Dopo nove giorni di intense proiezioni, durante i quali sono transitate 77 pellicole, nella tarda serata di sabato 4 maggio la ventunesima edizione del Far East Film Festival ha calato il sipario, annunciando dal palco del Teatro Nuovo, stipato in ogni ordine di posto, i vincitori. Con l’energia che da sempre, e in ogni occasione, la contraddistingue, Sabrina Baracetti, la master of cerimonies del festival, ha introdotto le scelte del pubblico, che ha decretato come vincitore indiscusso Still human, che si è accaparrato anche il premio della critica. Un trionfo accompagnato da una standing ovation, per un’opera prima che in precedenza aveva già incantato l’Asia, conquistando svariati riconoscimenti. Il podio dei film più apprezzati è completato dalla seconda posizione di Dying to survive, autentico fenomeno al botteghino cinese, e dalla terza occupata da Extreme job, commedia d’azione, attuale detentrice del primato di maggior successo di sempre al botteghino della Corea del Sud. Scelte estremamente popolari, in controtendenza con la tradizione del festival, che negli anni ha incoronato prima di tutto opere coraggiose, lontane dalle luci della ribalta. Un segno dei tempi, un risultato che testimonia l’urgenza di percepire un tepore epidermico e poco cambia se sia frutto di un incontro dagli effetti terapeutici (Still human), di una battaglia intrapresa da un uomo comune contro un sistema anestetizzato alle esigenze del popolo (Dying to survive) o della rivincita di una banda di perdenti nati (Extreme job).
(da sinistra a destra: Anthony Wong, Crisel Consunji, Oliver Siu Kuen Chan, Sabrina Baracetti)
Decisamente più coraggioso il premio riservato alla miglior opera prima, assegnato dalla giuria composta da Mattie Do (regista e produttrice laotiana-americana), Freddy Bozzo (co-creatore del Bruxelles International Fantastic Film Festival) e Giovanna Fulvi (programmatrice del Toronto Film Festival) a Melancholic, pellicola straripante di idee, una contaminazione di generi che mette in evidenza il talento del giovane regista giapponese Seiji Tanaka. Tra le quattordici opere prime presenti, ce ne erano altre già perfettamente formate, ma in questo caso trionfa la potenziale prospettiva, poiché se gli si possono appuntare dei difetti, è altrettanto vero che i segnali artistici e lo spirito d’iniziativa sono inequivocabili.
Il palmares è completato dal mymovies award assegnato a Fly me to the Saitama, pellicola oltraggiosamente pop diretta da Takeuchi Hideki, che inscena una pirotecnica guerra tra ricchi e poveri, tra la grande città (Tokyo) e la sbeffeggiata provincia. Aggiungiamo che il gesto simbolo del film (vedi foto sotto con il regista) si è trasformato in un subitaneo tormentone.
Con la premiazione andata in archivio, è tempo di fare un resoconto e guardare avanti. La via della seta ha portato in sala oltre 60mila spettatori, con oltre duecento guest star asiatiche e altrettante figure professionali dell’industria cinematografica, a Udine per imbastire legami internazionali e intavolare future collaborazioni. Gli accreditati sono stati circa 1600, provenienti da oltre venti nazioni e con personalità illustri (non poteva mancare il fedelissimo Marco Müller, ma anche il direttore della Quinzaine des réalisateurs è stato un assiduo frequentatore delle proiezioni). Tutti gli indicatori sono segnalati in crescita e la reputazione internazionale del Far East Film Festival gode di ottima salute, con una ricaduta positiva sulla città di Udine, grazie anche a eventi collaterali, come il tradizionale Cosplay Contest, che ha richiamato nel capoluogo friulano circa 20mila persone. Ciò nonostante, la direzione lancia un grido di allarme: i finanziamenti pubblici hanno subito un ulteriore taglio, quantificabile in 150mila euro, mettendo in discussione standard di servizio acquisiti lungo oltre vent’anni di attività. Sperando in un futuro migliore, il Far East Film Festival comincia già a prepararsi per la prossima edizione, in programma dal 24 aprile al 2 maggio 2020. Noi non possiamo che augurargli un sincero in bocca al lupo. Chiudiamo questa intensa esperienza con una fugace panoramica su quanto avvenuto nella seconda parte del festival, a completamento di quanto già pubblicato (Far East Film Festival 21: check & go).
The odd family: zombie on sale – Gli zombie sono tornati. Dopo aver anticipato l’esplosione di One cut of the dead un anno fa, il Far East Film Festival azzecca un nuovo potenziale fenomeno globale. Questa volta, non c’è nessuna valenza teorica, ma è una rarità imbattersi in una carambola di gag comiche del genere. The odd family: zombie on sale (recensione di Alan Smithee) non mostra alcun rispetto per gli zombie, per buona parte ne addomestica un esemplare per portare benessere a una famiglia disfunzionale. Poi si scatena un’apocalisse, sempre orientata sulla comicità, senza perdere mai lo spunto. Fino a un finale che chiude il cerchio, con un senso dello sberleffo mai domo. Imprescindibile.
