L’incubo atomico
e il futuro della democrazia
INTRODUZIONE
Alla prova dei fatti, a decenni di distanza dalla sua uscita, risulta ormai evidente come l’Akira cinematografico di Katsuhiro ?tomo abbia avuto un impatto di carattere determinante nella capillare diffusione del cinema d’animazione giapponese nel resto del mondo, e in particolare in Occidente. Dove, in precedenza, al di fuori di alcune celebri serie d’animazione che cominciarono a diffondersi già negli anni ‘70, ad esempio in Italia, l’animazione giapponese più ampia rimaneva misconosciuta e un prodotto di nicchia. A seguito dell’uscita, invece, di Akira e del contemporaneo Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki, l’animazione giapponese iniziò ad appassionare anche il mercato occidentale.1
Non solo. Akira ebbe un largo impatto anche in patria, sul mercato interno, e, nel corso del tempo, si è conquistato sempre maggior fama ed anche un crescente “cult following” sino a diventare uno dei più celebri film della storia dell’animazione, il cui impatto sullo stesso cinema d’animazione giapponese si è rivelato di non indifferente rilevanza.
Da non sottovalutare, altresì, è anche l’influenza esercitata dal film sulla cinematografia occidentale, non solo animata. Difatti, reminiscenze del film possono essere rintracciate in lavori degli anni successivi tra i più disparati, spaziando da videoclip musicali (ad esempio, quello per il singolo Stronger di Kanye West, diretto da Hype Willams) a famosissime serie televisive come Stranger Things.2
Si tratta, dunque, di un’opera capitale, una pietra miliare, certamente tra le più rappresentative del cinema d’animazione giapponese, e di conseguenza una tra le più indicate da cui muovere per trattarne. Nello specifico, è capace di offrire diversi spunti di riflessione circa tematiche per nulla banali o scontate, una fra tutte il tema sempre attuale delle possibili degenerazioni autoritarie a cui può andare incontro qualunque sistema democratico, anche quello all’apparenza più solido. In questo, offre inoltre la possibilità di ricollegarsi alla più ampia narrativa distopica e apocalittica del ‘900. Il prologo e l’epilogo offrono poi la sponda ad un possibile collegamento storico con la vicenda conclusiva della Seconda Guerra Mondiale, ovvero gli attacchi atomici alle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, mentre alcuni elementi all’interno del film, permettono di ricollegarsi alle vicende del ‘68, delle proteste e dei movimenti studenteschi di massa.
Consapevoli di tutto ciò, e in virtù di una personale passione per il tema trattato, si è infine optato per la scelta di analizzare precisamente il film di Otomo, nell’intento di offrire un quadro generale dell’animazione giapponese del periodo, del film di ?tomo nello specifico, e di alcune delle sue possibili diramazioni.
I.
AKIRA, TRA ANIME E MANGA
Innanzitutto, è bene ricordare, anche se è noto, come Akira, l’opera di ?tomo non nasca come anime, ovvero come film d’animazione, ma piuttosto come manga.
L’autore, difatti, prima di cimentarsi nel mondo del cinema, era e resta tuttoggi principalmente un mangaka, sicuramente uno dei più importanti del suo tempo. A seguito dell’exploit con Domu – Storie di bambini, intrigante manga in cui è già possibile trovare tracce di quegli elementi della poetica dell’autore che arriveranno a piena maturazione nel successivo capolavoro, ?tomo si dedica proprio a quest’ultimo, la sua opera magna, Akira, per l’appunto, che da l’avvio alle pubblicazioni il 6 dicembre 1982, per terminare solo nel giugno 1990, a ben due anni dall’uscita del film.
Se il manga si addentra maggiormente in riflessioni di carattere storico, politico e filosofico perché ne ha i tempi e i mezzi, l’adattamento cinematografico risente evidentemente dei ristretti margini di un film di due ore che si trova costretto a condensare gli eventi. Il manga arrivò a contare oltre 2200 tavole e, come appena accennato, arrivò ad una conclusione solo in seguito all’uscita del film.3
Pertanto, numerose risultano essere le differenze tra manga e anime, seppur entrambi mantengano per lo più inalterati il nucleo tematico e i bersagli polemici della vicenda, in particolare politica ed esercito, oltre ad indirizzare un deciso messaggio allo spettatore per metterlo in guardia dai possibili rischi derivanti dal lasciare nelle mani di sole poche élite, politiche, militari, finanziarie, il controllo del progresso tecnologico e scientifico.
