UN CONCORSO COMPATTO
L'edizione numero 36 ha appena svelato tutte le sue carte. Oggi giovedi 29 novembre ho terminato la visione dei film inclusi nella rassegna ufficiale.
Si è trattato, quest'anno, a mio giudizio, di film qualitativamente più compatti tra di loro: nessun capolavoro una spanna sopra gli altri, come è capitato spesso nelle precedenti edizioni.
L'anno scorso À fabrica de nada, pur accontentandosi del premio della critica, era decisamente al di sopra della media e del reale vincitore.
L'edizione 34 ebbe col cinese The donor un vincitore annunciato già dalla sua prima apparizione.
Quest'anno, in mancanza di capolavori, si contano almeno 4/5 film più che soddisfacenti, maturi, per i quali il premio potrebbe rivelarsi opportuno e validamente attribuito.
Personalmente, incenserei il più ostico tra i migliori, ovvero quello che non verrà certamente menzionato tra i beneficiati, ovvero il brasiliano, esemplare Temporada (Long way home il titolo internazionale), di Andrés Novais Oliveira, per la capacità del suo autore di filmare il quotidiano della vita senza l'obbligo di dover scendere a patti con ricatti narrativi altrove spesso in agguato.
Mi è piaciuta pure la fresca opera terza di un regista canadese legatissimo al TFF e che ho sempre apprezzato sino ad oggi: il suo none, Sebastien Pilote, il film, intenso ed emozionante, "La disparition des lucioles" ("The fireflies are gone" nel titolo internazionale).
La Grecia non perde smalto e l'umorismo nero, né il sadismo sano e puro che ha reso clamorosa l'ascesa di un caposcuola ed apripista, ora in trasferta americana, come Lanthimos; e con Pity - opera seconda dello sceneggiatore di fiducia del Lanthimos, Babis Mankridis, la terra ellenica si conferma paese dalla salute cinematografica inversamente proporzionale a quella economica.
Pure l'opera d'esordio di Paul Dano, Wildlife, passata a Cannes, è assai valida, mentre dal nord europa sono piaciuti molto al pubblico il thriller islandese Vultures e quello danese The Guilty, prodotti medi acchiappa pubblico, ma con qualche merito qualitativo.
Ecco una classifica di tutti i film del Concorso in ordine di preferenza mia personale, in attesa del verdetto della Giuria capitanata quest'anno dal gran cineasta cinese Jia Zhang-ke.
1) TEMPORADA
Juliana ha vinto un concorso presso un ente statale che si propone di combattere le malattie endemiche che affliggono ancora oggi molte zone del Brasile. Per questo si trasferisce dalla natia provincia al centro dell'immenso stato, verso Belo Horizonte, per seguire il programma della squadra a cui è stata assegnata. ...
Ci piace questa scelta di filmare la vita che scorre, coi suoi drammi trattenuti per timore o riservatezza, o per un pudore che ognuno, chi più chi meno, serba dentro di sé, aprendosi poco a poco con gli estranei man mano che costoro dimostrano di meritarsi la fiducia adeguata per diventare confidenti.
Come ci piacciono le singole inquadrature che coinvolgono la pingue protagonista e i suoi compari, persone di vita vera non necessariamente legati ai gusti estetici imposti e ricorrenti.
VOTO ***1/2
2) LA DISPARITION DES LUCIOLES di
Chissà perche tutti pensano al futuro.
Il futuro dura parecchio. Io non ho nessuna fretta."
In una piccola cittadina del Quebec, Léo è una adolescente inquieta e piena di dubbi, propensa ad intraprendere svariati interessi o hobbies, per poi abbandonarli ognuno in meno di un mese, come colta da un senso di inedia e di latente insoddisfazione.
Tra la noia delle solite pedanti frequentazioni scolastiche, e le tensioni in casa della madre, soprattutto nei riguardi del patrigno, noto anchorman radiofonico locale, reo di aver cacciato a suon di ricatti subdoli il padre vero di Léo, uomo non proprio innocente, fuggito a lavorare lontano, e divenuto agli occhi della figlia l'eroe incompreso da tutti tranne che dalla figlia - qualcosa succede finalmente.
