E intanto a Cannes... siamo arrivati al 4 giorno di proiezioni, se si conta anche martedì 14, giornata inauguarale in cui si è tenuta la sola proiezione del film d'apertura I morti non muoiono di Jim Jarmusch.
I film del concorso passati sino ad ora sulla schermo del Grand Théatre Lumière, dove si svolgono le prime proiezioni, sono stati complessivamente 5: oltre alla commedia horror di Jarmusch si sono visti Les Misérables, del francese Ladj Ly, e Bacurau, dei brasiliani Juliano Dornelles e Kleber Mendonça Filho, proiettati per la stampa mercoledì 15. Ieri invece sono stati presentati The Atlantides, della regista francese Mati Diop, e Sorry we missed you, di Ken Loach.
Del film di Jim Jarmusch abbiamo già detto: l'horror dai risvolti socio-politici e dal tono scanzonato del regista di culto (se lo merita davvero, anche se il titolo vale più per i suoi film del passato) e con un grande cast ha suscitato un consenso che non si esiterebbe a definire tiepido. Il divertimento non manca, né mancano le moltissime immancabili citazioni che fanno del film una vera e propria opera di meta-cinema (e come avrebbe potuto essere altrimenti?), ma in molti sembrano puntare il dito sulla eccessiva semplificazione e sull'autoreferenzialità. La sensazione di un bersaglio mancato (o forse colpito solo a metà,) arriva anche leggendo le recensioni dei nostri utenti a Cannes, quella di EightAndHalf, e quella di Alan Smithee. Non a caso il voto medio non raggiunge la sufficienza, pienamente in linea con le recensioni di aggregatori come Rotten Tomatoes.
Mercoledì, come dicevamo è stato il giorno di Les Misérables e Bacurau. Francese il primo, brasiliano il secondo, eppure legati da un filo rosso nemmeno troppo sottile, nonostante la grande distanza geografica e di contesto narrativo. Entrambi raccontano infatti degli “invisibili”: quelli delle banlieue parigine per il film del francese Lady Ly, che le periferie le conosce bene, essendoci vissuto. Quelli di una comunità del sertão brasiliano nel film di Juliano Dornelles e Kleber Mendonça Filho. In quest'ultima opera l'alienazione e la marginalizzazione raggiunge livelli di surrealismo, visto che gli abitanti della comuintà (fittizia) di Bacurau sembrano essere letteralmente ignorati nei loro bisogni e perfino nella loro identità ed esistenza, con il luogo che sparisce letteralmente da ogni mappa. Di più, sulla trama, sembra non poter dire: "E' difficile raccontare Bacurau senza decadere nell'anticipazione più esplicita della trama, poiché il film è un rotolo che va liberandosi con il proseguire del minutaggio, in un effetto domino inarrestabile di vie, percorsi rilanciati e MacGuffin incatenati; vedere Bacurau è un continuo districarsi tra deviazioni, interruzioni, lampi, sorprese e attese, di certo conscie della lezione hitchcockiana ma anche dei rigori del western sia nord-americano che messicano. Il cuore pulsante sud-americano sta invece nello slancio politico resistente caldo e pulsante, orgoglioso certo ma cinico quando opportuno, mai idealizzato e sempre ben calato nelle verità storiche dei drammi della colonizzazione occidentale, che fa scomparire culture, realtà locali e soprattutto tradizioni popolari, imbrattandole di sperma, sangue e polvere da sparo. Bacurau è anche in questo senso un rincorrersi di alterità, di alienazioni, di diversi che impattano e cercano di tradursi senza successo; un esplodere graduale e molesto di percezioni falsate e rimodellate, fra western e dramma, fra guerra e videogame; un reale scoppiettante gioco al massacro in cui due fazioni si scontrano e il mistero rimbalza da una parte all'altra, dai presunti buoni agli assurdamente cattivi". Sono parole tratta dall'unica recensione sin qui pervenuta, che potete leggere per intero qui.
