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BABY. Tutto da rifare
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Anticipata da strilloni scandalistici, la serie tv italiana targata Netflix e ispirata ai fattacci delle baby escort parioline del 2013, risulta invece sedata, per nulla provocatoria, né audace né scandalosa. Andrea De Sica conferma con Baby il limite già intuito in I figli della notte (2016). Seppur ottime narrazioni del mondo giovanile dal taglio sociopolitico, con un’estetica autoriale impeccabile e uno sguardo registico minimalista e contemplativo, ad un certo punto, queste narrazioni si inibiscono. In un improvviso blocco psicologico la storia non affonda i denti nella carne, non si addentra nelle zone d’ombra, non abbassa le mutandine. L’eccesso pudore della poetica di De Sica non aiuta a tematizzare il contenuto delle sue storie, realizzate sí con esistenti ed eventi referenti di un contenuto preciso, ma non tematizzati. Forse al regista interessa di più la psicologia dei suoi personaggi, ma l’attore è soprattutto corpo e certe tematiche bisogna avere il coraggio di affrontarle senza pudore utilizzando tutti i mezzi profilmici a disposizione, corpo attoriale compreso.

In Baby accade esattamente la stessa cosa. Da un lato la storia “scandalosa” viene posticipata ai terzultimi episodi ed edulcorata appunto dal pudore, dall’altro lato è tratteggiata più come una bravata adolescenziale che un inquietante atto di prostituzione minorile di cui non è colpevole solo l’adulto committente, ma anche e soprattutto il minore che, in uno slancio meschino verso l’indegno, si prostituisce. Giustificazioni come l’infanzia infelice, i genitori assenti, la famiglia disfunzionale, il bullismo e il cyberbullismo, sono solo attenuanti di un comportamento inquietante che nasce nei giovani destabilizzati da se stessi, in pieno corto circuito identitario, incapaci di distinguere realtà da finzione, accecati dal miraggio del lusso e dell’esclusivo come forme di identità sociale, traguardi a cui ambire al posto di legalità, pacificazione, tolleranza, , senso etico del consumo, amore per l’uomo e non per la “macchina”, amore per l’essenziale. Di questo però De Sica non ne parla, accennando soltanto a un fondale scenico, la Roma bene dei Parioli, come milieu determinante del processo socioculturale involutivo delle due giovani protagoniste, senza mai davvero penetrare nella scabrosità della storia in sé, finendo così per confezionare semplicemente una serie tecnicamente lodevole, ma sedata e castrata.

Sono molto più sconcertanti le testimonianze che hanno fatto 14mila giovani intervistati da Skuola.net, affermando che ciò di cui si parla nella serie – e che nella serie, invece, sembra essere solo un caso isolato – in realtà è una prassi fin troppo conosciuta da studenti e studentesse. Tant’è che, 1 ragazzo su 10 dei 14mila intervistati tra scuole medie e superiori sa di compagne e pure di compagni che si prostituiscono per ottenere chi ripetizioni (33%), chi soldi (19%), chi ricariche (14%), chi regali (7%), filmando il tutto in caso di possibile ricatto. Il direttore di Skuola.net, Daniele Grassucci, dichiara: «Il contesto culturale in cui gli adolescenti sono immersi, fatto di immagini iper-sessualizzate postate sui social alla ricerca di like, unito a un crescente consumo di contenuti pornografici, resi oggi più accessibili dalla rete, sta contribuendo a una netta separazione tra la dimensione affettiva e quella sessuale. Diventa, così, quasi normale e accettabile disporre del proprio corpo, persino a scopi commerciali o utilitaristici. A peggiorare le cose c’è anche il fatto che l’educazione sessuale è ancora un tabù, sia in famiglia che a scuola. Determinante, di conseguenza, è il ruolo (negativo) della Rete visto che, in assenza di altri punti di riferimento, per 2 ragazzi su 3 è proprio internet la fonte principale di informazione». Sconcertante inoltre, che il 60% degli appuntamenti nasca tra i banchi di scuola e si consumi per un 46% dei casi proprio tra le mura scolastiche (Fonte: https://www.skuola.net/news/inchiesta/baby-squillo-prostituzione-scuola-soldi-compiti-voti-ricariche.html).

