressione sociale a cui sono sottoposti i ragazzi nelle relazioni tra loro e con il mondo degli adulti, come Euphoria (passata su Sky a settembre). Ma possono servire da modello anche i vari Tredici, Elite e Riverdale: le relazioni tra coetanei di sesso diverso sono quasi sempre solo conflittuali o sessuali. Spesso entrambe le cose. Guardata attraverso la filigrana del "plurale", persino la serie La casa di carta assume, con la sua maschera dai baffi ispirata a Dalì e anche a quella di Guy Fawkes adottata da Anonymous, tutta un'altra valenza e portata simbolica: compagni, uniti, anonimi. Dove la maschera oltre ad assumere il ruolo di semplice protezione per i puri fini narrativi della serie, svolge anche un politico ruolo unificatore che svincola tutti, spettatori inclusi, dall'onere, evidentemente pesante ed intollerabile, dell'apparire unici, cioè diversi.

Chi siamo noi? Chi siete voi?
Quale serie vi ha fatto sentire protetti, a casa? In quale vi rifugiate quando "non volete pensare"? Quale serie plurale vi ha fatto sentire meno soli? Guardiamo Modern Family perché in fondo al cuore desideriamo solo quel casino senza fine? Siamo tutti un po' come Gregory House, cioè sperduti senza Wilson e persino senza Foreman? O quando la pressione si fa intollerabile vogliamo solo indossare la maschera di Anonymous anche solo per ritrovarci a bere una birra o a progettare una rapina da qualche milione di euro?
Io, l'ultima che ho detto, grazie (e una birra è sufficiente, al massimo tentiamo la fortuna al superenalotto).

p.s. Mia figlia si è sottoposta a queste domande volentieri ma poi, dopo aver indossato la maschera de La casa de papel, ovviamente, ha pronunciato queste parole: "Voglio comisión".

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