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Perché Sanremo (non) è Sanremo.
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Si può dire finisca un’epoca. Il restyling iniziato con Carlo Conti e arrivato al suo apice con il dittico di Baglioni, dove lo spettacolo si è fatto più spazio all’interno della gara canora e dove sono approdati cantanti di ogni età, di ogni estrazione musicale e con stile e pose tra loro diverse e inconciliabili, riportando pure il pubblico più giovane a seguire il Festival – ma questo succede almeno da Gabbani nel 2017 – è arrivato alla chiusura del cerchio. Cerchio che ricorda il simbolo scelto quest’anno dal Direttore Artistico per rappresentare la sua idea di Festival, l’armonia, ovvero il simbolo confuciano dello Yin e Yang. D’ora in avanti il Festival deve necessariamente continuare su questa strada, ma deve anche saper correggere degli errori a mio parere molto evidenti e poco professionali che si sono palesati tutti proprio durante l’ultima serata dell’edizione sessantanove.

Innanzitutto, la polemica che ha preceduto e accompagnato il Festival sul conflitto di interessi di Baglioni con Salzano e la Friends and Partners. La F&PGroup non è una casa discografica, ma una società costituita anche da Warner Music Italy, che si occupa di attività legate al mondo musicale degli artisti che rappresenta come concerti, produzioni televisive e medialità. Questa società rappresenta anche Claudio Baglioni e numerosissimi artisti passati dall’Ariston in concorso o come ospiti: Ligabue, Raf, Tozzi, Vanoni, Lauro, Amoruso, Anastasio, D’Angelo, Elisa, Il Volo, Mannoia, Pequeño, Moro, Nek, Noemi, Renga, Pio e Amedeo, Turci e Venditti. Anche il Premio alla Carriera postumo va a un artista di cui la F&PGroup organizza il tribute live, Pino Daniele.

È ovviamente una polemica sacrosanta, la cui verità è sotto gli occhi di tutti, e quindi indifendibile. Destino vuole che i vincitori di Sanremo, la Bertè come vincitrice morale, Ultimo arrivato secondo e Mahmood meritatamente primo nonostante l’ennesima uscita infelice del Ministro dell’Inferno Salvini (anche se il mio podio, sinceramente, era Bertè, Ultimo, Mahmood), siano invece rappresentati da altre società: la Bertè è rappresentata dalla 23 Music Entertainment, mente Ultimo e Mahmood appartengono a Honiro Label. Però c’è un però, come riporta Linkiesta: «E allora si vede come dietro a Mahmood ci sia, parliamo di management, Stefano Settepani, questo dice il toto-nomi, ex collaboratore di Maria De Filippi, ultimamente noto per essere compagno e manager di Alessandra Amoroso e manager di Elisa. Entrambe artiste Friends & Partners.Uomo, Settepani, vicino a Maurizio Castellani, ex direttore del bio parco di Roma, attualmente in Honiro e, si dice, editorialmente vicino anche a Salzano. È infatti il segreto di Pulcinella che Salzano abbia contrattualizzato discograficamente anche Ultimo, in capo proprio alla Honiro (Monina, 2019)». Ombre lunghe sul Festival…

Purtroppo, il mondo discografico italiano ha una strutturazione che non permette fenomeni clanici di questo tipo. Ipotizziamo per esempio che nessun cantante rappresentato dalla F&PGroup fosse all’Ariston. Sicuramente ci sarebbero stati altri nomi, ma quali? E soprattutto di che spessore? Appartengono a Salzano nomi come De Gregori e Zucchero per esempio, Morandi, Biondi, i Pooh, i Litfiba e la Nannini. Non può essere colpa dei cantanti, loro devono avere una società che li rappresenti e che ne gestisca i tour e ogni apparizione pubblica. Se si affidano per amicizia o per professionalità a un gruppo in cui si concentrano molti tra i migliori nomi della scena italiana fanno più che bene. Il problema è di ben altre persone: i vertici. Ecco perché Sanremo NON è Sanremo. E difatti hanno tolto questo storico jingle introduttivo proprio perché al concorso canoro, alla gara dura e pura sono stati preferiti lo spettacolo televisivo e le partnership. Anche se già ai tempi di Aragozzini le cose non andavano certo diversamente…

Ma Sanremo può tornare Sanremo. In pochi e semplici passi. Basta che ai vertici ci siano persone integre e professionali che non lavorano per qualcuno, ma per il pubblico e basta.

1) il Direttore Artistico deve essere slegato da qualsiasi etichetta musicale, ergo, non deve essere un cantante, e deve presiedere una commissione di tecnici, anch’essi super partes, che selezionano i brani. Non deve essere necessariamente il presentato di Sanremo, ma può esserlo senza problemi come è sempre stato.

2) Si torni al presentatore unico che presenta e gestisce la serata e nient’altro, accompagnato da due presentatrici/modelle come tradizione vuole che anch’esse non fanno altro che presentare – vale anche l’opzione contraria: una presentatrice affiancata da due presentatori/modelli.