Bei volti, bella poesia, contenuti tutt'altro che nuovi, trattati tuttavia con amorevole sensibilità dal bravo regista Sébastien Pilote, alla sua terza avventura in regia, ed habitué del TFF dopo i riusciti Le vendeur del 2011 e The dismantling del 2013.
Un nome da tenere d'occhio davvero con attenzione.
VOTO ***1/2
3) PITY di Babis Makridis - Grecia
La vita ordinaria, agiata, ma quasi asettica di uno stimato avvocato greco, viene scossa quando la moglie rimane vittima di un incidente che la riduce in coma profondo.
Da quel momento, l'atteggiamento di commiserazione che caratterizza tutti coloro che, in qualche modo, vengono in contatto con il professionista e il resto della sua famiglia (un giovane figlio abilissimo a suonare il piano ed un mansueto cagnetto d'animo cortese), fa in modo che all'uomo quella situazione drammatica conferisca uno stato di incredibile benessere, in grado di rassicurarlo e proteggerlo come attraverso uno scudo protettivo in grado di esonerarlo dalle mille incognite del vivere quotidiano. ...
Dallo stimato co-sceneggiatore delle migliori opere di Yorgos Lanthimos, Babis Makridis, qui al suo secondo lavoro di regia dopo "L", ecco rinnovarsi l'ennesima, riuscita e pertinente, secca ed efficace stilettata greca sulla deriva dei rapporti umani, affettivi e sociali, che riducono esseri umani anche realizzati e stimati come lo sono questi nostri, verso percorsi e baratri al limite della follia più incontrollata e senza possibilità di svolta.
Makdrikis costruisce, con l'abituale destrezza che gli riconosciamo e ritroviamo nelle opere prime di Lanthimos, un personaggio da incubo a metà strada tra il grottesco di un Sordi in versione estremamente minimalista, ma non meno tristemente comico, ed un maniaco da manuale.
VOTO ***1/2
4) WILDLIFE di Paul Dano - Usa
Nel Montana del 1960 un timido e sensibile sedicenne, figlio unico di una coppia che la crisi economica finisce per portare allo sbando, vive come un incubo la circostanza che ha costretto il padre, ex dipendente presso in campo di golf, a scegliere di partire volontario con i vigili del fuoco a spegnere gli incendi che devastano il confine dello stato.
La madre, sola, trova in un suo anziano e mezzo invalido assistito ad un corso di nuoto che tiene presso la piscina comunale, un possibile nuovo consorte e questo acuisce i timori del ragazzino.
Wildlife descrive con passione e ina rigorosa scelta ambientativa assai accurata nei dettagli, gli egoismi ed immaturità del mondo degli adulti visti dagli occhi esterrefatti ed addolorati di un teenager incredulo costretto a maturare suo malgrado. Il gran valido esordio in regia dell'attore Paul Dano, con Carey Mulligan e Jake Gyllenhall.
VOTO ***1/2
5) VULTURES di Börkur Sigborsson - Islanda
C'erano due fratelli islandesi, una "mula" polacca, e una poliziotta serba... . Ecco gli ingredienti appropriati per amalgamare e dare forma ad un thriller tosto e dinamico in grado di accontentare le esigenze di un pubblico di appassionati del genere.
I due fratelli, che più diversi non si potrebbe immaginare, sono uno agente immobiliare, mentre l'altro uno spacciatore appena uscito di galera, accomunati da una madre tossicodipendente all'ultimo stadio.
La polacca che si presta a trasportare presso di sé ovuli pieni di droga, si sente male durante il viaggio aereo verso l'Islanda e viene colta da un grave blocco intestinale, a causa del quale risulta difficoltosa e ritardata l'operazione di recupero della merce.
" Vultures", ovvero, e non invano, "avvoltoi", ha un bel dinamismo addosso, e si sviluppa scandendo un buon intreccio narrativo in grado di tener sempre desta l'attenzione dello spettatore.
Oltre ad una valida scrittura, che non si preoccupa molto di mantenere a tutti i costi la plausibilità nel suo rocambolesco e concitato evolversi, il film risulta sorretto da una tenace direzione, opera del regista esordiente Börkur Sigbórsson, in grado di sostenere sempre una valida suspence e mantenere l'intreccio pienamente incadescente.
