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Dell'astrusità auto-indulgente della critica "postmoderna"
di ilcausticocinefilo
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Perché essere chiari quando si può essere cripitici? Perché rendersi comprensibili quando si può essere "allusivi"? Perché cercare di fornire spiegazioni quando è più facile non dire nulla e fare i sapientoni?

 

Non so a quanti possa esser giunta notizia (o a quanti possa interessare...) ma, in questi giorni, nell'ambito di pordenonelegge, sono stati conferiti i premi del concorso Scrivere di cinema promosso da MyMovies e volto alla, chiamiamola così, "individuazione" di giovani talenti, ovviamente nel campo della critica cinematografica. Nuove leve e nuove, si suppone, rifulgenti promesse di suddetta critica.

 

Ora, per mera (proprio merissima) curiosità, ho deciso di sottoporre me stesso alla lettura degli elaborati dei sei più o meno giovincelli vincitori e, nel completarla con la sezione cosiddetta "under 25", la fatica psicologica e quasi fisica di sopportare il proseguio della medesima s'è fatta sempre più intollerabile.

 

Ho scorso e scorso con lo sguardo, sono ritornato indietro e ho riletto e riesaminato, ho operato ogni sorta di giravolta metaforica e letterale di cui è capace il bulbo oculare, ho persino sottoposto lo stesso a poco gradevoli sessioni di sfregamento prolungate, ma niente da fare, non c'è stato verso: era sempre lì, ogni nuova volta. E, anzi, s'imponeva con sempre maggior forza. Incrollabile, indissolubile, granitica. Una sensazione di, come dire... proverbiale attonimento. Proverbiale, ed estenuante.

 

Difficile dire, con precisione, a cosa sia stata dovuta.

Forse alla quasi indigeribile aura di sedicente superiorità implicita nella costruzione d'ogni singola frase?

Forse alla persistente esibizione d'altrettanto sedicenti superiori qualità di discernimento, ovviamente estrinsecate nell'utilizzo d'ogni possibile ed immaginabile contorcimento sintattico ma, soprattutto, contenutistico?

No? Allora, forse, all'incredibile e masturbatoria "autoindulgenza analitica" consistente, per farla breve, nella convinzione di aver intravisto un qualche profondo elemento d'interpretazione all'interno della detta opera chiaramente sfuggito all'analisi di qualunque altro essere umano sulla faccia della Terra che l'abbia visionata?

Forse, altresì, al fatto che, terminata la lettura, non si può che esser portati a pensare di non aver ottenuto alcun valido elemento di approfondimento e solo una vacua e, ancora, autoindulgente esibizione di "pregnanza" intellettualistica?

Non ci siamo del tutto? E allora forse anche al fatto che ho dovuto sottopormi alla lettura di paroloni estatici e pomposi grondanti sempre sedicente elevata cultura di prima istanza?

Alla lettura di fantasiose interpretazioni (che, qualora espresse in altro modo, sarebbero stato quasi divertenti) capaci di rinvenire ogni sorta di "recondito" significato anche nella più emerita idiozia, ops, pardon: nel più "emerito" manierismo, nella più "valida" edulcorazione e nel più "sentito" didascalismo?

Potrei andare avanti a lungo ma, sia chiaro, sto facendo soltanto delle ipotesi e nulla più perciò, chi lo sa, la risposta potrebbe risiedere da tutt'altra parte (vedremo quando sarai finito il complesso calcolo...).

 

Comunque sia, credo d'essermi avvicinato al punto.

E qual'è 'sto punto? (domanda più che lecita...)

Beh, è preso detto:

Il punto, "siori e siore", vuole essere, molto semplicemente, pedestremente (che volete farci: sono un animo semplice, io), che la tendenza sempre più dilagante a indulgere in tale soprascritta indulgenza astrusa allontana sempre di più la gente dalla critica, (più che comprensibilmente) e allo stesso tempo ingenera nella suddetta critica l'idea d'essere talmente superiore da non dover manco osare immaginare (eresia!) di avere il compito di rendersi anche comprensibile, in quanto i posteri (composti, si capisce, da altra edotta critica della medesima risma, però del futuro prossimo) le daranno sicuramente ragione e, per quanto riguarda il "volgar volgo", non si merita di essere posto di fronte a chiare e chiarificatrici analisi d'opere di più o meno elevata caratura in quanto, per ovvi e ben codificati motivi, non sarebbe comunque in grado di comprenderle.

 

Risulterà ormai evidente come io abbia alquanto allargato il discorso rispetto alla premessa iniziale. Pur tuttavia dalla lettura di cui parlo nei primi paragrafi m'è giunta "l'ispirazione" per la stesura del presente testo anche se, mi rendo conto, ce ne sarebbero, di esempi di succitata e onnipresente tendenza, a bizzeffe e tanti di molto più rilevanti: perché basta, letteralmente, aprire un qualunque browser e navigare per qualche minuto per un qualunque sito o blog dedicato al cinema o all'arte in genere ("meglio ancora" se di "nicchia"), per incappare in una di queste "recensioni".

 

Ma l'ispirazione la si prende dove la si prende, nasce dove nasce, totalmente fuori controllo, e pertanto la lettura dei tre elaborati "under 25" in questione questa volta ha suscitato in me codeste riflessioni (mi riservo, però, la facoltà, in futuro, di farmene venire alla mente della altre, perché sennò...).

 

Riflessioni forse eccessivamente caustiche per qualcuno (posso capire) ma trattanti, a mio opinabilissimo avviso, d'un tema di non indifferente rilevanza (da me già affrontato altrove, ma non altrettanto approfonditamente).

Un tema, anzi, di tale rilevanza che si potrebbe definirlo, senza esagerare, un tema di civiltà e di democrazia.

Perché la cultura (di qualità, chiaro, s'intende) non dovrebbe essere appannaggio di pochi, non dovrebbe risultare "intangibile" per chiunque altro al di fuori di determinate cerchi di dotti, più spesso arrogantelli, signori; la critica, poi, non dovrebbe essere solo un mero scambio di masturbatorie contorsioni linguistiche e contenutistiche tra variopinti "esperti" che non vedrebbero l'ora, a momenti, di farsi "le pippe a vicenda" (perdonate la volgarità: ve l'ho detto, sono un animo semplice...) per "dirsi" quanto sono bravi e competenti e troppo, troppo, veramente troppo intelligenti.

 

No, la critica dovrebbe chiarificare al "neofita" i significati e le implicazioni dell'opera in questione (che siano però significati effettivi, identificabili, rinvenibili, e non completamente campati in aria), dovrebbe offrire allo spettatore occasionale la possibilità d'entrare, immergersi nel mondo del cinema che per altro l'appassiona, offrire al pubblico la possibilità di arrivare a comprendere i meriti d'un opera, instillare nello stesso l'amore per l'arte e per tutte le sue possibili funzioni (civili, sociali, filosofiche, ecc.)

Si potrebbe andare avanti a lungo.

In breve, la critica dovrebbe avvicinare le persone, non respingerle. Rendere presente anche possibili interpretazioni, certo, ma trattarle per l'appunto per quello che sono ("interpretazioni") e non già verità assolute, senza condiscendenza, senza inutili astrusità, vacui contorcimenti, ma, per l'appunto, con un sano proposito di avvicinare le persone, anche con "scarsa cultura", all'arte. Avvicinarle, renderle partecipi, persino appassionarle.

 

Appare evidente quanto lo stato attuale di certa critica sia distante anni luce da tali traguardi:

 

 

Ah, ah, ah, che coglione che sei! Non ci capirai mai niente!

 

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