Come una grande palpebra meccanica la persiana elettrica della stanza di Giannis si apre tutte le mattine alla stessa ora sul cielo e sul mare blu della Grecia. Poi Giannis piange. Il motivo per essere addolorato a Giannis non manca: la moglie è in ospedale, in coma a seguito di un incidente. Giannis la va a trovare alla fine delle sue giornate di lavoro rivestito dai suoi completi grigi da avvocato. La va a trovare nel fine settimana, con le sue polo rosa pastello. Si siede di fianco al letto della moglie e porta a termine il copione del lutto: un pizzicotto sulla mano inanimata, un delicato soffio sul naso, un bacio leggero sulla bocca. Naturalmente nello svolgimento di questo rito non c'è traccia visibile di alcuna emozione. Sottilmente, in maniera ingiustificata, irrazionale, questo personaggio mi fa paura.
Saranno le inquadrature statiche e simmetriche scelte dal regista Babis Makridis, sarà quel registro velato di umorismo nerissimo cesellato dalla sceneggiatura di Efthymis Filippou, la stessa penna al curaro che sta dietro a Kynodontas, Alps, The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro di Lanthimos. Sarà lo sguardo vuoto e l'interpretazione alienata di Yannis Drakopoulos. O meglio la somma, l'alchimia di tutti questi elementi. In Miserere (titolo italiano), Oyktos (pietà in greco e titolo originale), Pity (titolo internazionale) l'uomo è racchiuso, intrappolato, all'interno di strutture illusoriamente ariose. Vetrate e porte di cristallo, porte di legno semichiuse, pareti divisorie. L'uomo è rinchiuso anche all'interno di rigide consuetudini sociali e così "non si può suonare un'aria troppo allegra al pianoforte di casa perché i vicini potrebbero pensare che siamo troppo felici per la luttuosa situazione nella quale ci troviamo". L'uomo è rinchiuso dentro ai suoi vestiti, che ne definiscono lo status. E così alla fine l'uomo è perso, sfumato, all'interno di livelli che lo hanno allontanato dalla sua essenza, che lo hanno ridotto a mera forma.
E all'interno di questa soffocante sovrastruttura succede che l'unico momento della giornata in cui le lacrime trovano la strada per uscire è la mattina presto, appena sveglio. Per il resto del giorno se ne stanno intrappolate in un luogo preciso del suo corpo senza sapere come percorrere il tragitto che le separa dagli occhi. Per il resto del giorno l'unico modo per Giannis di avvertire la presenza del proprio dolore è affidato al riflesso che questo dolore produce negli altri, la pietà. Non importa se a volte la pietà degli altri appare posticcia, poco spontanea, se sembra semplice artigianato della condoglianza, l'importante è che la somma di queste porzioni di pietà vadano a comporre una sostanziosa dose quotidiana. Insieme alla torta della vicina, le rassicuranti parole dell'amico fedele, quelle più asciutte del padre, gli abbracci della segretaria allo studio, la solerzia partecipe ed empatica del proprietario della tintoria. È facile diventare dipendenti, a furia di nutrire l'ego.
"L'uomo per sua natura è un animale politico", scriveva in De animalibus (e altrove) Aristotele.
E infatti quasi tutti i film di questa "nuova" onda greca, iniziata con Kinetta di Lanthimos nel 2005, sono film profondamente politici. Un'onda che ha preso l'abbrivio proprio negli anni in cui la Grecia è afflitta da una grande crisi che segue l'ingresso non certo indolore nella Unione Europea, con le strette finanziarie ed economiche a cui la Grecia è stata sottoposta pur di rientrare negli standard. Una sovrastruttura, ancora, che ha avuto l'effetto di allontanare ulteriormente l'uomo greco dal suo centro politico ideale, che si è trasformato in un vestito decisamente stretto al quale, forse, questo movimento artistico violento, crudele, entomologico, si ribella raccontando storie di relazioni umane in cui i ruoli - e i poteri che ne derivano - sono spesso sfasati e aberrati.
"Comunque questi greci hanno qualcosa che non funziona"
Prima o poi nella mente dello spettatore durante la visione di uno qualsiasi di questi film si formula chiaramente questa affermazione. E immediatamente dopo, arriva il dubbio: "O forse hanno qualcosa che funziona troppo bene!". Esattamente come prima o poi arriva il twist pulp (e in questo c'è qualche somiglianza con il cinema di Haneke) e cioè il momento del sangue. Per gradi, certo. Qualche indizio disseminato qua e là, piccole varianti alla routine, esperimenti graduali di crudeltà. La tragedia, nel nuovo cinema greco, è sempre presente, fin dalle prime inquadrature, al massimo se ne resta sospesa in qualche posto o si traveste da irresistibile commedia nera, ma è solo perché è in attesa di trovare la strada giusta. Come le lacrime di Giannis.
Miserere (2018) esce la settimana prossima nelle sale italiane ed è distribuito da Tycoon Distribuzione. Se anche voi siete stati portati via dall'onda greca, se avete pensato che i greci hanno qualcosa che non funziona (o che funziona egregiamente) e se pensate che siano solo dei maledetti sadici (come Haneke), potete sempre utilizzare lo spazio dei commenti qui sotto per dire la vostra.
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