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Quando si scrive di un evento che non è più una notizia, visto che di giorni da quando il fatto è pubblico ne sono già passati un po’, la sola attitudine possibile è quella del commento. Ma come commentare il fatto in questione - l’annunciata soppressione del canale Rai Movie che, insieme a Rai Premium prossimamente dovrà lasciar spazio a nuove iniziative del servizio pubblico televisivo - senza cadere nel lamento?
L’invettiva tuttavia qui è certo comprensibile, quasi necessaria. Riassumo però i fatti: l’Amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini - che prima della sua nomina alla guida della Rai nel luglio 2019 ad opera dell’attuale governo si era soprattutto occupato dei canali Fox e poi di La7 - ha la settimana scorsa fatto appunto sapere che i due canali citati saranno soppressi per affidarne le frequenze a due nuovi canali tematici, Rai4 e Rai6: il primo dedicato agli uomini, l’altro alle donne.
La cosa ha sollevato molte proteste e altrettanti pensieri. Anche perché i due canali morituri, il cui costo si aggira sul milione di euro annuo (secondo dati riportati dal Giornale) rendevano in realtà circa 30 volte tanto e contavano su uno share media dell’1.2% l’uno (sembra poco, non lo è). Rai Movie, in particolare, offriva circa 360 titoli l’anno in rotazione, per un totale di 3000 passaggi, attingendo dal vasto catalogo disponibile anche su RaiPlay. 
È evidente che i dubbi siano legittimi: al di là di ogni altra riflessione più cinefila, emotiva o culturale, perché si chiude qualcosa che rende 30 volte quel che costa?
La risposta offerta da Salini può sembrare vaga, ma cercando di scavare nelle pieghe qualcosa emerge. I media riportano una generica necessità: i canali esistenti avevano soffrivano per la “limitata audience e scarsa profilazione del pubblico”. Un comunicato disponibile sul sito Rai entra più nel dettaglio “i nuovi canali puntano, pertanto, ad avere una programmazione di maggior appealing in base a tutte le profilazioni emergenti dalle rilevazioni di ascolto esistenti universalmente nel mondo dei media che segnalano una differenza di gradimento di prodotti televisivi basata su fasce di età e generi.”
È “profilazione” la parola chiave. L’idea è che gli attuali contenitori non permettono di proporre contenuti pubblicitari dedicati a target ben identificati. Essere appassionati di cinema non basta: cari spettatori, come facciamo a sapere se a interrompere quei film dobbiamo metterci pubblicità di detergenti intimi o di rasoi elettrici? 

 

Sissy Spacek, Robert Redford

The Old Man & the Gun (2018): Sissy Spacek, Robert Redford


Dicono in più che l’offerta di film non calerà: anzi. Solo che sarà più spalmata sui vari canali. Saranno quindi film “profilati”? Guerra e azione da una parte e commedie sentimentali dall’altra? È questo che ancora siamo? Davvero?
E in più un servizio pubblico - pagato dal canone - deve ragionare in questi termini anche quando i servizi offerti sono già economicamente redditizi? Non c’è dubbio che le imprese commerciali seguano il mercato, e se il mercato - in questo caso quello della pubblicità - chiede di lavorare sulla segmentazione dei target, affinché i messaggi raggiungano le loro audience elettive, è naturale che i media seguano.
Ma la Rai, servizio pubblico e pagato dal canone obbligatorio, è questo? È giusto che lo sia o che lo diventi sempre più? È in questa direzione che si muove il cambiamento? Anche da queste cose - come se il resto non bastasse - si legge l’incapacità di una progettazione e l’assenza di una visione. Quello che si vede qui è solo il tentativo di assecondare l’esistente: mai di reinventarlo.
Vecchi: non i film, nemmeno gli spettatori. Vecchi i pensieri di chi guida: mascherati da nuovo, ma privi di qualsiasi coraggio. 


Ps: se volete sottoscrivere la petizione per la sopravvivenza di Rai Movie, nel caso non lo abbiate già fatto (e per quel che può valere l'ennesima petizione) cliccate qui.

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