VOTO ***
6) ALL THESE MOMENTS di Melissa B. Miller - Usa
La sensibilità adolescente. Howie sta attraversando la fase dei mutamenti della crescita, e si trova in imbarazzo di fronte a tutto, spaesato e inadeguato in ogni situazione.
Mentre assiste imbarazzato al maufragio del matrimonio dei genitori, e un braccio rotto lo esonera dai corsi di educazione fisica, mettendolo a contatto con una compagna asmatica che se lo fila, Howie si sente uno schifo: inadeguato ed insicuro in tutto.
Meno male che sul bus una trentenne bionda piena di affanni, un giorno allegra e un giorno pensierosa, se non in lacrime, sembra, col suo semplice esistere ed esserci seduta poco distante a lui - volerlo accudire e dargli quella carica emotiva che pare davvero rigenerarlo, conferendogli la forza di superare la mediocrità generale di una vita che pare non ingranare mai.
Nascerà una bella intesa tra i due, che aiuterà il ragazzo non solo a divenire adulto, ma anche a saper affeontare i rapporti con i suoi cari, non meno spaesati e problematici di lui.
Per la regia di Melissa B. Miller, impegnata qui nel suo esordio, "All these small moments", come promette il titolo, si sofferma sui momenti intimi piccoli, che tuttavia sono proprio quelli che fanno la differenza costruendo caratteri e definendo linee di condotta e comportamento che divengono definitive e cruciali per stabilire il proprio ruolo e la propria posizione in quello spicchio di mondo che ci è dato occupare e percorrere.
VOTO ***
7) THE GUILTY di Gustav Moller - Danimarca
Una sera come tante, nel commissariato di Copenaghen, il poliziotto Asger si prodiga ad ascoltare le chiamate di aiuto presso il pronto intervento presso cui egli lavora: un'attività che lo vede impegnato in prima persona, ma solo a livello telefonico: in diretta con l'epicentro del problema o l'urgenza cruciale da risolvere, ma schermato da un cavo che ne impedisce la percezione tattile, a volte determinante per consentire di risolvere l'emergenza.
Una chiamata come tante, riesce a trasformarsi in un vero e proprio rompicapo che metterà a dura prova il peraltro già ampiamente collaudato sistema nervoso e l'abilità intuitiva dello zelante poliziotto, coinvolto suo malgrado in un contrasto familiare che, percepito nei dettagli solo attraverso la cornetta telefonica, finisce per celare quei particolari indispensabili per mettere in grado il tutore della legge di avere la corretta panoramica su un truce affare di legami familiari allo sbando.
The Guilty, opera prima di natali danesi, ad opera di un giovane e brillante regista e sceneggiatore trentenne svedese di nome Gustav Moller, conserva con fierezza quella unità di luogo e d'azione a cui solo una calibrata tensione, calcolata nei minimi particolari, riesce a garantire il mantenimento di una tensione che diviene il perno centrale di tutta l'impalcatura narrativa.
Ciò consente anche al film, tutto o quasi esercizio scrittura e primo piano su pezzi di volto del protagonista (un valido Jakob Cedergren, attore svedese naturalizzato danese che avevo già incontrato in Submarino di Thomas Viterberg) , di svilupparsi con costi contenuti, che rendono il prodotto finito ancor più apprezzabile e riuscito, mettendo in condizione lo spettatore di darsi a tempo debito una risposta di sollievo utile a dipanare tutte le incalzanti incognite che la singolare narrazione via cavo alimenta nel suo percorso percettivo costringente e limitante.
Senza necessariamente scomodare il Coppola magistrale de La Conversazione, restando tuttavia in zona prettamente "audio", accettando pertanto i rischi di una sfida dura ed ardua per un'arte tipicamente visiva qual è tradizionalmente il cinema.
VOTO ***
8) RIDE di Valerio Mastandrea - Italia
"Rido per non piangere" si suol dire con l'amarezza e il sarcasmo del caso.
Carolina, mamma trentenne, si ritrova a gestire di punto in bianco la drammatica situazione che deriva dalla morte improvvisa del marito Mauro.
Un caso di morti bianche come tanti, destinato ad indignare e ad attirare attenzioni subitanee con la fiammata di un fuoco di paglia mediaticamente potente quanto effimero.
