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Il Cinema romeno e il suo realismo civile
di Peppe Comune
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Lungo tutta la storia del Cinema, è spesso capitato che in particolari momenti storici gli impulsi più vitali per l’evoluzione del linguaggio cinematografico si leghino al doppio filo con la necessità di raccontare le condizioni di salute di un determinato paese. È accaduto, ad esempio, in Italia subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, quando l’urgenza di raccontare un paese in ginocchio diede un notevole impulso alla nascita e allo sviluppo del Neorealismo, fornendogli la concreta possibilità di farsi avanguardia culturale di un modo originale di approcciare con la materia Cinema. Ecco, ogni qual volta si senta l’urgenza di fare della macchina da presa un occhio vigile sulla vita che scorre, uno scandaglio dei sentimenti per smascherare gli inganni che li tengono prigionieri, può succedere che delle cinematografie emergano all’improvviso come se si trattasse di una cosa che doveva necessariamente succedere, che trasmettano una vitalità esorbitante nonostante si muovano in contesti relativamente piccoli e non propriamente floridi dal punto di vista economico, che dimostrino di avere una grande conoscenza delle possibilità espressive offerte dal cinema anche se alle spalle non hanno una grande e variegata tradizione.

 

 

Un caso assai emblematico è rappresentato dalla Romania, che soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni novanta ha conosciuto una produzione cinematografica estremamente interessante. Uscita martoriata dal regime dittatoriale di Nicolae Ceausescu, uno dei più retrivi e oscurantisti della storia, un paese intero ha sentito il bisogno di raccontare le proprie ferite più profonde come se si trattasse della cosa più urgente da farsi. E lo ha fatto nel modo più semplice e naturale, comune a tante situazioni similari : dando la possibilità ai suoi talenti creativi di potersi finalmente esprimere. Lo ha fatto soprattutto attraverso il cinema, sfruttandone appieno gli strumenti espressivi e le capacità rappresentative, sempre raccontando il presente in relazione al suo passato recente e sempre analizzando il sistema paese facendo leva sul modo in cui lo sviluppo storico lo ha caratterizzato.

 

Cristi Puiu

Aurora (2010): Cristi Puiu

 

Un aspetto importante del cinema romeno e l’unità d’intenti che sembra animare l'intero sistema cinematografico, una cosa che agisce nel senso di riunire ogni autore intorno alla stessa esigenza di usare il cinema come fondamentale strumento di riscatto ed emancipazione sociale. È questo fatto a rendere ragionevole l’idea che al cospetto del cinema romeno si possa parlare di una vera e propria corrente cinematografica, con dei connotati stilistici preponderanti che ritornano in tutti i film nonostante l’ovvia specificità di linguaggio rinvenibile in ogni autore. Aspetto che agisce come una sorta di percorso carsico, capace di legare intorno ad una linea poetica comune film e registi dal carattere diversificato. Il più importante e fondamentale è l’idea di realismo che si vuole trasmettere, intesa non tanto come "semplice" adesione acritica alla realtà fattuale, ma come rappresentazione critica e partecipata della realtà sociale del paese. Ricerca che emerge dal modo in cui si raccontano emblematici spaccati di vita, nella particolareggiata tipizzazione dei personaggi, nella regia analitica e anti spettacolare. Tutte cose che trovano il loro naturale compendio nel rapporto contrastato che ogni singolo cittadino ha con il suo paese. Perché, nella maggior parte dei film, attore subito riconoscibile ma mai accreditato veramente è un sistema paese lacerato dalle sue profonde contraddizioni e dalle sue endemiche inefficienze, ancora troppo irrisolto nei suoi fondamenti socio culturali per pensare di aver risolto i conti con il regime di Nicolae Ceausescu, che è come un’ombra che si insinua malevola in molti aspetti della vita sociale, tarpando le ali di ogni speranza viva di cambiamento. La Romania fa sempre da sfondo invasivo per lo sviluppo delle storie, un paese squilibrato che naviga a vista nel mondo globalizzato, offrendo ai suoi cittadini solo occasioni indistinte di benessere, solo illusioni effimere di riscatto. I personaggi sembrano sempre in attesa di un qualcosa che non arriva mai, in bilico tra un passato che si vorrebbe definitivamente lasciare alle spalle e un futuro di cui non si riesce ancora a distinguere le forme. Intanto, sono impegnati a vivere un presente sempre pronto ad offrire dilemmi morali, incastrato tra una rivoluzione abortita ed una restaurazione applicata sotto altre forme.