Seppur forse più sviluppato e particolareggiato nel manga, anche nell’anime emerge preponderante il quadro di una possibile società del futuro dalle sfumature tutt’altro che ottimistiche.
Una società in totale sfacelo, una città in rovina, quasi barocca, opprimente, le cui clamorose prospettive architettoniche trasmettono immensa inquietudine (in questo non può che richiamare le scenografie di Blade Runner, a cui palesemente l’anime s’ispira per rendere mirabilmente in animazione in tutti i più minimi particolari gli ambienti di Neo-Tokyo).
Una società allo sbando, una città in ginocchio, percorsa da insopprimibili moti di protesta. Un futuro dai contorni apocalittici retto da un sistema corrotto e malato, governato da una politica imprudente e volubile, la cui strumentalizzazione della scienza ha provocato in passato e continua a provocare catastrofi indicibili (il progetto “Akira” stesso è un eloquente metafora delle degenerazioni a cui può giungere il progresso scientifico piegato alle esigenze politico-militari).
Il manga, ed il film, delineano i contorni di un panorama paurosamente futuribile nel quale “chiunque tenti di cambiare prospettiva, di osservare le cose un po’ più dall’alto, o di scorcio, viene può o meno gentilmente invitato a mettersi in un angolo”.4
E, difatti, intere fasce della popolazione rimangono segregate nei bassifondi in condizioni di estrema indigenza. Perché in questo terrorizzante futuro apocalittico “il totalitarismo delle idee e delle opinioni, il determinismo delle regole di mercato, non tollerano la disarmonia del distinto.”5
Come spesso accade nella realtà, anche questa società rappresentata nell’opera di ?tomo è una diretta conseguenza della guerra che ha devastato il mondo in cui sono costretti a muoversi i protagonisti. Una guerra che, tra le altre cose, ha provocato la totale distruzione della vecchia Tokyo.
E su di tutto aleggia lo spettro della bomba atomica che ha sconvolto il Giappone al termine della Seconda guerra mondiale. Lo scenario post-apocalittico finale ricorda molto da vicino le fotografie delle rovine delle città di Hiroshima e Nagasaki.
Inoltre, sempre il finale non appare molto credere nella possibilità del genere umano di imparare dai propri errori passati. E’ proprio vero, sembra voler dire il film, “la storia insegna, ma non ha scolari”.6 L’uomo è a quanto pare destinato a ripetere sempre i medesimi errori, e a rischiare così di andar incontro alla catastrofe atomica.
Entrambe le opere, tanto il manga quanto il film d’animazione, tentano di dar voce a queste preoccupazioni, a queste inquietudini rivolte ad un futuro che, per la prima volta, dopo le grandi promesse del boom economico, non sembra più così certo (a metà anni Settanta, difatti [ovvero circa un decennio prima la realizzazione di Akira], il Giappone si è trovato ad affrontare la sua prima grande, e gravissima, crisi).
Il radicale pessimismo del manga non emerge di certo mitigato dall’adattamento cinematografico. Al contrario. Grazie all’impareggiabile potenza evocativa e comunicativa del cinema, l’Akira cinematografico risulta forse persino più incisivo nel trasmettere un ineludibile sentimento di angoscia per il futuro. Un futuro, per l'appunto, così incerto. Grigio. Asfissiante.
Un futuro, nel film rappresentato, nel quale la democrazia si è sgretolata, e a tenere le redini del potere è unicamente un piccolo manipolo di uomini che, al fine di mantenere un ferreo controllo sulla popolazione, impone un sistema di dominio per il quale anche solo esprimere un’opinione contraria all’ideologia dominante espone addirittura al rischio di perdere la propria stessa vita.
Un futuro totalitario nel quale la popolazione, stremata, non ha potuto far altro che scivolare nell’anarchia intesa nel senso più superficiale. Una popolazione, per altro, composta comunque da individui in linea di massima incapaci di ribellarsi in maniera efficace al sistema. E, difatti, ogni protesta viene puntualmente ed efficientemente repressa.
Non sembrano esserci vie d’uscita.