Ma la gestione del drammatico fatto coglie Caterina impreparata a tal punto da non riuscire - lei a differenza di ogni altro, a parte il figlioletto decenne - "ma io non piango perché sono un bambino" - si schermisce il piccolo - a provare ancora una vera, appropriata forma di dolore che la spinga ad affrontare dignitosamente quel lutto devastante accaduto senza preavviso alcuno.
Ride, opera prima sentita e accorata di un attore eccezionale quale è Valerio Mastandrea, appare - per una volta appropriatamente - un autentico film inerente le difficoltà di gestione di un lutto, di una perdita troppo fondamentale e determinante per essere affrontata senza un debito preavviso.
Mastandrea incede determinato, a passo sicuro, scoprendo sin troppe angolazioni di dolore e sfaccettature inespresse della costruzione di un dolore che pare latitare, e apparire incongruamente inesistente, ma che invece si coltiva dentro in attesa di una eruzione improvvisa senza controllo.
Se il film ha sin troppe pretese, sfiorando anche la dinamica delle proteste di categoria, nel suo complesso può comunque definirsi un esordio imperfetto ma costruito di petto, con un atteggiamento inversamente proporzionale all'apatia imbarazzante che coglie la impreparata e stordita protagonista nella gestione di un lutto troppo improvviso per poter essere assimilato nella misura in cui dovrebbe.
VOTO ***
9) NOS BATAILLES di Guillaume Senez - Belgio
Le battaglie del vivere quotidiano sono molteplici, e tentano di sfaldare l'equilibrio già di suo precario in capo ad una famiglia operaia apparentemente affiatata ed indissolubile: marito magazziniere, moglie commessa e due bambini da crescere. Lui tutto oberato dal lavoro non si accorge minimamente del disagio e della depressione che coglie la consorte, che un bel giorno fugge via, lasciando l'uomo solo tra lavoro e figli da allevare.
Gli aiuti, la solidarietà non mancheranno, e l'uomo riuscirà in qualche modo a fare la scelta più giusta, democratica (messa al voto coi figli a scrutinio simpaticamente segreto) e coerente col proprio ruolo di operaio sindacalista. Romain Duris è fantastico nel ruolo tormentato del capofamiglia sommerso di gravose responsabilità, e molti dei meriti del film si devono a lui. In regia un ottimo giovane regista, Guillaume Senez, premiato al TFF di qualche anno fa col sensibile Keeper.
VOTO ***
10) MARCHE OU CRÈVE di Margaux Bonhomme - Francia
La gestione, faticosa e sofferta, di una ragazza disabile, lesa cerebralmente come fisicamente, devasta la vita della sua amorevole famiglia, i cui genitori finiscono per separarsi, divergendo le loro opinioni sul tenere la figlia con loro nella casa in montagna ove abitano, piuttosto che ricoverarla in un istituto specializzato.
Assistiamo alla gestione ordinaria della ragazza soprattutto dal punto di vista della sorella diciassettenne, adolescente inquieta e tosta che si divide tra slanci amorosi verso la sorella disabile, e iniziative impulsive per affrontare di petto situazioni spinose da risolvere senza tentennamenti.
"Cammina o muori" del titolo, è più che una frase fatta, e diviene una regola di vita che pone la nostra tenace protagonista dinanzi ad un bivio ove le soluzioni sono opposte e stridenti, e paiono entrambe dolorose da scegliere.
Esordio nella regia di un lungo narrativo da parte di Tatiana Margaux Bonhomme, che ci racconta una storia molto autobiografica che si vede ben conosce per averne condiviso i dettagli, spesso drammatici, ma a volte anche meravigliosi per l'intensità del rapporto esclusivo che si crea tra il disabile e chi lo assiste con amorevole intento.
VOTO ***
11) ATLAS di David Nawrath - Germania
Il sessantenne ma ancora aitante Walter, è un uomo solitario e senza famiglia che campa lavorando per una società che si occupa di sgombri forzati a seguito di ordinanze del pubblico ufficiale nei confronti di debitori morosi.
Sempre più spesso si trova a dover attuare anche procedure forzate effettuate al di là delle prescrizioni di legge, ma attuate per favorire l'azione di una associazione a delinquere specializzata in loschi affari immobiliari: costoro infatti acquistano le quote di maggioranza di vecchi palazzi, costringono i residenti più risoluti ad andarsene pagando loro prezzi minimi in cambio di una tranquillità di vita in cui costoro non possono più contare, angheriati come sono da molestie sempre più circostanziate e prepotenti. ...