 

Cristi Puiu

Aurora (2010): Cristi Puiu

scena

Sieranevada (2016): scena

 

Molto attenti allo sviluppo emotivo dei personaggi, con una comprovata capacità di fare della loro precarietà emotiva lo specchio entro cui poter riflettere le sembianze amorfe di un intero paese, sono Cristian Mungiu e Cristi Puiu, (a mio avviso) i due pilastri principali del cinema romeno. Ma se il primo ha un timbro più elegiaco e un modo più esplicito di rappresentare il legame delle sue storie con il passato recente del paese, il secondo ha un approccio più sobrio e meno lineare. Mungiu lascia trasparire la volontà di voler analizzare il rapporto dialettico tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che dovrebbe essere della Romania, mostrando chiaramente i caratteri retrivi da cui il paese non riesce ancora ad emanciparsi. Si pensi al tema dell’aborto clandestino nello stupendo “4 mesi 3 settimane 2 giorni”,all’amore omosessuale impossibile in “Oltre le colline” o all’ansia di un padre che intende garantire con ogni mezzo possibile il riscatto sociale della figlia in “Un padre, una figlia”. Puiu, invece, tende più a giocare di sottrazione, a investire sui silenzi, a portare le storie al limite del non senso.  Lui pratica un realismo che ambisce a rimanere uguale a se stesso, arrivando a un tale snellimento delle ellissi narrative da ridurre al minimo la dilatazione tra il tempo reale e quello della narrazione filmica. Questo succede soprattutto nel calvario ospedaliero di “La morte del signor Lazarescu”, ma anche nel geometrico piano di vendetta di Viorel in “Aurora” e nei resoconti (socio)familiari di “Sieranevada”.

 

Corneliu Porumboiu

Il tesoro (2015): Corneliu Porumboiu

 

Sempre tendente alla riflessione “malinconica” sullo stato delle cose ma usando una dose sottile di corrosiva ironia, invece, è il cinema di Lucian Pintilie e Corneliu Porumboiu, gli altri due grandi artefici del felice momento del cinema romeno. È ancora proibito investire nei bei sogni, i due autori sembrano esserne convinti e perciò usano spesso l’arma del paradosso per far risaltare per contrasto la condizione di sostanziale indeterminatezza che attraversa il paese. Il legame tra il buio di ieri e la precarietà di oggi è il tema centrale de “Il pomeriggio di un torturatore” di Pintilie, dove la gravità delle confessioni di un servo convinto di Ceausescu viene mitigata dalla rappresentazione satirica della “banalità del male”. Lo stesso vale per “Terminus Paradis”, dove la consapevolezza che poco è cambiato dai tempi della dittatura viene resa attraverso una messinscena che investe abbastanza sulle iperboli narrative.  Lo stesso legame tra un passato scomodo e un presente irrisolto caratterizza il cinema di Porumboiu, che nel bellissimo “A est di Bucarest” si chiede se quella che ha portato alla fine del regime dittatoriale sia stata una vera rivoluzione. Un film che con fare umoristico pone la seria questione su come costruire un’identità nazionale attraverso una storia largamente condivisa. Riflessioni di natura fortemente identitarie sono anche contenute in “Police, Adjective”, incentrato sulla crisi di coscienza di un poliziotto che si chiede che comportamento dovrebbe avere in un paese carico di contraddizioni sociali, e in “Il tesoro”, sugli effetti possibili che il sopraggiungere eventuale della ricchezza economica può produrre sulle persone.

 

Adrian Sitaru

Art (2014): Adrian Sitaru

scena

Illegittimo (2016): scena

scena

Fixeur (2016): scena

 

 

Incentrato su dei dilemmi morali dalle forti implicazioni sociali sono anche i film di Adrian Sitaru : sull’insuperato tabù dell’aborto “Illegittimo”, e sul desiderio di successo professionale di un giornalista rampante “Fixeur”. Un caso particolare è quello rappresentato da Radu Mihaileanu. Dalla Romania e con a bordo ebrei romeni “raccattati” in diversi villaggi partiva il treno della speranza nello stupendo “Train de vie”. Poi il regista ha continuato la sua carriera per lo più in Francia, con i successivi e “famosi” “Vai e Vivrai” e “Il concerto”.  