Unstoppable & Ma Dong-seok. Ma Dong-seok, il Bud Spencer coreano, torna più agguerrito che mai. Unstoppable (recensione di Supadany) è un picchiaduro che segue narrativamente la linea tracciata da Io vi troverò, ma ha la virtù di non prendersi troppo sul serio (in sintesi, si ride parecchio) e le coreografie sono reboanti, in costante crescita. Sul finale, dà il meglio e in un paio di circostanze sono partiti scroscianti applausi. Una reazione che capita di sentire solo nelle grandi occasioni. Travolgente.
Three Husbands. Fruit Chan è uno degli autori viventi più considerati e non sceglie mai le strade più comode per manifestare il suo dissenso sull’andamento della società contemporanea. Three husbands rincara la dose, provocatorio oltre ogni limite nel raccontare la storia di una donna e dei suoi tre mariti che, in parte, sono anche altro. Una satira impervia, con una protagonista che, per la sua inesauribile fame di sesso, potrebbe tranquillamente provenire da un’altra dimensione. In sala era presente la protagonista (vedi foto), voluttuosa come il personaggio. Da vedere.
When love Blossoms. Oggigiorno, parlare di amore senza cadere nelle trappole della retorica è virtù per pochi. Con When love blossoms, vi riesce l’esordiente regista cinese Tian Ye (foto sottostante), in un’opera delicata e sfuggente, che utilizza il teatro per compenetrare una vita reale piena di note grame. Un espediente non così inusuale ma con un ottimo dividendo, anche perché il film non si chiude all’insegna dell’enfasi appiccicosa. Infatti, ha l’intelligenza di rimanere sospeso, di non fornire tutte le risposte, chiedendo allo spettatore di immaginarsi il futuro dei due protagonisti. Pragmatico.
Yao Chen – Lost, found: L’onda cinese. Premessa. Usciti dal film precedente, il Teatro Nuovo era praticamente deserto. Tempo di fare un paio di telefonate e mangiare un boccone al volo, ci siamo trovati di fronte a un assedio. Per Lost, found, una flotta di spettatori cinesi ha contribuito a esaurire gli oltre mille posti del Teatro Nuovo, tutto per vedere da vicino Yao Chen (foto sotto), in Cina una star assoluta. Il film è cucito su misura per lei, la valorizza in ogni modo e propone pure temi di estrema attualità, riconducibili alla condizione della donna e ai rapporti di classe, ma poi si svilisce sul finale, sentendo il bisogno di ripianare ogni falla. Accomodante, ma la statura della star è apodittica.
Project Gutenberg. Project Gutenberg è il film più premiato a Hong Kong di questi mesi. Diretto e sceneggiato da Felix Chong, già sceneggiatore di cult quali Infernal affairs e sequel, vanta una costruzione certosina e una macrosequenza esemplare, in cui un villaggio viene messo a ferro e fuoco e il body count pareggia in pochi minuti quanto fatto dai detentori del guinness dei primati in materia. Detto questo, non si accontenta e produce un finale dietro l’altro, complicando le cose oltre l’immaginabile (non parliamo poi del necessario). Con un Chow Yun-Fat old style, già solo per questo da scovare.
Anthony Wong e il Gelso d’oro alla carriera. «Ho preparato un piccolo discorso... sono così agitato... è un grande onore per me accettare questo bellissimo premio per i meriti artistici, in questa bellissima città. Nonostante questo, non sono sicuro di quali siano i miei meriti. Dal mio primo film My Name Ain’t Suzie a Still Human, il film di quest’anno, non sono mai stato certo di essermi davvero meritato molto nella mia carriera. Il mondo del cinema è come l’abisso profondo dell’oceano, è misterioso e imprevedibile. È facile perdersi e smarrire il senso del tempo. Se qualcuno mi avesse detto che - prima o poi - avrei ricevuto un premio per i meriti artistici, da qualche parte, in qualche momento, dall’altra parte del mondo, avrei desiderato che questo avvenisse in Italia. Non solo per il background artistico e culturale di questo paese, ma anche per una questione di gusto. E, a parte questo, adoro la pasta. Comunque, penso che questo premio sia arrivato un po’ troppo presto per me. Da quello che ho visto in giro in questi anni, questi premi di solito vengono dati ad artisti che sono arrivati alla soglia di una certa età. Ed io, invece, come potete notare, non ho bisogno degli occhiali da vista per leggere questo discorso. Ma è qualcosa che doveva succedere e che succederà, lo accetto a braccia aperte. Vorrei ringraziarvi tutti per la vostra stima. Non mi sono mai definito un artista, piuttosto un praticante delle arti ma credo che approfitterò di tutto questo per pavoneggiarmi un po’ e vantarmi di aver ricevuto questo premio in Italia. Voglio ringraziare il Far East Film Festival di Udine per questo premio e vorrei ringraziare uno per uno tutti quelli che mi hanno dato una mano in passato, ma il tempo è essenziale, quindi non posso leggere a voce alta tutti i nomi della mia lista. In più, sono ancora giovane, perciò quando riceverò un premio alla carriera, mi prenderò tutto il tempo che mi serve per ringraziare tutti quanti. Ancora una volta, grazie per questo premio». Firmato (sua maestà) Anthony Wong.
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