3) Gli interventi comici devono essere affidati a un unico comico fisso per tutto il Festival, mentre gli ospiti e i superospiti cantano da soli senza dover duettare con il presentatore per forza.

4) Più spazio alla gara. Non si può ogni due canzoni interrompere l’esecuzione delle canzoni per sketch, gag e ospitate. Bisogna mantenere un buon ritmo e non interrompere il flusso del concorso. Questo riporterebbe le canzoni al centro dello spettacolo.

5) Il sistema di voto. Ho sempre trovato scriteriato il sistema televoto, sala stampa, giuria demoscopica e giuria d’onore (?). Sanremo è vero, è canzone popolare, ma non possiamo affidare le sorti di un premio importante ed iconico a un tristissimo e fazioso televoto. Sono per adottare un sistema differente. È un Festival? Sì. Come tutti i festival del mondo c’è una giuria di esperti che giudica, litiga, si confronta e infine, sotto l’egida del Presidente, decide i premi. Basterebbe farlo anche a Sanremo con una giuria di esperti e non di “gettonari” Rai, più o meno nobili (Serena Dandini tutta la vita, anzi, potrebbe pure presentare lei il Festival), ma non prettamente qualificati, con una responsabilità superiore alle loro capacità. Una giuria di musicisti, di giornalisti, di professionisti del settore, vecchie glorie, ma comunque sia, tutti appartenenti al mondo della musica o tutt’al più del cinema, dove si sa, la simbiosi con la musica è evidente. Quindi, Giuria di Esperti più Sala Stampa con due pesi che possono andare dal 50% e 50% oppure al 60% e 40%, se vogliamo dare un peso maggiore alla Giuria di Esperti. Ma trovo non solo inutile, ma pure caotico, poco chiaro e quindi truffaldino un sistema di più giurie che di serata in serata cambiano pure il loro peso percentuale. Quali quindi i premi:

  • Primo Premio alla Miglior Canzone (Giuria + Sala Stampa)
  • Premio della Critica Mia Martini (Giuria + Sala Stampa)
  • Premio della Sala stampa Lucio Dalla (Sala Stampa)
  • Premio Sergio Bardotti per il Miglior Testo (Giuria + Sala Stampa)
  • Premio Giancarlo Bigazzi per il Miglior Arrangiamento (Orchestra)
  • Premio alla Carriera Città di Sanremo (autorità locali + Direzione Artistica)
  • Premio TIM Vision per la canzone più ascoltata online (dati aziendali)

6) Ma prima ancora del sistema di voto, va rivisto il sistema di selezione. Non so sinceramente come avvenga nell’attualità, ma non credo sia proprio lineare e a prova di maneggio. Per quanto mi riguarda, i cantanti che vogliono cantare a Sanremo devono inviare la canzone in tot cd quanti i membri della commissione, con ricevuta di ritorno, entro una data prestabilita, per esempio il 31 luglio. Non devono superare le 300 candidature. Di seguito, i membri della commissione, liderati dal Direttore Artistico, studiano le canzoni, e ne scelgono 100. Queste 100 passano alla fase finale, un’audizione in presenza che si svolge in 3/4 giorni in un teatro o in uno studio tv di una città di riferimento agile e comoda per tutti (Milano, Roma, Bologna, la stessa Sanremo). Da queste audizioni la commissione scegli le 20 canzoni in gara. Immagino sia più facile evitare giochi tra case discografiche e interessi vari, anche se il fattore umano purtroppo o per fortuna è incalcolabile.

7) Ancor prima delle selezioni, bisogna capire chi può e chi non può partecipare a Sanremo. Io propongo che i tra i 20 cantanti in gara ci siano solo artisti con almeno tre album di inediti pubblicati su tutto il territorio italiano. I più giovani, sprovvisti di tale carriera, appena usciti dai talent o famosi per un video/canzone tormentone, avranno la possibilità a Sanremo Giovani di esibirsi, sfidarsi e poterlo vincere. I primi due, o anche quattro, classificati – meglio due, non tiriamogliela troppo, facciamogliela fare sta gavetta in una società dove i ragazzi hanno tutto e subito e pretendono sempre di più e più rapidamente – passano tra i big al concorso ufficiali, per un totale di 22 canzoni.

