Sarà capitato anche a voi: una sera con amici come tante altre ma non si sa perché la conversazione langue e allora qualcuno tira fuori la genialata, la questione annosa, alla quale anche il più ostile degli ospiti non sa resistere. Un po' come un dj quando è costretto dall'evidenza a rilevare che la pista è tiepida e allora se ne esce con un evergreen tipo Billie Jean di Michael Jackson, Good Times degli Chic o Superficial di Amp Fiddler, il supergenio della serata che sta andando maluccio se ne esce con LA domanda della svolta, che può essere "Cosa faresti se vincessi una cifra spropositata alla lotteria?" oppure "Se potessi tornare indietro a un momento x della tua vita in cui hai fatto una scelta decisiva, la rifaresti?".
Sono abbastanza certo che a valle dell'uscita di Black Mirror Bandersnatch, il film interattivo uscito su Netflix alla fine di dicembre, questa sia stata LA domanda grazie alla quale si sono risollevate parecchie serate che stavano lentamente scivolando verso la noia. Se sul film non c'è, in fondo, molto da dire (potete farvi un giro sulle recensioni del film) è difficile che invece LA domanda venga archiviata in poche battute. Tornare indietro, riavvolgere il nastro, fare un'altra scelta per cambiare il presente, la storia, la vita. Inoltrarsi su questo territorio nell'ambito di una discussione tra amici è un esercizio che obbliga chi vi partecipa a mettersi molto velocemente in gioco. Certo possiamo restare sul vago, possiamo cercare di svicolare tenendoci su un piano alto e filosofico - il libero arbitrio, Spinoza, Leibniz, Kant, Schopenhauer, ma anche Topolino e le sue storie a incastro - ma su quel piano si dura poco e presto saremo portati a pensare alla nostra vita, alle nostre personali scelte, perché anche sotto all'intelletto più acuto, sotto alla posizione più salda e consapevole, c'è sempre, da qualche parte, il rumore sordo del rimpianto. E, a meno che le vostre serate non le passiate sempre con Umberto Galimberti e Gianni Vattimo, presto sarete costretti a scoprire le carte, ad andare a recuperare nella memoria quel bacio non dato, la lettera non spedita, un no sgranato per abitudine o un sì offerto per pigrizia che poi si sono rivelati essere decisivi per la vostra esistenza. Allora meglio che facciate questo esercizio nel silenzio della vostra testa e poi spariate fuori un aneddoto rivelatore che metta a tacere almeno momentaneamente la curiosità di chi ha osato porre l'insidiosa domanda. Io sparo fuori il mio aneddoto al quale ho pensato stamattina presto, anche se nessuno me lo ha chiesto ma la verità è che io sono quella brutta persona che sta facendo la domanda, o forse sono proprio quel dj che deve scaldare la pista (a proposito, io metterei sicuramente Superficial di Amp Fiddler, anzi l'ho messo proprio adesso).
Era il 1986, avevo vent'anni e dopo alcuni fallimentari esperimenti universitari (una serie di scelte sbagliate su cui ci sarebbe già da dire, perché io avrei voluto fare filosofia ma al momento di scegliere mi esibii in un eccezionale esemplare di uno dei miei "pigri sì" a partecipare ad un test di ammissione alla Bocconi e per sfiga lo passai), mi si presentò l'occasione di partecipare ad una selezione per entrare in una grande agenzia pubblicitaria milanese come copywriter. Eravamo in 500 e c'erano 5 posti, le selezioni sarebbero durate un mese, la tabella di marcia prevedeva ogni settimana una seduta di test di vario genere e ogni settimana venivano ammessi alla seduta di test successiva solo una parte dei partecipanti. I primi test erano quelli tipici di matrice attitudinale, sostanzialmente destinati a verificare che ci fosse della capacità razionale e linguistica, in pratica esercizi a stare dentro agli schemi, nelle ultime due settimane invece si passò ad esercizi tesi a premiare soluzioni fuori dagli schemi, che non avevano, anzi, soluzioni razionali. Per una evidente serie di circostanze fortuite arrivai fino alla fine ed entrai nei cinque che avrebbero avuto una specie di contratto di sei mesi nell'agenzia pubblicitaria. Neanche il tempo di godersi i festeggiamenti e di assaporare la soddisfazione, che mio padre estrasse dal cilindro la proposta di lavorare insieme a lui in un nuovo progetto. Alla quale reagii con la mia abituale, grandiosa, capacità di dire di sì per onorare e conservare l'armonia perché i no, si sa, l'armonia invece la spaccano. E così, camaleontico, scivolai con allegria dentro a uno scenario che non avevo neanche immaginato e che mi portò molto lontano da quello che avrei potuto fare, o forse dovrei dire voluto. Se non fosse così maledettamente complicato, volere. O almeno volere contro al volere di altri. E se non mi venisse così facile, invece, amare, o così indispensabile, forse, sentirmi amato. Che poi, a pensarci bene, pur avendo il potere di tornare indietro, non basterebbe piazzare un no al posto di un sì, perché quel che conta è l'attitudine e la vita l'attitudine la mette alla prova costantemente, in qualsiasi piccola decisione quotidiana, senza bisogno di scomodare i grandi eventi o i momenti cruciali. Quindi magari, come in Bandersnatch, in cui alcune scelte conducono alle medesime conseguenze, sarei arrivato ugualmente qui, a scrivere questo testo.
Però forse, per riempire la pista, avrei scelto Billie Jean di Michael Jackson.
Se anche voi volete condividere il vostro aneddoto sul libero arbitrio, se avete ballato su Superficial come se non ci fosse un domani o se volete, più semplicemente, dire la vostra su Bandersnatch, potete usare come sempre lo spazio commenti. Se invece ritenete che sia giunto il momento di annullare la vostra iscrizione a questa sito... mi spiace ma il libero arbitrio oggi non esiste!
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