“Si on ouvrait les gens, on trouverait des paysages.
Moi, si on m'ouvrait, on trouverait des plages.”
Agnès Varda
La voce di Brassens e una performance in una spiaggia del Belgio, normalmente solitaria, eccezionalmente assolata (le plat pays avec le ciel si bas qu'un canal s'est perdu … cantava Jacques Brel) tanti giovani che l’aiutano a sistemare cornici e specchi sulla sabbia, e lei, Agnés, una "piccola anziana, piacevolmente paffuta", con uno dei suoi abiti larghi e lunghi, il caschetto di capelli compatto, sempre lo stesso, cambiava colore, a volte.
E 80 anni.
Doveva essere il suo ultimo film, e ne ha tutta l’aria, un gran ricordo globale di una vita intera.
E poi di anni ne sono passati altri dieci e altri due film.
Ma questo è il suo “mentre vivo ricordo”, quando la mente è giovane e il corpo tiene, e come in un gioco Agnés ci fa girare nelle stanze della sua memoria, e con lei visitiamo i suoi anni, gli amori, le città e le campagne, i fiumi e le case, e i visi, noti o comuni, familiari o estranei.
Spigolatrici nei campi della Francia o nei cassonetti di Parigi, donne belle e famose e casalinghe ai fornelli, uomini che fanno la Storia e quelli che la vivono soltanto, bambini che giocano, bambini che crescono, vecchi cortili profumati e spiagge, soprattutto, e tanto mare:
"Se dovessi osservare la mia vita, sarebbe una serie di spiagge".
Un bricolage di ricordi in un vortice coloratissimo e pittoresco, dall’infanzia alla vecchiaia c’è tutto quello che la memoria seleziona nel tempo e lascia in deposito.
E se la chiave del deposito ce l’ha un’artista immaginifica, irresistibile, inarrestabile come Agnés Varda, questo è il risultato, Les plages d'Agnès.
“Il suo più grande trionfo è la sua stessa vita” hanno detto di lei, e si può perdonare se a tratti può sembrare autocelebrativa.
Non lo è, quel che racconta è vita che si fonde con l'arte, una dissolvenza incrociata in cui si risolve la discordanza tra il flusso del pensiero, che è continuo, e il mezzo di espressione, che è discontinuo, la lingua diventa plastica, supera tutte le resistenze, codifica visivamente una joie de vivre che contiene tutto, anche il dolore, l'amarezza, il rimpianto, ma tutto trasformato in arte e dunque gioia.
Une femme libre et curieuse, dicono di lei.
“ Cette idée a germé dans ma tête un jour, sur la plage de Noirmoutier, quand j'ai réalisé que d'autres plages avaient marqué ma vie.Les plages sont devenues prétexte et chapitres naturels du film. Beaucoup de vieilles personnes ont envie de raconter leur vie. Moi aussi.”
Scorrono le età della vita, bambini, ragazzi, adulti, vecchi, i protagonisti tornano in primo piano, appaiono e scompaiono di nuovo, passano i suoi film, quelli di altri, un bell’elenco:
Film socialisme (2010)
La pointe courte (1955)
Lola, donna di vita (1961)
La jetée (1962)
Cleo dalle 5 alle 7 (1962)
Les parapluies de Cherbourg (1964)
Salut les Cubains (1964)
Il verde prato dell'amore (1965)
Josephine (1967)
Black Panthers (1968)
Lions Love (1969)
La favolosa storia di pelle d'asino (1970)
Mur murs (1981)
Una camera in città (1982)
Senza tetto né legge (1985)
Li insegue la musica, qua e là c’è Schubert, Symphonie en Si mineur, Opus 7 D 759, Incompiuta, di Brassens la Supplique pour être enterré à la plage de Sète, di André Montagnard e Charles Courtioux Maréchal nous voilà! e Rossignolet des chants, canzone tradizionale, la canta lei.
Un bel mucchio di scope la inquadra nel finale come una ghirlanda di fiori, foto ingiallite o belle istantanee colorate si sovrappongono alla mappa del suo giro del mondo o s'infilano nella sabbia,street art e installazioni, cinema e performance teatrali, lei che fa capolino da una ‘500 a pedali,lei che guida la barca sulla Senna e passa sotto l’amato Pont Neuf con la Tour Eiffel sullo sfondolei tutta nera in mezzo a una nuvola bianca di fanciulle in fiore, lei che guarda Ulisse che guarda il mare e lei col caschetto bicolore, qualche anno dopo Les plages, in Visages, villages, 2017.
