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Tintoretto: dalla letteratura al documentario
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Il regista Pepsy Romanoff ha diretto questo documentario: TINTORETTO - Un Ribelle a Venezia, avvalendosi della collaborazione del collega britannico Peter Greenaway e della sceneggiatura di Melania Mazzucco, la scrittrice italiana che l’aveva ideato (e, io credo, a lungo vagheggiato) quasi a completamento delle due opere letterarie che al pittore aveva dedicato e delle quali, brevemente parlerò.

 

Tintoretto e Melania Mazzucco
Melania Mazzucco ha raccontato Tintoretto (Venezia 1518-1594) in due opere letterarie, trasformando in narrazione le proprie conoscenze su di lui, nate dall’appassionata ricerca fra gli archivi, le biblioteche e le collezioni pubbliche e private di tutto il mondo.
La prima è un romanzo affascinante, uscito per l’editore Rizzoli nel 2008: La lunga attesa dell’Angelo. La scrittrice immagina che Tintoretto, durante i lunghissimi quattordici giorni di agonia, fra delirio e lucidità, abbia ricostruito, per presentarli al giudizio di Dio, i momenti cruciali della propria vita avventurosa di popolano veneziano orgoglioso, che non disdegnava mescolarsi con la plebe delle osterie e dei bordelli della sua città. Nel fluire dei ricordi, in questo straordinario racconto-confessione Tintoretto non tace l’amarezza per l’incomprensione invidiosa di  Tiziano, le difficoltà incontrate per la diversità della propria pittura irruenta e folle, lontana dalla perfezione classica dei pittori della scuola veneta.  Ma il romanzo è tutto dominato dalla memoria dell’amatissima Marietta (frutto del grande amore per una donna tedesca di cui poco si sa), la primogenita illegittima che costituì il riferimento costante e assillante di tutta la vita. Ammessa a frequentare il suo studio, vestita con abiti maschili per non destare lo scandalo dei benpensanti, Marietta era la figlia prediletta, l’unica delle cinque (quattro legittime) a non finire suora; l’unica a cui andò la dote indispensabile per avere un marito, ovvero per lasciare la casa paterna da donna indipendente, la cui presenza egli aveva imposto alla moglie legittima, Faustina, che se n’era presa cura. Era morta giovane, forse di parto; il pittore ora che sapeva di morire, sentiva che presto l’avrebbe rivista, poiché era certo che quell’Angelo gentile stesse aspettando lui, e che Dio avrebbe capito un amore così intenso da sfiorare l’incesto. A differenza della scrittrice, Tintoretto sicuramente non conosceva Freud…

 

La seconda opera (Rizzoli – 2009) della Mazzucco sul pittore è del tutto diversa: non un romanzo, ma un monumentale saggio biografico, dal titolo Jacomo* Tintoretto & i suoi figli, volume di 1121 pagine, ricostruzione minuziosa e ormai punto di riferimento di chi si occupa del pittore, resa possibile dai dieci anni di studi e di ricerca di cui la scrittrice dà conto nell’appendice di 282 pagine.
La vita di Tintoretto, la famiglia di origine, la moglie, gli otto figli legittimi, fra cui Dominico (a sua volta pittore, cui il padre aveva affidato la continuità della “casa”), oltre all’amatissima Marietta, molto presto entrata nella leggenda: tutto questo è ampiamente documentato e raccontato. La scrittrice, però, si preoccupa di collocare le informazioni sul pittore e sulla sua famiglia all’interno della storia della città, ricostruita con cura scrupolosa, in uno dei momenti più difficili. Ne sono protagonisti non solo gli artisti, il popolo e il patriziato, ma le divisioni interne che laceravano il fronte, un tempo compatto, che si era schierato in difesa dei liberi ordinamenti della città, cosicché la Repubblica Serenissima era riuscita a sottrarsi all’occhiuta vigilanza censoria dell’Inquisizione,  proteggendo i propri intellettuali e quelli che lì avevano trovato rifugio e accoglienza (e siamo quasi alla fine del Cinquecento!). Questo è il contesto storico in cui Mazzucco colloca, con prosa fluida e tranquilla lontana dalla ricostruzione fantasiosa del romanzo,  la nascita delle opere straordinarie dell’artista  che aveva ornato Venezia con la sua arte grandiosa e originalissima, espressione di un estro creativo quasi incontenibile apprezzata in ogni tempo e in ogni luogo del mondo da tutti, compresi molti intellettuali che, insospettabilmente, ne avevano colto la modernità.

 

Il film 

 

Nato lo scorso anno come opera celebrativa dei cinquecento anni  del grande pittore, che era venuto al mondo, come ho scritto, nel 1518, è comparso solo ora nelle sale e per soli tre giorni, evento imperdibile per tutti gli amanti di Venezia, dalla quale l’arte di Tintoretto è inseparabile.
Il film (a cui Melania Mazzucco presta la propria immagine come esperta commentatrice, e Stefano Accorsi la voce fuori campo del racconto) attinge a piene mani dalle due opere che ho cercato di presentare sinteticamente, offrendoci in più la visione e l’interpretazione possibile delle opere meravigliose, delle tele straordinarie e insolite per le dimensioni che esaltano la verticalità della pittura di Tintoretto, come le pale che  adornano la chiesa e la scuola di San Rocco, o il Giudizio Universale di Santa Maria dell’Orto o la scandalosa Ultima cena, di San Giorgio Maggiore o le cinquanta tele cucite fra loro, che formano l’esteso telero (telaio) sostitutivo dell’affresco, meno facile da conservare per le condizioni di umidità salmastra del palazzo sul mare:  Il Paradiso,  che ricopre l’enorme sfondo della sala Ducale del Palazzo omonimo, che lascia ogni volta attonito e commosso il visitatore.
È davvero difficile trovare un analogo insieme di meraviglie analizzate con tanta cura e intelligenza, in un linguaggio così limpido da arrivare al pubblico vasto degli spettatori, invitati a riflettere sulla bellezza anche valutando le novità tecniche di una pittura scura, come lo sfondo preparatorio delle tele, nella quale le pennellate sicure di pochi e materici tocchi luminosi servivano a conferire alla luce un’eccezionale potenza suggestiva. Nel bel documentario, anche molte sorprese: l’apprezzamento di Jean Paul Sartre, che aveva paragonato al cinemascope la forza rivoluzionaria di quella pittura e definito primo regista del cinema il suo autore; quello di David Bowie, nonché la presenza di intellettuali di ogni paese, testimoni, di un’ammirazione senza confini nello spazio: Kate Bryan, Matteo Casini, Astrid Zenkert, Agnese Chiari Moretto Wiel, Michael Hochmann, Tom Nichols e Frederick Ilchman. Da ricuperare , se non sarà più nelle sale, almeno in DVD.

 

 
 
 

*questo era il vero nome e così viene chiamato dall’autrice che, restituendogli affettuosamente l’identità profonda, ci ricorda le origini “popolane” di cui il grande pittore andava orgoglioso.

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