 

 

Teo Corban, Toma Cuzin, Mihai Comanoiu

Aferim! (2015): Teo Corban, Toma Cuzin, Mihai Comanoiu

Luminita Gheorghiu

Il caso Kerenes (2013): Luminita Gheorghiu

Ogni sistema cinematografico che si rispetti dimostra il suo vitalismo attraverso la nascita continua di “nuovi” autori, bravi a mostrarsi subito come dei prospetti interessanti al loro esordio ma poi in attesa di ulteriori conferme. La Romania conferma la bontà di questa regola non scritta, con la presenza di diversi registi più o meno giovani sempre interessati a portare su schermo riflessioni sensate su cosa sta diventando la Romania al tempo dell’economia globalizzata. Un caso è quello di Radu Jude, autore al momento di due film diversissimi tra di loro : sul calvario fisico di un ragazzo allettato “Scarred Hearts”, un viaggio picaresco ambientato nella Romania dell’ottocento “Aferim”. Bello e socialmente importante è “Il caso Kerenes” di Calin Peter Netzer, incentrato sul rapporto “asimmetrico” tra una madre onnicomprensiva e un figlio arrendevole. Un rapporto che riflette in forma simbolica quello che intercorre tra la conservazione di vecchi privilegi di casta e un prodotto deforme della "solita" borghesia cittadina : tra il retaggio di un passato prossimo che sa imporre ancora la sua influenza e le nuove generazioni che sono ancora troppo deboli per dare al proprio paese uno slancio in avanti veramente nuovo. Abbiamo poi Florin Serban con il suo If I Whant To Whistle, I Whistle”, sulla deplorevole condizione delle carceri che fa da cornice alla storia di un detenuto che lotta per impedire che il fratello si trovi imprigionato nella sua stessa esperienza di vita. Bello ed “insolito” è “Caini” di Bogdan Mirica, un noir soleggiato ambientato negli sterminati territori ai confini con l’Ucraina. La tipica terra di nessuno dove vige il dominio incontrastato delle bande criminali. Una terra che così deve rimanere, ne vale la salvaguardia dei traffici illeciti che in quei territori dimenticati da tutti garantiscono soldi, potere e impunità. Un buon esordio non ancora replicato è, invece, “Francesca” di Bobby Paunescu, sull’emblematica storia di una ragazza la quale, col suo sognare l’Italia, incarna il desiderio molto diffuso tra i giovani di “fuggire” dalla Romania per cercare di assecondare altrove le proprie legittime aspirazioni.  Di produzione, ambientazione e carattere romeni è “Katalin Varga” del britannico Peter Strickland, sulla storia di una donna ripudiata dal marito che intraprende un lungo viaggio fino ai Carpazi per compiere una vendetta tardiva ma necessaria. Anche per la centralità che ancora conserva nell’economia del cinema romeno, merita di essere ricordato “Racconti dell’età dell’oro”, un film corale (sotto l’egida del “famoso” Cristian Mungiu) che si diverte a prendere in giro fatti, situazioni e personaggi del tempo della dittatura. Quando non fa più paura e se ne può parlare con intelligente umorismo.

 

Gheorghe Visu

Dogs (2016): Gheorghe Visu

 

La Romania è ancora un paese irrisolto, sempre alla ricerca delle sue migliori coordinate. Condizionato dall’eredità del regime di Nicolae Ceausescu, che prende le forme di aspetti retrivi duri a morire, e dall’incapacità di capire il suo ruolo e la sua posizione al tempo dell’adesione acritica al modello Liberista. Il cinema romeno di questi ultimi vent’anni ha saputo trasmettere egregiamente la condizione psicologica di un paese che è ancora in attesa della sua rivoluzione progressiva. Facendo emergere l’universale dietro la rappresentazione di particolari spaccati di vita.         

 

 

 

 

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