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COSA RESTERA'...DI QUESTO 2018 CINEFILO & FESTIVALIERO
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La casa di Jack (2018): scena

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High Life (2018): scena

Per fortuna esiste il cinema. Almeno nella mia vita.

Non che questo debba necessariamente sostituirsi alla vita reale, di cui non posso francamente lamentarmi, o farmi compiere viaggi nel tempo e nello spazio spesso sorprendenti, che tuttavia non saranno mai belli e concreti come quelli effettuati di persona, da protagonisti di vita.

Il ruolo di spettatore - attraverso certo cinema e qualche suo film ed autore, ha tuttavia senz'altro il merito, quando questi secondi sono in grado di farlo - di regalarci emozioni e sensazioni che spesso la vita - nella sua concreta e proprio per questo non troppo incalzante o corroborante consuetudine di stile e modo di gestirci in ritmi e dettagli, regole di convenienza ed opportunità sempre più commerciale - non riesce quasi mai più ad assicurarci.

Il 2018 - grazie ai festival frequentati con la solita passione (Udine, Cannes, Venezia, Roma, Torino per citare solo i principali), e grazie forse ancor più alla frequentazione assidua delle sale francesi, che mi si rende possibile approfittando di una mia certa prossimità territoriale alla Costa Azzurra - è stato pure lui un anno fertile ed interessante di cinema.

Qui di seguito, come di consueto, provo a stilare un bilancio delle personali preferenze percepite durante questo 2018, includendo nella lista (composta da 20 titoli in ordine di apprezzamento crescente) i (non pochi) film visti al cinema nelle sale italiane e in quelle francesi durante tutto questo anno appena trascorso (pertanto anche titoli ufficialmente datati 2017, ma usciti nell'anno successivo), nonché le pellicole visionate ai sopra menzionati, entusiasmanti festival del cinema.

Non c'è proprio un film che spicca clamorosamente su tutti per superiorità, almeno tra i primi dieci, se si esclude l'Orson Welles miracolato, salvato e ricomposto il meglio umanamente possibile, ostico ed ostile, non proprio amabile e facile a cui potersi affezionare, ma geniale al punto da restare un opera d'arte indiscutibile, ultima impronta a tratti irritante, ma assoluta, di un genio spesso compreso solo a piccole dosi, e probabilmente lasciato lavorare troppo poco nei progetti personali ed importanti, quasi tutti travagliatissimi, se non proprio incompiuti.

E gli italiani? Non è stata proprio una grande annata, diciamo la verità; anche se le conferme dei grandi nomi non sono mancate, ed ho apprezzato sia Garrone (Dogman), sia Sorrentino (Loro), sia la Rohrwacher (Lazzaro felice), sia sorprese per nulla scontate come l'opera prima Il Cratere di Silvia Luzi e Luca Belleno, così come la terza dell'attore Rolando Ravello, La prima pietra con uno strepitoso  incontenibile Corrado Guzzanti.

Inserire due volte tra i top 20 il nome di Luca Guadagnino (presente con Chiamami col tuo nome, del 2017, ma uscito nel 2018, e con Suspiria, in concorso a Venezia 2018 ed ora nelle sale), potrà sembrare eccessivo o provocatorio, ma, a mio avviso, è indicativo e meritorio in favore di un regista che, più di ogni altro, ha dimostrato talento nel saper parlare e raccontare con un linguaggio ed uno stile variegato e versatile che può finalmente varcare i confini ormai angusti ed insufficienti del nostro paese, a vantaggio di una platea che guardi oltre...oltre confine, appunto, verso una globalità planetaria. Onore al merito, e tanto di cappello, pertanto.

Buon anno a tutti!

