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Sicilia Queer #9 - Day 2
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All'indomani del 30 maggio, in cui il Sicilia Queer FilmFest ha aperto i battenti con Climax di Gaspar Noé, già è tempo di maratone. 

 

locandina

Dulcinea (2018): locandina

 

In mattinata, Dulcinea di Luca Ferri, cinema sperimentale da camera, artigianale e diretto, probabilmente meno misterioso di quanto vorrebbe ma illuminante per ciò che concerne l'autismo e la ripetitività ritualistica potenzialmente insita nei feticismi e nelle manie. Mentre Dulcinea sta seduta, si lima le unghie, urina e mangia, Don Chisciotte lava i piatti, ripulisce le superfici e i vetri, raccoglie alcuni reperti che custodisce gelosamente in apposite buste di plastica. L'esperimento è gustoso, ed è - come sempre in Luca Ferri - compresso tra una volontà autoriale forte e un senso del grottesco non trascurabile. Alla fine le cose non devono necessariamente escludersi a vicenda. Ciò che è importante è il modo sottilissimo in cui il rapporto fra i due personaggi, ben intuibile fin dall'inizio, si traduce in alcune azioni "invisibili" che segmentano il breve lungometraggio, per esempio le continue allusioni all'atto sessuale nei gesti di lui (che pulisce la sponda del letto come se ne masturbasse le estremità convesse) oppure le sovrapposizioni dei campi che portano lui a pulire superfici oltre le quali la fantasmatica figura di lei si staglia come desiderio volutamente inafferrabile. 

Voto: 5,5/10

 

Sempre in mattinata si apre il sipario sulla selezione Queer Short dei cortometraggi in concorso. I primi 6, della durata di circa 20 minuti l'uno, rappresentano una scelta dopotutto interessante e in grado anche di divertire parecchio.

 

scena

A Woman's Wife (2018): scena

 

A Woman's Wife di Ahlam Jang è uno dei titoli meno convincenti: storia di accettazione, da parte di una donna, del desiderio del marito di sentirsi anch'esso una donna indossando abiti femminili in pubblico. Le tensioni mal sopite tra i due sono costantemente messe in mostra da silenzi enfatici e da costruzioni drammatiche elementari.

Voto: 4/10

 

scena

Galatée à l'infini (2017): scena

 

Galatée à l'infini ripropone il mito di Galatea e Pigmalione tramite la tecnica del collage, scomponendo e ricomponendo concetti e momenti della Storia e della Storia dell'Arte, in un sacrificio apocalittico della cultura occidentale e non per la creazione di una donna perfetta - alla fine surrogato di essere umano. Le 5 registe coinvolte (Julia Maura, Mariangela Pluchino, Ambra Reijnen, Maria Chatzi e Fatima Flores Rojas) non solo lanciano un attacco diretto alla fallocentricità di società e cultura, ma riscrivono i ritmi del cortometraggio cinematografico tramite innesti, contaminazioni e transmedialità, partendo da Tinder e finendo ai video tutorial dei robot, sfruttando una bambola gonfiabile e L'origine du monde di Courbet con la stessa rilevanza, de-gerarchizzando i luoghi comuni del gender e dell'Arte. Fenomenale.

Voto: 7/10

 

locandina

Fuck You (2018): locandina

 

Fuck You di Anette Sidor, già presentato a Locarno 2018, è figlio degli innocui coming out del cinema di Lukas Moodyson, anche se stavolta più che coming out si propone una sorta di esplorazione ulteriore del rapporto uomo-donna tramite il superamento delle gerarchie e dei simboli di forza e sopraffazione da parte dell'uomo sulla donna e in qualche modo tramite una loro serena risoluzione pacifica. Ingenuo ma onesto.

Voto: 5/10

 

scena

Old Narcissus (2017): scena

 

Old Narcissus di Tsuyoshi Shoji si aggiudica il titolo di corto più trash del Queer Short, almeno per quanto riguarda questa prima tornata. Un illustratore grafico ama essere sculacciato con uno strano frustino, e paga giovani gigolò per soddisfare le sue voglie. Uno di questi gigolò gli conquista il cuore, e forse il sentimento è ricambiato. Il montaggio, soprattutto quello sonoro, fa acqua ovunque, e quando vuole risultare a effetto è soprattutto imbarazzante. Ma è un cinema talmente sfacciato e ridicolo da fare quasi tenerezza, e risultare più rilevante di qualsiasi paccottiglia accomodante e scontata. Finale esilarante.