8) E qui entra in gioco la fatidica scaletta. Anche quest’anno le polemiche, legittime, hanno colpito gli artisti di scuderia Salzano che hanno sempre cantato per lo più nel prime time della serata, con qualche eccezione. Trovo così semplice fare un’estrazione pubblica in conferenza stampa intorno a mezzogiorno, di fronte a giornalisti, televisioni e ovviamente notai, artisti e manager, ogni santo giorno, per comunicare la scaletta voluta dal caso, che non capisco perché ancora non si faccia e con quali schemi vengano piazzati i cantanti in gara. Successivamente, fatta la scaletta, si inseriscono gli interventi comici e gli ospiti, con una frequenza che non va a rallentare il concorso canoro. Direi che con 22 canzoni in gara tutte le sere (comprese le serate in cui o per le cover o per i duetti c’è una variante sul tema, con premio annesso) ogni 5 canzoni può esserci un’ospitata, un lancio pubblicitario, una “marchetta” per lanciare un programma lì da venire, o le gag del comico ufficiale. Lo spettacolo ci sarebbe sempre, durerebbe forse un po’ di meno, a tutti verrebbe data la possibilità di esibirsi davanti a un certo numero di pubblico e inizierebbe prima pure il Dopofestival che deve NECESSARIAMENTE tornare ad essere uno spettacolo intimo e dedicato alla critica: per intenderci, non uno studio tv, ma un locale vero e proprio dove bere e fumare e discutere del Festival mentre qualcuno, ospiti inclusi, suona nell’apposita sezione.

9) Più professionalità. Quando tra i ’90 e gli Anni Zero, da ragazzo, presentavo al mio paese un concorso canoro di tre giorni, a volte concomitanti proprio con Sanremo, c’era molta più professionalità. Qualche intoppo, certo, ma tutti sapevamo cosa fare. La serata finale del 69° Festival di Sanremo ha svelato l’impreparazione e la poca professionalità di conduttori e regia. A parte un palco bruttissimo che ha appiattito la solennità dell’evento, Bisio parlava troppo e senza nozione di causa trasgredendo pure al protocollo che non prevede ammiccamenti e contatti con i cantanti i gara, giustamente. La Raffaele, brava ed eclettica, cede nel momento in cui il gioco lascia il campo alla serietà. Baglioni, meno trasgressivo e più serio, resta impreparato agli imprevisti. Probabilmente è sciatteria tipica italiana, la filosofia della “pezza sul culo”, del “massì, ma tanto poi vediamo”, e così via, che ammorba non solo Sanremo, ma anche l’ufficialità di momenti importanti come la consegna dei David di Donatello o la cerimonia di chiusura del Festival di Venezia. Pressapochismo, imbarazzi, impreparazione, arrabbattamenti continui, figuracce, trambusti e sproloqui, sono all’ordine del giorno. Tant’è ce durante le fasi finali della premiazione è successo di tutto. A parte i giusti fischi del pubblico che hanno elevato la Bertè a vera vincitrice del Festival – fischi che arrivano pure dalla Sala Stampa, quindi chi può aver fatto crollare il consenso se anche in Giuria avevamo donne di un certo peso? – questa fase finale è stata un colpo maldestro dietro l’altro. Invece che essere ad un Festival di caratura internazionale, sembra di essere sul palco di un premiazione cittadina. Bisio continuava a parlare a vanvera, la Raffaele non sapeva cosa fare, Baglioni guardava, non arrivava la schermata con la classifica, ma a casa già la vedevamo, i nomi si susseguivano più rapidamente dell’annuncio dei presentatori che commentavano senza motivo. Per non parlare dei premi, un giro di buste poco professionale, un clima da parrocchia deludente. Sono momenti importanti e vanno pianificati. Troppa gente sul palco, per cominciare. Bastava il Direttore Artistico, dietro un leggio, a chiamare chi avrebbe consegnato il premio e poi chiamare il vincitore. Scambio di saluti e di premi, foto, e poi uscita tra gli applausi. Sotto un altro premio. Non tutta quella gazzarra a cui abbiamo assistito. La stessa impreparazione e incompetenza di chi presenta e gestisce i David di Donatello e la cerimonia di chiusura del Festival di Venezia. Dovremmo imparare dagli americani e anche dagli spagnoli i cui Premios Goya sono una lezione di presentazione.

Se si tornasse a un Sanremo improntato più sulla gara che sullo spettacolo, con regole e protocolli più seri e rigidi, ma soprattutto con un sistema di selezione e votazione più trasparente, sicuramente avremo a che vedere con una kermesse che nulla avrebbe da invidiare alle edizioni monster di Conti e Baglioni, ma che avrebbe il pregio di riportare gara, serietà e professionalità al centro dell’evento. Urgenze che servono anche ai David di Donatello, altro programma imbarazzante, e a Venezia, ulteriore imbarazzo.

Il mio Festival? A parte una irriverente autocandidatura, e oltre a vederci più che bene Fiorello, credo che Pierfrancesco Favino, accompagnato da Anna Foglietta e disturbati dalla Raffaele, da Frassica o da Forrest, potrebbero essere ottimi. Fermo restando che ognuno resti al suo posto, faccia quello che deve fare e niente più.

 

Riferimenti:

Monina, Michele (2019): «Festival di Sanremo, ha vinto Mahmood e niente è andato come previsto (o forse sì)», Linkiesta, (https://www.linkiesta.it/it/article/2019/02/10/mahmood-vincitore-sanremo-serata-finale-monina-recensione/41048) [10/02/2019].

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