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I don't give a fuck.
Letteralmente (bambini, a letto) "Non me ne frega un cazzo".

Lo dice in diretta televisiva Vivienne Rook - agghiacciante personaggio della serie televisiva BBC Years and Years, intepretato da una Emma Thompson sensazionale, brutale, schifosamente trasformata nel più osceno personaggio politico creato per la tv degli ultimi anni - durante un dibattito, come ce ne sono tanti, sulla questione Israele Palestina.

Lo dice dopo un attimo di silenzio in cui nella sua testa si vede chiaramente materializzarsi un foglio excel costi/benefici. Lo dice, dopo questo attimo di pausa, tutto d'un fiato e dopo aver capito che la formula del margine operativo netto del suo foglio excel avrebbe segnato un clamoroso segno più, polarizzando l'opinione pubblica, estraendo da gran parte di essa il sentimento di totale disinteresse per tutto ciò che si posiziona lontano dal più interno "io", anche se mediato da un apparente "noi".

Lo dice quando nella serie televisiva BBC è ancora il 14 maggio 2019 e la famiglia Lyons è ancora una tipica famiglia inglese numerosa ed eterogenea impegnata nell'esercizio della sopravvivenza. Lo dice prima che il tempo della serie si sposti avanti di cinque anni trasformandosi nella più crudele (perché fedele e possibile) distopia che in confronto le ultime stagioni di Black Mirror sono roba per bambini piene di gadget da geek viziati. Una distopia che ha il suo snodo fondamentale in quel "I don't give a fuck", che segna lo scivolamento lungo il piano inclinato dell'individualismo più sfrenato, in cui non c'è più un ambiente globale da proteggere, uno stato da costruire insieme, una comunità per la quale battersi, valori condivisi in cui credere.

Parole che segnano lo scostamento progressivo del livello di interesse dal mondo esterno a beneficio dell'interno più nascosto e segreto, poco importa che la speculazione ossessiva di questo interno riveli alla fine uno spazio vuoto e opprimente, per quanto indiscutibilmente posto sotto pressione. Parole che giustificano e che legittimano la scomparsa di qualsiasi livello di resistenza, parole che innestano nei circuiti individuali vere e proprie overdose di populismo che si rifletteranno in sconvolgimenti macro economici e a loro volta si ritorceranno nuovamente verso i singoli individui, devastandoli, annientandoli, privati come sono, ormai, di qualsiasi resistenza.

Già, la resistenza. La visione di Years and Years si confronta, si sovrappone, con quella, anch'essa recente, di L'armata degli eroi e mi spinge a riflettere sul significato di questa parola. Che meraviglia, l'opera di Melville: cinematograficamente impeccabile, nel suo bianco e nero abbacinante (edit; no, L'armata degli eroi non è in bianco e nero, devo averci sovrapposto un filtro), attori e personaggi giganteschi (Lino Ventura, Simone Signoret, Jean-Pierre Cassel, Paul Meurisse, Serge Reggiani). Ispirato fedelmente al romanzo di Joseph Kessel ma arricchito dall'esperienza "resistente" dello stesso Jean-Pierre Melville, L'armata degli eroi racconta l'opera antinazista della confraternita Notre-Dame.
Un lavoro incessante che si è protratto per tre anni, dal 1942 al 1944, costante e silenzioso, da cui il titolo originale - L'Armée des ombres - che sostituisce, all'altisonante "degli eroi" un più adatto "delle ombre". Un titolo perfetto per descrivere l'essenziale lavoro di sabotaggio e passaggio di informazioni agli inglesi compiuto dalla resistenza francese a valle dell'occupazione nazista, magnificamente rappresentata dalla scena di apertura del film con i soldati tedeschi che marciano su Parigi all'alba. Sullo sfondo, silenzioso, momentaneamente sospeso, l'Arc de triomphe. Simbolo di una resistenza, anch'essa silenziosa ma non per questo meno efficace, anzi disposta, pur di salvaguardare il progetto, pur di salvaguardare questo silenzio, a inghiottire una pillola di cianuro.

Tra l'eroico silenzio dei resistenti che combattevano nell'ombra nel film di Melville (1969) e il "I don't give a fuck" di Vivienne Rook in Years and Years (2019) ci sono giusti giusti 50 anni. E noi siamo qui, sulla soglia. Sulla soglia di quello scivolamento, sulla soglia di quel momento in cui i nostri politici stanno cominciando a dire, in sostanza, I don't give a fuck. E così facendo cercano esattamente di rompere la nostra singola, individuale, resistenza. Quella che ci lega a doppio filo all'ambiente, comunità, condominio, famiglia estesa al quale apparteniamo. Svuotandoci di senso, di connessioni con l'esterno, lasciandoci in balia dei nostri desideri primari, primitivi.

Siamo qui, sulla soglia e possiamo venire picchiati se portiamo una maglietta con scritto Cinema America. Possono impedirci di partecipare ad una manifestazione se ci presentiamo con una borsa di tela su cui c'è scritto "Fastidio" da una parte e "Te ne devi andare" dall'altra, possono farci togliere degli striscioni se ci sono scritte sopra frasi antigovernative.

Don't tell me words don't matter, diceva Obama.
Prima che qualcuno se ne esca con I don't give a fuck e ci faccia saltare la resistenza, io mi porto un po' avanti e dico "Fastidio".

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