Voto: 4,5/10

 

scena

Reforma (2018): scena

 

Reforma viene dal Brasile. Diretto da Fabio Leal, è il racconto - sempre in dubbio fra verità o immaginazione - degli incontri erotici di Francisco, che vive male con la propria obesità ed è indeciso fra il godersi la vita aspettando l'uomo che lo accetti così com'è, e il tentare di migliorarsi. Una barzellettina insignificante con un finale che senza motivo alcuno cita Il matrimonio del mio migliore amico che al solo ricordo fa scappare la risata. Scene hard-core insignificanti, ed estremamente villose. La frase sulle smagliature è da annali.

Voto: 4/10

 

scena

Lac Daumesnil (2019): scena

 

Infine, Lac Daumesnil di Thomas Devounge trova un suo grosso punto di interesse nell'alternanza della finzione tout court e nelle riprese amatoriali, da cui il regista riesce a tirar fuori tutta una poesia e una liricità che è rovinata sia dal banalissimo soggetto - fatto di non detti e delle solite tensioni mal sopite - che dalle riprese più accademiche, che non tardano a sfoggiare il solito campionario di primi piani e ovvietà visive.

Voto: 4,5/10

 

locandina

Pierino (2018): locandina

 

Ma in concorso al Queer 9 ci sono ben due film di Luca Ferri. Già oggi 31 maggio, nel pomeriggio, si visiona il secondo, Pierino, documentario strampalato in pellicola grezza e da VHS della banale vita quotidiana di un cinefilo bergamasco nell'arco di un anno (2017). Todorov affermava che la fantascienza vera è sempre indecisa fra il naturale e il soprannaturale; Ferri sembra, analogamente, indeciso fra il serio e il faceto, perché a tratti ricostruisce degli strani idilli della semplicità e del gesto quotidiano, mentre in altri tratti enfattizza aspetti quasi ridicoli del suo personaggio, cinefilo ossessionato dalle liste e, da quello che dice, alla continua ricerca di una rigorosa onestà intellettuale, specie per ciò che concerne la differenza fra cinema d'autore e cinema d'intrattenimento. Il modo in cui è scandito il film - la divisione in capitoletti coincide con la divisione dei 12 mesi dell'anno, con l'oroscopo della bilancia che puntualmente anticipa, fallendo sempre, come sarà la vita di Pierino - permette un ritorno a quella ritualità reiterata che avevamo trovato già in Dulcinea ma che qui non risiede nella mania, ma piuttosto nella rassegnazione alla banalità. 

Voto: 6/10

 

Marie Losier

O Pássaro da Noite (2015): Marie Losier

 

Sempre nel pomeriggio, 8 cortometraggi della regista francese Marie Losier. Si tratta di:

 

Bird, Bath and Beyond (2003) 4/10

Electrocute Your Stars! (2004) 4/10

The Ontological Cowboy (2005) 6/10

Tony Conrad, Dreaminimalist (2008) 6,5/10

Byun, Objet Trouvé (2012) 7/10

Alan Vega: Just a Million Dreams (2014) 7/10

Bim Bam Boom, las Luchas morenas! (2014) 6/10

Waltz Me Trust Me (2016) 6,5/10

 