E il dissolvimento del corpo di Tetsuo rappresenta la definitiva constatazione del disfacimento. Difatti, acquista un significato “doppiamente simbolico: da una parte rappresenta la disgregazione della società corrotta dal potere, dall’altra l’autodistruttività del singolo, incapace di vedere oltre il proprio egoismo”.7
Come detto, si tratta, come risulterà ormai evidente, di una narrazione venata di un forte pessimismo, che non lascia scampo. Questo futuro immaginato da ?tomo è straziante, opprimente, totalitario. Intransigente.
In ciò, in questa sua descrizione impietosa d'un futuro fosco e insostenibile, non può che ricordare un più ampio filone della narrativa popolare, della narrativa fantascientifica. Un filone di cui sono emblematiche opere come Il mondo nuovo, 1984 e Fahrenheit 451. Non sono poche le similitudini con queste opere, in particolare la seconda. Nel capolavoro di Orwell, tra le altre cose, è di certo centrale la descrizione di una futura società totalitaria nella quale un unico organo, “il Partito”, di cui è allegoria il “Grande Fratello”, controlla pressoché ogni aspetto della vita quotidiana degli individui. Ai quali è impedito di realizzarsi pienamente e di esercitare una qualsiasi forma di libertà.
Seppur forse più “edulcorata”, si dà comunque anche nel film d’animazione di ?tomo la descrizione di una società del controllo in cui l’esercito governa con pugno duro la situazione e il governo soggiace agli interessi puramente egoistici dei suoi rappresentanti. Non si tratta di un controllo onnipervasivo, ostentato, esibito come nell’opera di Orwell, ma di una forma di controllo più subdolo, sottile, velato. Probabilmente, per ciò stesso, più insidioso.
Difatti, gli individui, vivono nella convinzione di essere liberi, quando in realtà risultano imbrigliati da innumerevoli catene, che li costringono e li impediscono all’azione.
Ma, alcuni di essi, sembrano avvertire qualcosa di profondamente errato nella maniera in cui sono organizzate le cose, e pertanto, più o meno maldestramente, tentano di ribellarsi. Lo fanno scientemente i rivoluzionari dei quali fa parte Kay (la ragazza di cui s’invaghisce il coprotagonista della vicenda, Kaneda), più vagamente, oltreché superficialmente e violentemente, i teppisti, “B?s?zoku”8, guidati proprio da Kaneda.
Tutti uniti, comunque, alla pari dei protestanti cittadini, da un profondo senso d’insoddisfazione e rabbia per lo stato in cui versa la loro società. Rabbia ed insoddisfazione, però, come già notato, che non si dimostrano in grado di convogliare in una spinta unitaria a cambiare lo stato delle cose; ma che portano, invece, a tante, distinte, poco efficaci, dimostrazioni di protesta che, come detto, vengono ampiamente represse, e si risolvono in un nulla di fatto.
E, difatti, il film si chiude come si era aperto, con un’immagine (ancora più sconvolgente) di totale devastazione. Quasi a dire che tutte le ribellioni, tutti gli affanni, tutte le azioni dei protagonisti del film non hanno finito per aver il ben che minimo peso e soprattutto non sono in alcun modo riuscite ad evitare che la storia si ripetesse. Con una nuova, immane distruzione a fare da gigantesco monito all’uomo. Incapace, fondamentalmente, d’imparare dai propri sbagli e pertanto condannato a ripeterli, in un perenne circolo vizioso da cui non sembra esserci via d’uscita.
SEGUE PARTE II...
NOTE
1Cfr. S. J. Napier, Anime: From Akira to Howl’s Moving Castle, New York, Palgrave Macmillan, 2005, p.6.
2Per approfondire: T. Usher, How ‘Akira’ Has Influenced All Your Favourite TV, Film and Music,
in https://www.vice.com/en_au/article/kwk55w/how-akira-has-influenced-modern-culture
3Cfr. G. Tavassi, Storia dell’animazione giapponese. Autori, arte, industria, successo dal 1917 ad oggi, Latina, Tunué, 2017.
4Cfr. M. Ghilardi, Cuore e Acciaio. Estetica dell’animazione giapponese, Padova, Esedra editrice, 2003.
5Ghilardi, op. cit.
6A. Gramsci, da L’Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70.
7P. Mereghetti, Dizionario dei film, Milano, Baldini & Castoldi, 2017.
8Termine con cui si designano, per l’appunto, le bande di teppisti motorizzati, sorta di versione nipponica degli Hells Angels statunitensi. (Cfr. J.M. Bouissou, Il Manga. Storia e universi del fumetto giapponese, Latina, Tunué, 2011).
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