Così Sir Alfred Hitchcock apriva le puntate di Alfred Hitchcock presenta, la mia prima reale e soddisfacente esperienza di serie tv. Anche se è difficile risalire esattamente al periodo perché non trovo informazioni precise sulle varie messe in onda della serie, posso supporre che si trattasse della metà degli anni '70, e quella sigla con Hitch che si univa al suo profilo disegnato, sullo sfondo di Marcia funebre per una marionetta di Charles Gounod, quella silhouette, quel tono da costante presa per i fondelli, quel cinismo un po' morboso con cui presentava gli episodi, densi di black humour e spesso sul filo del grottesco, fanno parte della mia storia, sono una pietra miliare del mio rapporto con la tv. Sebbene siano stati prodotti nel suo periodo americano, Alfred Hitchcock presenta resta per me marchiato a fuoco da un tocco british che non è stato minimamente intaccato dall'ambito produttivo Usa, e i crimini che venivano commessi nei modi più originali ed elaborati, e che, parole sue, "riportavano il crimine in casa, dove esso risiede", sono un vero e proprio concept non solo della serie ma forse di gran parte della sua opera.
Quel british touch deve essere così profondamente radicato nel mio DNA televisivo che ogni tanto vibra come un diapason e mi spinge ad accordare le mie visioni su quel preciso "la", tinto di nero eppure umanissimo. In un viaggio a ritroso sul filo delle serie britanniche che hanno nutrito il mio amore per lo spirito inglese, trova subito il suo posto After Life. La piccola serie appena uscita su Netflix - creata, diretta e interpretata da Ricky Gervais - è un prodigio di equilibrismo. Tra dramma e commedia, prima di tutto.
I sei episodi della prima, e ritengo unica, stagione, seguono l'esistenza oscura di Tony, interpretato da un Gervais mai così ispirato, che, dalla morte della amata moglie, vive perennemente sul crinale del suicidio. O forse già oltre, in un luogo rischiarato solo dallo schermo del suo portatile su cui guarda ogni sera i video che ritraggono scene di vita familiare con la sua compagna prima e durante la malattia che l'ha uccisa. Per controbilanciare, o anzi per accentuare, la voragine nella quale è caduto, devasta tutto quel che lo circonda disseminando il suo territorio di ordigni ad alto tasso di cinismo e sarcasmo che non risparmiano niente e nessuno. Una regia piatta e volutamente asciutta, fatta di inquadrature basiche e spesso fisse, lasciano il campo libero ad una scrittura piena di sfumature che lanciano lo spettatore all'interno di uno spettro emotivo vastissimo. Una visione nerissima e proprio per questo rigenerante.
In questo viaggio a ritroso sulle strade della serialità britannica, ritrovo la sfiziosissima Derry Girls. E in Derry Girls ci sono prima di tutto loro: le girls. Erin, Clare, Orla e Michelle sono quattro amiche (Erin e Clare sono anche cugine) e la loro vita è fatta della stessa materia di cui sono composte le vite di tanti altri adolescenti; c'è la scuola con le sue ferree logiche, con le sue regole tradizionali e con quelle non scritte che si esprimono soprattutto nelle relazioni tra compagni: il desiderio di essere come gli altri, quello di essere unici, quello di essere semplicemente accettati, quello di essere cool; c'è la famiglia, ingombrante a volte, con una immagine da coltivare da lontano e le piccole follie che si vedono solo se guardi da vicino; c'è la storia dell'Irlanda del Nord e del conflitto tra unionisti e nazionalisti, tra protestanti e cattolici. E c'è l'umorismo british, scorretto e black, che riesce ad unire tutti questi piani rendendo i passaggi, tra le storie piccole e quella grande, completamente privi di qualsiasi attrito e di qualsiasi retorica o programmaticità. Un successo clamoroso in patria che ha spinto l'emittente Channel 4 a pianificare una seconda stagione all'indomani della messa in onda del primo episodio.
Mi piacerebbe avere lo spazio per dilungarmi anche su Vicious, una sitcom con Ian McKellen e Derek Jacobi in cui i due mostri sacri interpretano una astiosa, irresistibile, coppia omosessuale con un contorno di personaggi incredibili e una capacità di creare situazioni genuinamente comiche e, pur nella loro peculiarità, assolutamente universali. Vorrei poter ritornare su Fleabag, creata da quella meravigliosa e geniale creatura che è Phoebe Waller-Bridge, che in soli 12 episodi brevissimi di 24 minuti riesce a stigmatizzare quasi tutti i problemi a cui deve far fronte una giovane donna londinese degli anni '10, tra famiglia disfunzionale, ristrettezze economiche, una vita sessuale frenetica ma insoddisfacente e problemi di status sociale. E mi piacerebbe ritirare fuori un grande classico come Fawlty Towers, produzione BBC degli anni '70, di cui mi sono ubriacato l'anno scorso colmando una gravissima lacuna, ma non c'è spazio per tutto e per chiudere in un certo senso a chiasmo, per ritornare un po' al punto di partenza, preferisco giocarmi le battute finali di questo excursus british su quel gioiello incondizionato che è Inside No 9.
Con produzione a cura di BBC Comedy, Inside No 9 è secondo me una delle più grandi mancanze dalla programmazione televisiva italiana, non colmata (ancora) neanche dalle numerose piattaforme. Una serie antologica (episodi svincolati ma uniti dal fatto che tutti si svolgono in un ambiente caratterizzato dal numero 9) che si sviluppa su quattro stagioni, creata e interpretata da Reece Shearsmith e Steve Pemberton, già autori di Psychoville (altro gioiello) e coautori di The League of Gentlemen. 24 episodi in cui l'originalità e la creatività degli autori (nonché attori dalle infinite nuance comiche e drammatiche) seppur al servizio di una generale adesione al thriller, riescono ad accarezzare un po' tutti i generi cinematografici: dall'horror al dramma, al kammerspiel, al giallo con struttura temporale a matrioska. Il tutto accompagnato sempre da una recitazione naturale e understated e contrappuntato da un bastardo, perverso e inglesissimo umorismo. 24 episodi dark in cui il twist criminale è sempre in agguato e che si ispirano all'opera di Hitchcock soprattutto per la modalità a spirale con cui vengono costruiti i momenti di suspense.
After Life e Derry Girls sono su Netflix, Fleabag è su Amazon Prime, Vicious e Inside No 9 sono ancora inedite in Italia, Fawlty Towers è andato in onda nel 2007 su Canal Jimmy. E Alfred Hitchcock presenta? Ci si deve accontentare da qualche episodio su YouTube ma se avete anche voi nostalgia della sigla la trovate qui sotto. Se volete proseguire e ampliare questo breve viaggio nella serialità inglese proponendo i vostri classici, ma soprattutto i vostri guilty pleasure, siete come sempre i benvenuti.
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