20) LA FLOR di Mariano Llinàs - Argentina - TFF 2018

Il film più lungo della storia del cinema argentino, con i suoi 815 minuti - ma altre fonti parlano anche di 868 minuti - diviso in 4 parti, ognuna a suo volta sezionata in att - racconta sostanzialmente sei storie che servono all'autore per percorrere altrettanti generi cinematografici: si inizia dal B-movie, per virare al musical, poi alla spy story, al film di fantascienza, a quello in costume e così andare fino a tornare al bianco e nero dei film delle origini. Una follia totale, titanica e megalomane, confusionaria e non senza contraddizioni, ma contagiosa, entro cui è piacevole perdersi senza per forza dover ritrovarsi e raccapezzarsi. Al di là del voto (ho dato diversi altre 4 stelle a film poi non inseriti tra i primi 20), La Flor resta comunque un caso, un'impresa ardua, avventata, folle, degna nel bene e nel male di essere annoverata tra i film simbolo del 2018.

VOTO ***1/2

19) BIRDS OF PASSAGE di Cristina Gallego e Ciro Guerra - Colombia - Quinzaine Des Réalisateurs - Cannes 2018

Gran film quello di Cristina Gallego e Cino Guerra: faida sanguinosa nell'universo violento del mercato dello spaccio di marijuana raccontata e distribuita in cinque canti, dalla nascita di un commercio fiorente, al tramonto più rovinoso e violento. In un nord della Colombia forse mai corrotto da uno sguardo cinematografico, la mattanza senza fine che nasce con lo spunto di racimolare i beni di una dote per far propria una bella ragazza locale da parte di uno spavaldo giovane con ambizioni.

VOTO ****

18) SUSPIRIA di Luca Guadagnino - Italia - Venezia 2018 - Concorso

Non solo o tanto un remake. Certamente qualcosa di più, con una matura contestualizzazione su fatti e simboli che hanno condizionato la nostra recente storia di fine '900. Una riflessione mirabilmente coreografata sul male che precede addirittura la storia dell'umanità e si riflette sulle brutture e le ingiustizie che la realtà piazza di fronte a chi si trova costretto a condividere la barriera.

VOTO ****

17) THE WILD BOYS di Bertrand Mandico - Francia - VENEZIA 2017 - SETTIMANA DELLA CRITICA  ; CINEMA OLTRECONFINE 2018

Les Garcons Sauvages, opera prima nel lungometraggio dell'interessante regista francese Bertrand Mandico, è stata la chicca d'autore - cinefila fino al midollo con il suo bianco e nero stiloso ed indispensabile, che volge a tradimento verso il colote più sfrenato e sfavillante - della 74 Mostra veneziana.

Tra avventure vintage, una orgogliosa rinascita sessuale in grado di rivendicare la potenza della sessualità opposta e il trionfo decantato e glorificato dell'eterno femminino, Mandico ci trasporta tra i flutti vorticosi ed entusiasmanti di un'avventura di vita, di crescita e maturazione arricchita da uno stile barocco e magico alla Guy Maddin, in cui assistiamo alla rivincita definitiva della donna: "il futuro è donna", sembra affermare e rivendicare il regista, assecondando in qualche modo l'ottimo Ferreri. Ma il futuro è anche "strega", occultismo, magia, inconscio.

VOTO ****

16) IL FILO NASCOSTO di Paul Thomas Anderson - GB/Usa

Forte di uno stile narrativo classico e tanto volutamente tradizionale e retrò da farci apparire la vicenda, datata di circa 70 anni, in realtà come appartenente ad almeno un paio di secoli orsono, Paul Thomas Anderson, che apprezzo molto in questa sua versione più pura e semplice, affronta il suo complesso, controverso e sfaccettato personaggio puntando più sulle ombre che sulla luce, anche quando si tratta di descrivere il personaggio femminile che mette alle corde il protagonista: in fondo il fulcro del bellissimo film è il crimine nascosto e celato che, a fin di bene, ma nato anche da una sana sete di vendetta e fiero rimorso da parte della giovane, da una parte mette a repentaglio seriamente la salute del nostro uomo, quasi come percorso espiativo che lo faccia in qualche modo riflettere concretamente sulla necessità che egli torni a sentirsi uomo, pertanto fragile e soggetto alle debolezze, ai pericoli, alle incertezze che rendono la vita di ognuno di noi mortali, come una circostanza per nulla certa e scontata.

VOTO ****

15) DONBASS di Sergej Loznitza - Russia/Ucraina - Un Certain Regard - Cannes 2018

Sullo sfondo devastante e devastato della rivolta di Donbass del 2014, guerra separatista civile tutt'ora in corso e spesso trascurata dalle cronache di stampa, appoggiata nemmeno molto segretamente dalla Russia di Putin, in cui alcuni dissidenti armati si imposero occupando i palazzi governativi dell'Ucraina, Sergej Losnitsa - grandissimo cineasta ukraino conteso dai più prestigiosi festival mondiali - ci catapulta nel bel mezzo di una fauna umana tutta protesa a sopravvivere a qualsiasi prezzo e circostanza al malcostume dilagante, diventato un costume di vita utile a sopravvivere entro un panorama devastato da attentati e un controllo pressante da stato di polizia.

Corruzione, degrado, ruberie e violenza ci circondano e ci immergono entro una rutilante giostra umana, bestiario che racchiude una umanità rassegnata alla sopraffazione e sottomessa ad una situazione perennemente in bilico, che relega un intero popolo nelle mani di un manipolo di rivoluzionari senza scrupoli.

VOTO ****

14) UN AFFARE DI FAMIGLIA di Hirokazu Koreeda - Giappone - Cannes 2018 - Palma d'oro

La famiglia, i bambini, i vecchi, le generazioni differenti che si tramandano la staffetta di una vita sempre più in salita: il cinema e, più in generale, la poetica di Kore-eda sono quasi sempre incentrate su queste tematiche primarie inerenti la nostra organizzazione sociale. Questa volta lo sguardo discreto, ma finemente indagatore del grande cineasta, si volge verso lo strato sociale più povero, quello della gente che rasenta l'indigenza. Kore-eda si prende i suoi tempi, che gli richiedono le solite due ore abbondanti, appena sufficienti tuttavia per sviscerare i fatti, e tutto ciò che di molto umano dietro di essi si cela. Un cinema in grado di farci riflettere e di provocare emozioni, restando schietto nella narrazione, senza fronzoli melodrammatici ruffiani ed evitando qualsiasi inutile melancolica strumentalizzazione delle circostanze: cosa per nulla scontata, almeno se si dimentica per un attimo la levatura del magnifico regista che ci troviamo di fronte. 

VOTO ****

13) TRE VOLTI DI jAFAR PANHAI - IRAN - Cannes 2018 - Concorso

Una famosa attrice iraniana riceve un video su Telegram che la sconvolge: una ragazza filma al cellulare un breve video che terminerebbe col suo suicidio. Motivo di tanta disperazione: essere stata costretta dalla famiglia ad abbandonare gli studi cinematografici in cui peraltro eccelleva.

Per questo la donna, sconvolta, convince a mettersi in viaggio col regista Jafar Panahi per trovare notizie della giovane, confutare che quel video è frutto di finzione, e mettersi in pace con la coscienza. 

Un cinema magnifico quello di Panahi, che sa chiudere il suo "trattato" morale con la solita lunga sequenza magistrale, quasi commovente. Cinema al suo stato più puro, gioco di finzione che diventa più vero del vero. Un altro gioiello da un cineasta perennemente perseguitato. 

VOTO ****

12) BURNING di Lee Chang Dong - Corea Sud - Cannes 2018 - Concorso

Chang-dong ci trasporta in un intrigo in cui tutto è supposizione, e le idee o manie di persecuzione del nostro un po' ingenui, un po' sfortunato protagonista, sono gli stessi scarni indizi di cui disponiamo. L'incasso si prende tempi sin troppo dilatati, ma il mistero è giocato ecscandito piuttosto bene, salvo poi farci rimanere radicalmente aggrappati a più dubbi che soluzioni, sino al momento del confronto risolutivo finale, quello della spogliazione (in senso anche letterale), che in qualche modo rende concreto il vuoto di cui si circonda il nostro ragazzo, ormai solo al mondo col suo furgoncino scassato e lurido. Burning possiede e coltiva dentro il suo lento ed ineluttabile misterioso svolgimento, le incognite giuste per destabilizzarci e inquietarci quanto basta. 

VOTO ****

11) L'ALBERO DEI FRUTTI SELVATICI di Nuru Bilge Ceylan - Turchia - Cannes 2018 - Concorso

"The wild pear tree" riesce a prendersi tutto il tempo utile e necessario per tracciare le linee caratteriali bizzarre e imprevedibili di un giovane inquieto che, col suo ritorno, si sente in dovere di comprendere ormai definitivamente se il proprio posto nel mondo è proprio quel luogo natio, tanto caro ma anche tanto ugualmente osteggiato, o al contrario il suo destino è da rintracciarsi altrove.

Ed è magnifico perderci nei sogni o deliri del protagonista, di cui il regista diviene complice onirico attraverso soluzioni a sorpresa che prendono forma di sogni - o più spesso incubi - ad occhi aperti, in grado di far vacillare anche un carattere imperturbabile ed ironico come quello del nostro giovane protagonista, sempre perennemente distratto dal suo divagare in dialoghi e digressioni che si rivelano tuttavia qualcosa di ben più profondo e razionale di semplici e superficiali divagazioni guidate dal proprio disincantato atteggiamento verso il mondo esterno.

VOTO ****

10) COLD WAR di Pawel Pawlikowski - Polonia - Cannes 2018 - Concorso

È una meraviglia, soprattutto per gli occhi, affrontare da spettatore una storia d'amore drammatica che sorvola gli anni e i luoghi della cortina spuonistuca e della guerra fredda che, proprio in quei "caldi" anni, definisce un nuovo tormentato volto ad una Europa comunque perennemente divisa tra Occidente ed Oriente secondo un equilibrio sempre e solo precario sormontato da due estreme superpotenze. La fotografia meravigliosa in bianco e nero ha molti meriti, così come le scenografie studiatissime e perfette. Gran regista, grande cast che trova nella coppia Zula/Viktor, una amalgama erotica perfetta, come a riunire nei migliori anni della reciproca bellezza una esplosiva Brigitte Bardot col migliore Rupert Everett.

VOTO **** 

9) CHIAMAMI COL TUO NOME, di Luca Guadagnino - Italia/Usa 

In un tenero innocente, ma prezioso gioco di scambio di nome proprio, si rifugia un miracolo di poesia e di scrittura che conduce lo spettatore sino alla commozione; per la purezza di espressione, per la rappresentazione magistrale, carnale certo, ma mai volgare, di un innamoramento più forte di ogni eventuale ostacolo od impedimento. Si celebra la forza della sessualità, in cerca di definizione e identità, e che si trasforma poco a poco - prendendosi i giusti processi di maturazione, meditando i tempi e le situazioni, in un crescendo emotivo che si rende palpabile in sala, tra il pubblico, in questo adattamento lancinante del romanzo omonimo di Aciman; adattamento che sa essere sia prepotente, sia pacato, opera del grande vecchio cinesta americano James Ivory, qui solo sceneggiatore, abilissimo più di quasi ogni altro (eccetto forse David Lean) a trasporre per il cinema romanzi e storie di autori celebrati quali E.M. Foster.

Ne scaturisce un miracolo di poesia e di scrittura che porta alla commozione per la purezza di espressione e rappresentazione tutta incentrata su un innamoramento che è tutt'altro che platonico o irrisolto. Merito anche e soprattutto di un lavoro di regia portentoso, elegante e sublime, di un Guadagnino in grado di celebrare al meglio le dinamiche di un innamoramento e di una presa di coscienza, esemplari.

VOTO ****1/2 

8) IN GUERRA di Stéphane Brizé - Francia - Cannes 2018 - Concorso

Le guerre moderne si combattono ormai tra classi sociali per la salvaguardia da una parte (i pochi) del proprio status symbol, e dall'altra (la moltitudine) del proprio già spesso limitatissimo tenore di vita. Il capitalismo sfrenato, quello ormai dilagante e senza freni, quello che spinge i cosiddetti CEO delle aziende che fanno la differenza, a produrre profitti esagerati per la maggior gloria e remunerazione di shareholders assetati di profitto come i vampiri di sangue (tra questi pure i CEO medesimi), trovano spesso più conveniente delocalizzare aziende anche produttive, in forte utile, in territori in via di sviluppo, semplicemente chiudendo bottega e burattini, evitando si cedere l'azienda a compratori terzi, al fine di non crearsi ulteriori concorrenti.

Nel magnifico, lucido, complesso e concitato nuovo film di Stéphane Brizé, che riprende, più alla larga, ma entrando maggiormente nello specifico, il discorso rivendicativo già meravigliosamente esposto ne "La loi du marché", ci vengono mostrati gli sforzi vani di un sindacalista onesto e coraggioso come Laurent Amédéo, per tenere unito il fronte operaio, moltitudine impotente di fronte alle bieche speculazioni di una proprietà egocentrica e sorda ad ogni più ragionevole trattativa che non vada a totale sacrificio dei primi. Brizé azzecca tutto in questo splendido film: ritmo concitato che ci proietta immediatamente sul campo di battaglia, una regia che organizza il racconto sacrificando mirabilmente l'aspetto narrativo per privilegiare il taglio documentaristico e giornalistico.

VOTO ****1/2

7) THE LOOMING STORM di Yue Dong - Cina - Cinema Oltreconfine 2018

Per la regia, assai suggestiva e impeccabile a cura dell'esordiente Ding Yue, The Looming Storm si presenta come un affascinante thriller esistenziale, cupo, fosco, enigmatico, catalizzato non a caso nella Cina dei cambiamenti radicali di fine secolo, tra cui quello della riannessione dell'isola di cui sopra, mentre una pioggia gelata e perenne affligge i paesaggi che già di per se stessi non concedono allo sguardo nessun contorno assicurante od accattivante, rendendoli fotogenici come scorci impreziositi dalla mano di un abile pittore, ornati come appaiono degli scheletri di uno sviluppo industriale che si trascina ormai sulla scia di una realtà imprenditoriale che li ha resi obsoleti ed economicamente inefficienti, quindi destinati ad una prossima demolizione.

Atmosfere accattivanti, dunque, che circondano un personaggio solo abbandonato unicamente verso una sola distruttiva ossessione, a causa di ciò diretto verso un delirio che non può fare a meno di assecondare, e a causa del quale egli si crea una verità tutta propria, ed un senso di giustizia privata liberatorio e necessario, ma completamente arbitrario ed allucinato.

VOTO ****1/2 

6) ROMA, di Alfonso Cuaron - Messico - Venezia 2018 - Leone d'Oro

Nella capitale messicana degli anni '70, un cortile di una abitazione borghese  insozzato di merde del festoso e ben stazzato cane della famiglia che lo abita, e ripulito di malavoglia e distrattamente dalle due domestiche di casa, fa da sfondo alle vicissitudini di una comunità travagliata da avvenimenti intimi e socio politici che segneranno ognuno dei membri (padre medici, madre biochimica, quattro figli bambini e una nonna). 
Tutto sotto lo sguardo delle due domestiche, messicane pure loro ma di etnia e lingua madre differenti, di cui in particolare conosceremo Cleo, giovane amata dai bambini e considerata da costoro quasi una sorella maggiore.

Nel cortile delle merde di cane e degli scorci poetici riflessi attraverso l'acqua del risciacquo, si consuma il disgregarsi della famiglia tradizionale, e il consolidarsi di quella degli affetti genuini. Il felice ed ispirato ritorno in patria di un grande autore.

Un film meraviglioso ed emozionante. 

VOTO ****1/2

5) KILLING di Shinya Tsukamoto - Giappone - Venezia 2018 - Concorso 

Non basta l'abilità per agire come un killer. La propensione ad uccidere, che il giovane scorge chiaramente nello sguardo profondo e spietato del maturo samurai suo nuovo maestro, non è una qualità che si puo apprendere con la costanza e l'allenamento: è una caratteristica, un'indole intrinseca che esiste, altrimenti ci si ritrova ad esserne inesorabilmente privi.
Un film violento ed efferato, questo ultimo che sancisce la più esaltante e evidente maturazione artistica di una grande personalità del cinema di genere, ma pure d'autore (ed è raro riuscire a coniugare entrambe le caratteristiche) come è Shinya Tsukamoto.

Violento ed efferato - dicevamo - ma dichiaratamente, quasi spudoratamente, afflato convinto contro la violenza e a favore del potere dirimente della dialettica, della ragione, della capacità di dare una svolta pacifica alle inevitabili controversie che dividono due parti contendenti.  Tsukamoto rifugge la coreografia platica, ma non rinuncia alle bellezza autentica di alcune scene di lotta spietate e sanguigne, ove il sangue non schizza, ma piuttosto sgorga; riservandoci anche la sorpresa della scena erotica più bella e sensuale di tutto questo festival: la mano del nostro giovane anti-eroe che si infiltra tra le fessure di una staccionata che divide i due amanti, per incontrare e insediarsi tra le labbra carnose, nella bocca della propria amata: momenti di grande cinema, forse un omaggio all'opera di Oshima, nel film più bello e compiuto di Tsukamoto, almeno dell'ultimo decennio.

VOTO ****1/2

4) L'ALTRA FACCIA DEL VENTO di Orson Welles - Usa - Venezia 2018 - Fuori Concorso

 Gestazioni pachidermiche, quasi bibliche.
La difficoltà di portare a termine un'opera cinematografica è sempre stata una costante nella cinematografia di Orson Welles. Regista immenso, ed "attore per forza", ovvero per necessità, per esigenze di cassa, coinvolto grazie alla fama e ad un carisma leonino molto opportuno per adattamenti di personaggi spesso forti o sopra le righe, in centinaia di pellicole, anche di basso valore artistico, al solo fine di poter racimolare proventi che potessero permettere al grandissimo maestro di portare a conclusione le sue regie.
A volte ci riuscì,  altre volte proprio per nulla, e la filmografia da regista, tutt'altro che sterminata, che costella un arco di vita non breve, ne fornisce la conferma puntuale.
Con "The other side of the wind" meno che mai Welles riuscì a portare a compimento il suo progetto, e ciò nonostante quella mente d'autore avesse pressoché accumulato una quantità di materiale girato, da produrne, a livello di durata media, almeno una quarantina di lungometraggi. Impossibile o quasi scendere nei dettagli della non-storia: meglio lasciarsi prendere dal delirio di un montaggio scatenato che cita se stesso, e denuncia col sarcasmo più potente le bassezze ed i sotterfugi di un mondo di compromessi come quello della produzione cinematografica. Uno scenario impossibile ed inestricabile per i caratteri "sani" e incorruttibili che non sanno scendere a compromessi ed arrendersi al diktat di chi ha i soldi per poter ultimare il progetto.

VOTO ****1/2

locandina

La casa di Jack (2018): locandina

3) LA CASA DI JACK di Lars Von Trier - Danimarca/Usa - Cannes 2018 - Fuori Concorso

Ritorna Lars von Trier, indiscusso, analitico, freddo ed implacabile genio del male, acuto analizzatore degli impulsi incontrollati di una specie inquietante come quella umana; tornato in Croisette a Cennes 2018, dopo il bando ricevuto ormai anni orsono per quella sua infelice uscita sul nazismo; tornato cosciente di provocare il pubblico e di farsi odiare da molti ("se mi accorgessi di piacere a tutti, sarei finito); e tornato con un saggio acuto, perfetto, cinico e matematico, un trattato inflessibile e sfrontato su quella che è la pulsione forse più terrificante di cui si può far carico un essere umano: l'uccidere per il gusto di farlo, per misurarsi con una pratica che richiede organizzazione e gestione dei dettagli; divenendo così bravo da restare invisibile anche dopo 60 omicidi seriali, e per questo desideroso di fornire elementi che conducano le autorità almeno a valutarne l'esistenza, e a contemplarne la sempre più perfetta esecuzione.

Il film disturba, senza ombra di dubbio; può apparire provocatore, ma in fondo non lo è affatto. 

VOTO ****1/2 

locandina

An Elephant Sitting Still (2017): locandina

2) AN ELEPHANT SITTING STILL di Bo Hu - Cina - Festa del Cinema di Roma 2018

Opera prima da un cineasta talentuoso che purtroppo non è più tra noi, ecco un'opera straordinaria, densa, con un passo narrativo solenne, in cui così tragicamente ed efficacemente come dopo questa tragica circostanza, si può comprendere quanto possa ritrovarsi concreta ed evocativa la rappresentazione di un dolore interiore insanabile e puro, lancinante, senza sokuzione, elaborato al punto da costringere l'autore a mettere in atto le più estreme conseguenze.
Hu Bo dosa i tempi e sospende le azioni, rendendo ancora più solenni i comportamenti sacrificali ed in qualche modo eroici dei suoi tre "martiri" in cerca dell'unica via d'uscita possibile.
Un cinema puro, straziante, che trasferisce sullo spettatore le dinamiche sottili e dolorose di una sofferenza che va ben oltre la fisicità e finisce per consumare da dentro la sua vittima, ponendola ad un bivio oltre il quale non esiste ritorno.
Un cinema puro che ricorda i tratti del dolore, incomunicabile e lacerante, che colpiva e caratterizzava le figure indimenticabili e straziate del cinema di Antonioni.

VOTO ****1/2

Immagine correlata

1) HIGH LIFE di Claire Denis - Francia/

Cosa ci fanno un padre amorevole ed una neonata dolcissima dentro una navicella spaziale resa autosufficiente grazie ad una tecnologia in grado di autorigenerare acqua, ossigeno, ed ospitare una coltura di vari ortaggi atti a sfamare l'equipaggio? e come mai ci sono solo loro dentro l'astronave vintage che li ospita con amorevole e servile messa a disposizione?

La elaborata sceneggiatura che si poggia con destrezza su più orizzonti temporali, ci spiega tutto anche grazie a puntuali flash illustrativi che servono a dar pace ai nostri molteplici interrogativi.

Capiamo quindi che il Governo ha deciso di fornire una chance ai delinquenti destinati a condanna a morte: gli si offre come alternativa, quella di far parte di una spedizione spaziale volta a esplorare i luoghi più lontani che oltrepassano la nostra galassia, alla ricerca di verità e testimonianze su fenomeni ancora misteriosi come la presenza dei buchi neri.

Tramite una visione tarkovskiana quieta e un po' vintage dello spazio, cupo e insidioso, freddo ed ostile, ma anche suo malgrado accogliente, nella sua apparente inospitalità, come un immenso ventre oscuro, la Denis ci conduce verso il limite di un mistero universale che si rispecchia in qualche modo nei misteri della creazione che si annidano nelle viscere di un ventre materno nel suo compito di donare e propagare la vita. Ne scaturisce un film meraviglioso, dai tratti da un lato improvvisamente agghiaccianti ed efferati, spietati ed inesorabili senza dare allo spettatore preavviso alcuno, né avvisaglie di sorta, come a lasciarlo in preda ad una ciurma di assassini instabili e completamente fuori controllo; ma non estraneo, a ben vedere, a farsi portatore di un messaggio di speranza, quella che nel finale la pellicola non può fare a meno di proporci come eventualità plausibile.

VOTO *****

 

 

 

 

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