Lo confesso: in matematica non sono mai stata una cima, se non copiavo non portavo a casa uno straccio di sufficienza. Nelle materie umanistiche e letterarie me la cavavo meglio. Con la storia e la letteratura mi veniva in aiuto la mia consueta parlantina, che mi ha salvato in parecchie situazioni. Ma la mia vera salvezza, quella che oggi si chiamerebbe “insegnante di sostegno” è stata una e una solamente: il cinema. Fin da piccola ho sempre visto tantissimi film, di tutti i generi. Anche se ero una bambina, non disdegnavo i film storici o di ispirazione letteraria, e avevo una adorazione per i grandi divi americani, così grazie a Kirk Douglas (ad esempio) sapevo alla perfezione la storia di Van Gogh e Ulisse per aver visto i film “Brama di vivere” di Vincente Minnelli e “Ulisse”-1953 di Mario Camerini.
Le vicende della prima e seconda guerra mondiale erano ben impresse nella memoria perché mio padre aveva una predilezione per il genere, mentre con mia madre mi guardavo film come “Orgoglio e pregiudizio”-1940 di Robert Z. Leonard, “La voce nella tempesta”-1939 di Willliam Wyler, o “Madame Bovary”-1949 di Vincente Minnelli, che mi hanno aiutato non poco nelle interrogazioni di italiano.
Ma oggi, che sono alla soglia dei 50 anni, comprendo che la mia insegnante di sostegno mi ha formato anche e soprattutto la coscienza sociale e umana guardando film come “Il cammino della speranza”-1950 di Pietro Germi, “Pane e cioccolata”-1973 di Franco Brusati
o anche “ I magliari”-1959 di Francesco Rosi e “Emigrantes”-1948 di Aldo Fabrizi.
Questi sono solo alcuni titoli del nostro vasto panorama cinematografico, che dalla fine degli anni '40 fino alla metà degli anni '70, hanno raccontato la storia dei numerosi emigranti italiani che dopo la seconda guerra mondiale, hanno cercato miglior vita nei paesi stranieri. Italiani che armati di tanta speranza, lasciavano con dolore gli affetti e le povere cose del proprio paese, per cercar fortuna altrove, affrontando viaggi che spesso si rivelavano delle truffe non portandoli nemmeno a destinazione.
L'italiano all'estero era visto con diffidenza, denigrato, utilizzato per i lavori più umili, spesso diventava membro di cosche malavitose che lo teneva a servizio in cambio di vitto e alloggio che altrimenti non avrebbe trovato. Chi arrivava armato di buona volontà e voglia di lavorare, riusciva a trovarsi un impiego, a metter su qualche soldo, ma difficilmente riusciva ad integrarsi con la gente del posto. Gli italiani con gli italiani, o se andava bene con altre persone straniere in terra straniera, si formavano così strane congreghe dove il linguaggio imbastardito dava vita a nuove lingue che presto diventavano dei dialetti.
Il cinema impegnato riusciva a sottolineare tutti questi aspetti, anche con un sorriso che sul finale si trasformava in una singhiozzo soffocato per la commozione.
Con certi film si ha avuto la volontà di creare una memoria collettiva, una sorta di racconto popolare che non era scritto nei libri di scuola, ma che riguardava la vita di molti italiani che dovevano le proprie fortune ai parenti lontani. Quando oggi sento frasi come “tornassero a casa loro”, “che ci fanno tutti questi ragazzi se nei loro paesi c'è la guerra? Perché non stanno lì a combattere?”, “sono qui da mesi e non sanno una parola di italiano”...ecco mi chiedo: chissà se queste persone hanno visto mai un film come “Pane e cioccolata”, o se si ricordano la parte del “Padrino II”-1974 di Francis Ford Coppola in cui il piccolo Vito Corleone arriva negli Stati Uniti da solo e malato, messo in quarantena perché contagioso. Chissà quanti milanesi sono figli di “Rocco e i suoi fratelli”-1960 di Luchino Visconti, che si sono dimenticati del lungo viaggio fatto dai loro nonni per trovare fortuna in una Milano che all'epoca era lontana come l'America.
Oggi si chiudono i porti e le frontiere, ma solo perché da qualche anno si sono chiusi i cervelli. Chissà se una maestra di sostegno come ho avuto io con il cinema può aiutare a ricostruire una memoria collettiva perduta. So già che il mio post mi porterà amare critiche, non mancheranno i commentatori dei social, abituati a trovare soluzioni in 3 righe a problematiche complesse, ma il mio sfogo è solo per ricordare di non dimenticare (perdonate il gioco di parole) che quello che stanno vivendo migliaia di persone oggi, lo hanno vissuto i nostri parenti (forse) o comunque molti nostri compaesani, che quindi non si parla di numeri ma di persone che meritano rispetto e considerazione. Sarebbe bene riguardarsi alcuni dei film che ho menzionato, se qualcuno ne ha altri da proporre ben venga: creiamo noi, su questo sito, una classe di formazione, di memoria, di coscienza di ciò che abbiamo vissuto meno di settanta anni fa. Comincio l'appello, Maghella: presente.
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