La serie di De Sica quindi, pur solo ispirandosi alle vicende del 2014 che scandalizzarono anche per il coinvolgimento di Mauro Floriani, marito di Alessandra Mussolini, si dimentica di questo ecosistema con la sua fauna umana e l’intrico vegetale che la circonda e ne determina la natura comportamentale. Non c’è una rappresentazione verosimile e distaccata dell’interazione tra personaggi e ambiente. La mancanza di uno studio ecologico a riguardo condanna Baby alla gogna mediatica, perché sembra essere soltanto un espediente pruriginoso per stimolare la visione di una serie che né provoca, né scandalizza, né indaga davvero, e peggio ancora, non accusa nessuno. Il National Center on Sexual Explotation ha criticato la produzione di Baby lamentando che la serie mostra «un gruppo di adolescenti che entrano nel mondo della prostituzione come se si trattasse di una versione glamour di una parabola di formazione. Per le leggi federali, statunitensi e internazionali, qualunque individuo, non ancora diciottenne, sia coinvolto in rapporti sessuali a pagamento è da considerarsi vittima di prostituzione minorile. Nella vicenda reale a cui Baby si ispira, la madre di una delle adolescenti coinvolte è stata arrestata per sfruttamento della prostituzione minorile» (Fonte: https://movieplayer.it/news/baby-netflix-accusata-prostituzione-minorile_62837).

Anche se di origine religiosa e dalle solide basi moralistiche, il Centro ha giustamente evidenziato, nella sua accusa a Netflix, l’assenza di una uniforme politica aziendale: «Licenziano Kevin Spacey e dopo producono una serie che esalta la prostituzione infantile e chiamarla intrattenimento provocatorio è il colmo dell’ipocrisia» (Fonte: https://www.abc.es/play/series/noticias/abci-baby-escandalo-prostitucion-menores-mancho-alta-sociedad-italiana-201812010050_noticia.html).

Benché io non solo sia anticlericale, progressista e libertino, ma anche partitario di Netflix, trovo comunque corretto l’appunto del Centro americano, nonostante il suo approccio fondamentalista. Lamento solo lo strabismo con cui certe tematiche vengono trattate: con un occhio si condanna la pornografia, che non ha nulla per essere condannata, e si difende a spada tratta chi invece è ben conscio di ciò che fa, mentre con l’altro – l’occhio sano, direi io – si individua l’ipocrisia della legge di mercato e si punta il dito su comportamenti deviati e patologici che condannano i più giovani a un futuro di problemi sanitari e di salute mentale. Perché nel sesso non c’è nulla di maligno o peccaminoso, semplicemente va fatto per il piacere, anche trasgressivo, di farlo, perché è nella nostra natura; mentre invece, la vendita del proprio corpo per una ricarica o per una lauta mancia per vivere al di sopra delle proprie possibilità, o per un video in cui sfoggiare la propria virilità – per altro assente in pratiche di questo tipo – oppure per sfidare l’invidia di compagni e compagne, significa non capire affatto tutta la carica libidinosa e rivoluzionaria dell’atto sessuale, depotenziandolo del proprio valore sovversivo e riducendolo a una meschina partita alla Play Station, a un post su Facebook, a una foto su Instagram.

La colpa di Baby quindi, è quella di aver voluto trattare un argomento importante, delicatissimo e urgente, senza saperlo né rappresentare né raccontare. È una serie che non si discosta dagli standard italiani dei prodotti televisivi nonostante sia targata Netflix, scadendo nello stereotipo dei tipi, nella divisione manichea dei personaggi e nell’assenza di immagini e contenuti realmente scabrosi capaci di attivare un senso di giudizio critico verso la narrazione e i suoi elementi. Inoltre, tale argomento importante, delicatissimo e urgente, meritava una denuncia più forte e soprattutto il coraggio di non considerare più i minori come vittime, errore etico che condannerà questa generazione in futuro.