e sono tutti come schegge impazzite che provengono da un altro tempo. L'occhio della regista è costantemente rivolto al cinema di Jonas Mekas e a quello di Kenneth Anger, benché si perda sia l'ambizione alla nobilizzazione dell'attimo quotidiano di vita del primo, sia la ricerca costante della magia e del rituale panico del secondo. A celebrarsi nel cinema di Marie Losier è il gioco, soprattutto il gioco delle Arti. Musica, teatro, collezionismo, wrestling, travestitismo: un pot pourri mai cerebrale ma sempre lirico e viscerale al contempo che è un riappacificarsi con un respiro cinematografico che si temeva andato perduto. Questa chiave di lettura permette al cinema della Losier di non apparire mai vecchio, ma ostinato e resistente, affezionato com'è al Super8 e al movimento mekasiano di camera, a cogliere i movimenti e i punti giusti. Rispetto ai primi due corti, che giocano in maniera più scontata con le sovrapposizioni e con la voce fuoricampo, già dal The Ontological Cowboy le ambizioni crescono, la miscela cinema-teatro si traduce nei continui rifacimenti e disfacimenti dei palcoscenici e delle maschere e l'energia dei movimenti di camera si fa più insistita. Con il film su Tony Conrad, ma soprattutto con Byun e con il tenerissimo Alan Vega (cantante dei Suicide, morto due anni dopo la realizzazione del corto), la Losier tiene d'occhio i ritratti espressionistici di Walden e di Lost Lost Lost di Jonas Mekas, riconcependoli a livello di struttura. Non c'è più lo sguardo che fissa la camera, ma lo sguardo che "gioca" con la camera, destabilizzandone il fuoco e il movimento, costringendola a proseguire in singhiozzi (anche fisici) di emozioni. Byun è in questo senso realmente un capolavoro: i movimenti sui volti dei due protagonisti, combinato con gli oggetti della loro collezione infinita di giocattoli, permette in appena 8 minuti un'immersione abbacinante e romantica nella bellezza del semplice divertimento. Ludico, un film che sembra guardato dagli occhi di un bambino. E pure in Waltz Me Trust Me, in cui Felix Kubin mima una complicatissima sonata di pianoforte come fosse un burattino immerso nel buio, agilissimo e scattante, a ricambiare lo sguardo della cinepresa come in una divertente sfida, o in una scommessa. Il cinema di Marie Losier - di cui ricordiamo lo splendido O Passaro da Noite, il suo capolavoro presentato nella Queer Short qualche anno addietro qui al Sicilia Queer - è una gemma imperdibile.

 

locandina

Love Me Not (2019): locandina

 

E' poi il turno di un film che direttamente da Rotterdam arriva al concorso Nuove Visioni di lungometraggi del Sicilia Queer. Un'operetta postmoderna antiimperialista in cui mito e storia contemporanea si mischiano come in un gioco di dadi, tra l'altro con la stessa casualità e la stessa naturalezza. La fluidità è tale che il citazionismo diventa gratuito e sfacciato e i generi si sfidano vicendevolmente, prosciugandosi degli orpelli narrativi più prevedibili e arricchendosi di logorroiche quisquilie che si seguono, invero, con un certo interesse, soprattutto quando l'ironia - e il montaggio "guadagniniano" della schizofrenia subliminale - rendono evidente la presa in giro. Se si vuole seguire un gioco senza regole, e talvolta un po' declamatorio, allora il film può anche lasciare poche ferite. Ma l'irritazione, in caso contrario, è comprensibile.

Voto: 5,5/10

 

locandina

Ai cessi in taxi (1980): locandina

 

E infine, il by night vietato ai minori di Taxi Zum Klo di Frank Ripploh, sorta di rivisitazione in forma di commedia malinconica del cinema di Fassbinder, chiaramente con un decimo e manco del suo carattere corrosivo. A Ripploh, che realizza qui un'auto-finzione per cui interpreta se stesso nel film, interessa condurre tramite un percorso narrativo lineare e tranquillo una riflessione sull'impossibilità della relazione sentimentale stabile a fronte di istinti lascivi e incontrollabili che costringono allo scambio di intimità e liquidi organici nei bagni pubblici (i glory holes...), nei parchi e in luoghi lontani da occhi indiscreti con sconosciuti attraenti e promiscui. Il mondo del film è filtrato dal punto di vista del regista-attore-protagonista, per cui è essenzialmente quello di una metropoli che, nell'anonimato generale, concede la possibilità del rapporto casuale omosessuale con estrema facilità, rende difficoltose le coltivazioni del sentimento amoroso più sano, e nasconde, nel profondo, un inevitabile stato di perenne insoddisfazione, alla continua ricerca del nuovo incontro, del nuovo sconosciuto e del nuovo orgasmo. E' al montaggio comunque che il film affida gran parte della propria artiglieria politica. Non solo nell'inserzione di film pornografici muti in mezzo a scene anche delle più innocue e caste, ma anche nella sequenza eccellente del triplo scambio di campi fra un video di sensibilizzazione contro la violenza sui minori, i due omosessuali che guardano il video stesso seduti di fronte alla televisione, e il protagonista che fa lezione privata a uno dei suoi indifesi piccoli studenti. Certo, il film è un po' invecchiato e vive del suo tempo; eppure, tanta carica e tanta ostinazione nella naturalezza della messa in scena di nudità maschili, che sostituiscono del tutto quelle femminili - per lo più nel film smorte, cadenti e flaccide - è rara ancora oggi, ed è assurdo come non sia ancora in grado di rompere moltissimi degli ipocriti luoghi comuni del comun senso del pudore al cinema. 

Voto: 6,5/10

 

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