Ben differente per contesto, anche Les Misérables è chiaramente a sua volta un film politico e sociale. Il regista Ladj Ly ha dichiarato che sarebbe molto contento se il Presidente francese Macron lo vedesse, proponendogli addirittura una proiezione all'Eliseo. Nato da cinque anni di riprese nelle banlieu, documentando soprattutto le azioni della polizia francese, culminate nella testimonianza di un abuso che ha poi generato un'inchiesta, il film del giovane regista muove dalle vicende di tre poliziotti operativi a Montfermeil, ad est di Parigi che si trovano presi nel mezzo di una guerra tra fazioni. L'impianto è quello di un poliziesco, "dai tratti appassionanti e dal buon ritmo, che unisce il dinamismo di un action scandito con grande perizia, ad un accurato studio delle insanabili divergenze etnico-culturali che trasformano in un pericoloso focolaio incandescente, intere metropoli in cui culture differenti e diffidenti l'una dell'altra sono costrette ad andare avanti condividendo un medesimo habitat." come riporta la recensione di Alan Smithee, che assegna al film un voto positivo.
Non vi è però una contrapposizione netta tra i personaggi, nè una condanna aperta della polizia: il dito è puntato semmai sull'indifferenza della classe politica che ha nel tempo lasciato che situazioni come quella di Montfermeil si generassero e sulla mancanza di provvedimenti per sanare una piaga sociale ormai incancrenita. "Les Misérables ha sullo sfondo disoccupazione e povertà, due aspetti che sono alla radice di ogni problema." Ha dichiarato il regista "Quando si hanno i soldi, è più facile convivere con tutti. Quando si è nella miseria, invece, tutto è più complicato: si passa attraverso compromessi, accordi, piccoli traffici... si deve sopravvivere. E in modalità sopravvivenza vi sono anche i poliziotti. Racconto anche la loro miseria, il loro lavoro e il loro background di provenienza (molti non hanno nemmeno studiato). I poliziotti, con i loro controlli sulle identità, in un quartiere conoscono chiunque, sanno a memoria le abitudini di tutti e potrebbero parlare a occhi chiusi di ogni cosa. Eppure, capita ogni tanto che in cerca di un brivido, distrazione o, semplicemente azione, escano dal seminato. La colpa, dunque, non è né dei poveri né dei poliziotti: è semmai della classe politica che per decenni ha lasciato i quartieri meno fortunati a marcire".
Ieri sono invece andati in scena un altro film francese The Atlandites e l'ultima fatica di Ken Loach, Sorry we missed you.
Nel primo caso si tratta del primo film presentato in concorso di una regista donna (dei 4 presenti in concorso): è Mati Diop, di madre fancese e padre senegalese (il musicista Wasis Diop, a sua volta figlio del regista Djibril Diop Mambety). Ambientato alla periferia di Dakar, The Atlandites racconta delle complesse vicende di Ada e Souleimane, innamorati ma separati dai loro percorsi: la prima è promessa in sposa dalla famiglia a un atro uomo, ricco, il secondo si imbarca invece in un viaggio della speranza per migrare. Reso complicato da un percorso narrativo non lineare il film, nel giudizio di EightAndHalf, è eccessivamente ambizioso ed enfatico, a tratti stucchevole, persino azzardato, Eppure non da evitare per alcuni aspetti di originalità, magari non perfettamente resi.
Ancora nessuna recensione invece per il film del vecchio leone Ken Loach, che ovviamente non abbandona il suo percorso dominato - in oltre cinquant'anni di premiata carriera (è il caso di dirlo: proprio a Cannes ha vinto due Palme d'Oro) - da una profonda incorruttibile coerenza. L'opera dell'ottantaduenne regista inglese torna a parlare di lavoro, inquadrando il dramma del precariato ai tempi dell'e-commerce, e disegnando - attraverso la vicenda di una famiglia di Newcastle - come le sfide imposte dal sociale si insinuino profondamente nel privato degli individui, disgregandolo.
Oggi sarà la volta di Dolor y Gloria, il film di Almodovar che arriva in contemporanea nelle nostre sale, e di Little Joe, dell'austriaca Jessic Hausner.
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