Baby, quindi, delude le aspettative e pur inserendosi nella fitta lista di teen drama in voga oggi, non spicca su nessun altro titolo. Infatti, è stata paragonata giustamente alla gemella serie spagnola di Netflix, Élite (2018), con l’unica differenza che almeno quest’ultima, nonostante l’inconcludenza di tante provocazioni, si è permessa di calcare un po’ la mano in alcune scene, concedendo anche dei nudi e mostrando situazioni di intimità spesso lasciate fuori campo. Allo stesso modo si è evidenziata la distanza sia autoriale che formale tra Baby e Skam Italia (2018), la migliore serie adolescenziale italiana di sempre, oltre che ad essere tra le migliori al mondo: batte infatti sia Baby sia Élite, ma anche Skam España (2018) e almeno le ultime stagioni di Skins (2007-2013), di cui le prime due (2007-2008) restano finora il miglior esempio di teen drama autoriale e autorevole.

Di Baby si salvano però, oltre ovviamente alla regia di De Sica che tecnicamente è impeccabile, molte interpretazioni. Delle due protagoniste solo Alice Pagani, anche se fin troppo sopra le righe, merita applausi per la fisicità con cui dà vita a Ludovica, la più spericolata della coppia. Isabella Ferrari dimostra tutta la fragilità del suo ruolo senza faticare, conferma di una maturità artistica sempre in crescendo. Lorenzo Zurzolo, benché poco credibile nel ruolo di stallone da monta, è il migliore in campo: la modulazione vocale e l’ambiguità del personaggio dimostrano la sua freschezza e la naturalezza della recitazione. Giuseppe Maggio - tutto corpo, Riccardo Mandolini e Brando Pacitto vanno oltre gli stereotipi e funzionano perfettamente all’interno del sistema dei personaggi. Applausi per Paolo Calabresi, migliore tra i seniors, capace di dare spessore a una caratterizzazione solo con pochi gesti e con poche battute: cappello.

Si salvano anche le canzoni dei TheGiornalisti, le cui sonorità rimandano ad altre epoche, altri orizzonti ed evocano sensazioni nostalgiche e voluttuose, senza tempo; mentre invece le canzoni trap inserite come, ahimè, logica colonna sonora degli adolescenti degli anni 010, sono insopportabili e inascoltabili, ma non potevano mancare a completamento dell’insano milieu in cui bivaccano molti dei giovani di oggi. Popolata da mostri con i denti d’oro, ipertatuati, e dall’incedere scimmiesco (forse i tanto ricercati anelli mancanti?) e caratterizzata da testi cupi, minacciosi e violenti, la trap incita al gangsterismo, alla decadenza metropolitana, esalta la criminalità, lo spaccio e il machismo, che si sa è l’estetica del fascismo. Ma ciò che è lampante e sintetizza il corto circuito di cui prima, è che gli stessi rapper o trapper che condannano il sistema imperante ne sono poi le colonne, nutrendolo dall’interno: sfoggio del lusso, partito preso per il clientelismo, insana e criminale logica brancale, povertà e disagio sociale solo come specchietti per le allodole per vendere album. È tutto falso, è tutto finto, come il sesso che si fa per soldi, ricariche o un paio di scarpe nuove.

Baby delude proprio perché non ha affondato i denti nella carne, disegnando velocemente una generazione purtroppo molto complessa e alla deriva continua che richiederebbe non solo forme di rappresentazione più reali e coraggiose, ma anche un discorso più severo e senza appelli. Minori e adulti, tutti sono responsabili delle loro azioni, soprattutto se illecite.

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