Agnés aveva una piccola compagnia di produzione, Ciné-Tamaris, fuori dalla grande distribuzione che fa film per l'industria dell'intrattenimento tradizionale.
Basso budget e alto valore artistico erano i suoi marchi di fabbrica.
Dice Jake Wilson di Senses of Cinema che Varda è una regista che “non ha mai smesso di funzionare, ma viene "riscoperta" ogni tanto”.
Tutto normale, così va il mondo.
Se non lo sapevamo lo impariamo da questo film che Agnés ha studiato filosofia e arte a Parigi, dove arrivò bel bello dal suo paesello, Sète, sì, quello di Brassens e della grande spiaggia solitaria.
Lavorò come fotografa e prima di girare un film ne aveva visti davvero pochi di film.
Fu La Pointe Courte il primo, 1955, e si svolge a Sète, sud della Francia, nel villaggio dei pescatori.
Paese della sua adolescenza, nel film i giovanissimi Philippe Noiret e Silvia Monfort girano per le strade e il loro problema è decidere se lasciarsi o no.
Rituali quotidiani dei cittadini, cucinare, badare ai bambini, cucire reti sul molo, e problemi esistenziali, sogni e sentimenti, discorsi di un uomo e una donna che vivono insieme e poi forse non più, macchine fotografiche portatili e illuminazione naturale, riprese documentarie e scorci “alla Bergman” aprono la strada alla Nouvelle Vague francese.
Raccolta attorno ai Cahiers du Cinéma e ad André Bazin, l'anima maschile del gruppo con Jean-Luc Godard, François Truffaut, Éric Rohmer e Claude Chabrol in prima fila, dovette ammetterlo:
il primo film fu il suo, di una donna!
Era il gruppo con vocazione letteraria più spiccata, quello della Rive Gauche di Agnès Varda, Chris Marker e Alain Resnais.
Alain Robbe-Grillet e Marguerite Duras gravitavano da quelle parti e Varda inventò la cinécriture, l’uso della macchina da presa come fosse una penna.
C’è un flash, nel film, di grande ironia: lei al centro di una corona di registi, il suo viso incorniciato da quello di tutti gli altri, non manca nessuno, e fra tutti lei scelse Jacques Demy, il suo Jacquot, l’amore eterno della sua vita.
“C'est l'ensemble de mon travail qui me raconte, plus encore que mes propos.
Il y a enfin ma rencontre avec Jacques Demy, notre vie commune avec des hauts et des bas, nos enfants, le cinéma, nos voyages, puis sa maladie et sa mort. Cette belle aventure d'amour, une grande part de ma vie, s'est naturellement intégrée dans ma vie de cinéaste et dans ce film”
Quindi arrivò Cléo de 5 à 7, il tempo di attesa di un responso medico, due ore nervose su e giù per la rive gauche della Senna di Cléo (Corinne Marchand), una donna che soffre.
E poi il resto di una vita ricca, ripercorsa all’indietro con le stesse emozioni depurate, come i magnifici restauri che riportano in vita l’opera appesantita dalle muffe del tempo.
C’è Montaigne alla base, prefazione agli Essais, 1595, dove il grande filosofo diceva:
"L'ho dedicato (il mio libro) alla particolare comodità dei miei parenti e amici affinchè, avendomi perso (cosa che presto accadrà) possano ritrovare alcune delle mie condizioni e stati d'animo e con questo mezzo rendano più intera e luminosa la conoscenza che hanno di me. "
_____________________
"La vecchia cineasta si è trasformata in giovane artista plastica" disse infine Varda quando decise di non fare piu solo film.
Protagonista di mostre di arte contemporanea, Body Art e Street Art, Les plage d'Agnés ci raccontano tutto di lei con la leggerezza gravitazionale di un sogno. Il carattere performativo del suo cinema qui diventa autorappresentazione, messa in scena del proprio corpo, abitare il tempo e abitare il cinema.
“Cos’è il cinema?” si chiede nel finale.
Nella stanza dalle pareti trasparenti in cui entra per l’ultima scena c’è la risposta:
“La luce che arriva e cattura le immagini in bianco e nero o a colori”.
Molto semplicemente.
www.paoladigiuseppe.it
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta