Ciao Andrea, che brutto modo di iniziare la giornata...
Venerdì un'amica mi ha detto che non c'eri più.
Com'è possibile? Non è possibile!
E invece si.
È morto Andrea G. Pinketts.
Che poi nemmeno sapevo che ti eri ammalato e che un bastardissimo e infame tumore alla gola ti ha portato via, così, senza pietà.
Non sono certo la persona più titolata a scrivere qualcosa su di te, specie ora che non ti seguivo più da tempo, ma chi se ne frega se ci eravamo un po' allontanati...capita. Se però ora sento di doverti scrivere queste righe è proprio perché alla fine mi sei rimasto comunque dentro e in maniera per me importante, con le tue parole, coi tuoi libri dai titoli assurdi pieni di ancor più assurdi personaggi, proprio come te, che sembravi anche tu uscito da un romanzo e invece sei sempre stato verissimo, semplicemente te stesso, prendere o lasciare. Io ti ho preso subito.
Forse è proprio ora che non posso più dirti di persona queste stupide, retoriche e scontate ma anche sincere parole che mi rendo conto che hai segnato anni importanti e che i tuoi libri mi hanno fatto una gran bella compagnia, divertendomi e appassionandomi come pochi altri all'epoca. Ero e sono tuttora affascinato dai tuoi funambolici e incredibili giochi di parole, tanto che a chi non ti conosceva dicevo che eri "un giocoliere della parola", non mi pareva ci fosse un termine più azzeccato per definirti. Non usavi palline, clave o anelli ma la solo la tua fervida mente per stupire chi ti leggeva. Con te infatti le frasi volavano veloci e vorticose, creando geniali calembour e stupefacenti giochi linguistici che si incastravano perfettamente ma anche assurdamente tra loro, roteando non nell'aria ma tra le pagine dei tuoi romanzi, al ritmo frenetico della tua sconfinata fantasia. Era come se io stessi non solo leggendo un bel romanzo, ma anche assistendo a un affascinante e coloratissimo spettacolo ideato da un vulcanico e simpaticissimo giullare.
E colorato ed elegantemente sgargiante lo eri sempre anche tu, col tuo immancabile cappello, le giacche dai colori sparati e forse improponibili se indossati da altri ma che a te stavano da Dio, le cravatte originali e variopinte, sempre bellissime, che tante volte ti ho invidiato. Sembravi quasi un personaggio dei fumetti, una sorta di Dick Tracy milanese, però molto più simpatico di lui, catapultato in un mondo forse troppo piccolo, normale o grigio per te, che ti divertivi a spiazzare e colorare un po' anche attraverso il tuo vestiario, oltre che col tuo immenso talento e la tua debordante personalità.
Ma chissà, sicuramente straparlo... io che manco ti conosco bene, se non attraverso qualche breve incontro o dai libri letti tanti anni fa incappando in te quasi per caso, forse grazie a un almanacco della Bonelli che manco ricordo più a chi fosse dedicato...
Parlavano benissimo di te, e si sentiva che erano apprezzamenti sinceri, e siccome di loro mi fido, 'ché tra Zagor, Tex, Mister No, Dylan Dog e mille altri loro personaggi ci son cresciuto, son andato in libreria a curiosare.
Dicevano il vero, mi bastò provare a intuire di che trattavano i tuoi romanzi, di quanto mi sembrassero assurdamente grottesche le trame da te ideate già solo leggendo la quarta di copertina. Non potevo non leggerti e non rimasi deluso, anzi.
Restai subito affascinato dai tuoi personaggi a partire da Lazzaro Santandrea ma pure dai suoi amici, Pogo il dritto e tutti gli altri che abitavano una Milano assurda che tu conoscevi bene ma che ti pareva impossibile fosse popolata di quella stranissima fauna umana, tra serial killer, apparizioni della Madonna e quant'altro: "Il senso della frase" (tu si che ce l'avevi davvero), "Il vizio dell'agnello", "Il conto dell'ultima cena" e tutti quei libri dai titoli strani che cominciai a leggere con sempre maggiore passione. E quando potevo non perdevo occasione per venirti a trovare, volevo conoscere chi si celava, anzi chi si mostrava con guasconesca, incontenibile e ironica spavalderia come scoprii poi, dietro tutto ciò.
Sia che fosse a Milano, dove un paio di volte andai con un'amica, al Trottoir dove eri di casa o in altri posti, per la tua presentazione di un libro di un altro autore o nella mia Torino, quando eri un'immancabile presenza al Salone del Libro. Era impossibile non notarti anche lì, in mezzo a quel gran casino e tra la folla di persone, tu che svettavi grande e grosso, col vocione possente e sempre accompagnato a qualche bella hostess. Come quella volta che durante una conferenza su non so più chi o cosa, c'eri anche tu seduto a una lunga tavolata in folta compagnia di colleghi scrittori e dopo un po' che parlavate il moderatore vi chiese se gradivate dell'acqua. Tutti gli altri annuirono: chi la voleva gasata, chi liscia. Tu no, anche lì facesti la differenza: "Per me una birra, grazie." E tutti noi del pubblico ridemmo, applaudendoti, anche se per te era tutto assolutamente normale, abituato com'eri a tenere un bicchiere di birra o whisky in una mano e il sigaro nell'altra. E che dire di quando pubblicasti il tuo vero numero di telefono su un libro solo per vedere se ti riusciva di reincontrare una tipa di cui ti eri impallinato ma non sapevi come ricontattare, dedicandole parole che chissà se avrà davvero mai letto? Non era epoca di social network allora e credo un tipo come te non li apprezzasse, eri tu a tuffarti di persona, in maniera poderosa e diretta in mezzo alla gente, non certo tramite altri mezzi virtuali. Subito trovai abbastanza spiazzante la cosa, ma poi pensando che eri tu a farlo mi parve assolutamente normale.
O quando venisti a presentare il tuo ultimo libro in un caffè letterario di Torino e fosti un fuoco di fila di battute, scoppiettante e arguto come sempre, tra grandi applausi e fragorose risate. E sai cosa apprezzai di più? Che toccasti mille interessanti argomenti, tranne uno: il tuo libro. Eri venuto a presentarlo ma non dicesti una parola che fosse una in merito, lasciandoci tutta la nostra curiosità e il piacere di scoprirlo da noi leggendolo. Mi stupì molto quel tuo modo di fare, era la prima volta che assistevo a una (non) presentazione simile. Ma la cosa che mai potrò dimenticare di quella serata è quando ci fu una pausa e ci incontrammo davanti alla porta del bagno, passando così in un attimo dalla finzione alla minzione. Era occupato ed entrambi aspettavamo il nostro turno e quando si liberò tu mi indicasti la porta con la mano, quasi a volermi far passare prima di te. Io ti ringraziai per la gentilezza e ti dissi qualcosa tipo: "grazie Andrea, ma entra pure prima tu." E tu, con quel tono grave che non si capiva mai quando scherzavi o eri serio (qui più la seconda direi) e il tuo gran vocione mi spiazzasti ancora dicendo: "guarda che non ti sto cedendo il mio posto. Se vuoi però possiamo pisciare assieme..."
Rinunciai alla tua proposta scoppiando a ridere, anche se forse ora un po' mi pento di non aver condiviso se non un boccale di birra almeno quella tazza di ceramica, in un gesto virile e strano... non era certo da tutti farla col proprio scrittore preferito.
A ripensarci ora mi pare impossibile averti poi messo un po' da parte... credo smisi di leggerti quando iniziai a vederti sempre più spesso in TV, in programmi che non erano proprio il massimo per usare un eufemismo e che, come spesso accade con la televisione, mi pareva svilissero il tuo grande talento e non rendessero merito al grande scrittore che apprezzavo. Forse fu lì che iniziai a voltarti le spalle allontanandomi, cadendo anche io come molti nel tranello di giudicare una persona da determinate scelte, senza scindere l'essere umano dal suo talento, che restava identico nonostante scelte forse poco felici. L'Andrea G. Pinketts che resterà per sempre non è infatti certo quello dei salotti TV, delle comparsate in programmi trash, o quello che indagava tra i misteri assieme una troupe televisiva. No il vero Andrea misteri molto più veri e pericolosi li aveva già indagati anni prima da solo, sulla sua pelle e rischiando di persona, quando faceva reportage infiltrandosi in sette sataniche o tra tipi loschi facendoli poi arrestare, o vivendo tra gli emarginati e dormendo tra loro e come loro, in strada, per poi provare a raccontarli in maniera diretta e vera. Oggi che si è tutti più tristi in tanti, che siano amici veri, fedelissimi fans, commentatori vari, diranno la loro su di te, si scriverà di tutto e dappertutto: chi ti dipingerà in un modo, chi farà di te un santino, anche se a te non sarebbe piaciuto, forse meglio un santone visto quanto eri massiccio, e si potrebbe scrivere non certo solo uno ma una serie di libri su di te, già solo raccontando tutti gli assurdi aneddoti che ti han visto protagonista. Si passerebbero mesi a dire strane cose di te, ma chissà se potremo mai svelarti completamente. Il vero mistero eri forse proprio tu Andrea, una sorta di "Strano ma vero" della Settimana Enigmistica in cui provare a decifrare chi eri davvero e cosa rappresentasse quella strana G. in mezzo al nome. Per l'anagrafe era Giovanni, tu dicevi che stava per "Genio", io ho pensato al punto G vista la tua grande passione per le donne, ma ci potrebbero stare mille altre definizioni. G. come generoso, come spesso eri anche verso i tuoi colleghi, G. come goliardo visto come ci hai spesso preso in giro divertendoti e divertendoci, G. come Golia vista la tua stazza. Insomma forse eri davvero tu un G.G.G. un Grande Gigante Gentile, parafrasando Roald Dahl, burbero solo in apparenza, ironico e graffiante sempre, duro come una roccia ma anche sornione e tenero quando era il caso. Io ti dico G. come grazie per tutto quel che di bello mi hai dato: così ti ricorderò, rileggendomi i tuoi geniali romanzi e magari recuperando quelli che mi sono perso in questi anni e dedicandoti ora non più altre parole ma tante birre. Più pinte per Pinketts: alla tua Andrea!
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