Opera prima del regista tedesco David Nawrath, Atlas è scandito da un efficace ritmo narrativo in grado di avvincere lo spettatore, catturandolo nella rete emozionale che la storia provoca su chi la affronta.
Spicca su tutti il bel personaggio del protagonista, un buono di fondo devastato negli affetti e coinvolto per troppo tempo in affari loschi che non si merita. Tuttavia l'articolata vicenda risulta compromessa sin troppo da qualunque altra figura umana stia attorno a quella centrale: tutte, infatti, irrimediabilmente troppo stilizzate, esagerate nell'essere - a seconda dei casi - troppo buone o troppo cattive, o costruite troppo funzionalmente e ricattatoriamente a beneficio della trama sin troppo disinvolta nel suo dispiegarsi.
Certo, il film celebra con candore un inno accorato ai valori indispensabili dell'unita familiare, focolaio indispensabile per una esistenza moralmente accettabile, ma nel suo evolversi l'impeto narrativo pare sin troppo incontenibile, senza controlli sulla dinamica delle soluzioni narrative, portate con troppa disinvoltura verso soluzioni sin troppo inverosimili ed azzardate.
VOTO **1/2
12) ANGELO di Markus Schleinzer - Austria
Angelo è la creatura frutto di un esperimento che, in epoca "illuminata" ed illuministica, una marchesa (interpretata efficacemente da una credibile Alba Rohrwacher) intende condurre su un piccolo nigeriano scelto tra una decina di coetanei condotti in Europa assieme a molte altre specie animali e vegetali.
Il ragazzo pare adattarsi così bene agli usi e ai ritmi della civiltà, tanto da meritarsi l'attenzione dell'Imperatore che, da adulto, lo vorrà come protagonista della sua corte, musicista abile e dotato e persona abile nel conversare dei lontani luoghi natii che per il giovane sradicato, sono ormai un ricordo vaghissimo rivisitato sui libri.
...
Angelo, opera seconda austera e misurata del regista austriaco Markus Schleinzer, cerca nella via del rigore, dell'ossessione per la telecamera fissa e le inquadrature a cornice di quadri viventi pittoreschi e perfetti, uno stile alto alla Eugene Green - richiamato alla memoria anche dal suono del clavicembalo che ne scandisce i capitoli narrativi - ma invano, o solo in modo formale e distaccato, e rimane un film più interessante e meritevole d'attenzione, che realmente riuscito, più statico che virtuoso; e ancora più teorico e costruito, che sincero e vitale o sanguigno, anche quando nel finale le scene forti e viscerali, almeno nella costruzione della storia, non dovrebbero mancare.
VOTO **1/2
13) 53 WARS di Ewa Bukowska - Polonia
Anka, giovane e bella moglie polacca di un apprezzato ed impegnatissimo reporter di guerra di nome Witek, si trova a vivere in questa scomoda e malferma posizione, fuorviata o resa più vulnerabile da una televisione crudele e spietata che oggi - anche per merito di coloro che, come suo marito, rischiano e mettono a repentaglio la propria pelle per documentare ogni istante della vita di campo, un tempo oggetto di soli ricordi più o meno sfocati da parte dei combattenti sopravvissuti - garantisce e propina con i dettagli degni di una fiction dai risvolti macabro-horror.
Assistiamo pertanto alle fasi progressive di follia che colgono e distruggono la psiche già gravemente compromessa di una donna, moglie e madre, galvanizzata e sempre più in preda alla follia compulsiva a causa del lavoro del marito, pericoloso sempre e comunque, ma ora reso ancor più agghiacciante e sadico da una mente sviata, che si trincera dentro la propria compulsiva ossessione avvitandosi su se stessa e sprofondanfo in un baratro senza uscita, ove la violenza temuta diviene lo strumento dell'agire quotidiano.
Girato con perizia e una valida resa visiva che ci costringe a percorrere un girone che conduce elliticamrnte verso la follia più pura e senza rimedio, "53 wars" raccoglie maniacalmente già nel titolo la materia dell'ossessione che alimenta una grave malattia; e ci restituisce un personaggio scomodo, irritante, imprevedibile e non meno pericoloso, se vogliamo pure mostruoso e incontrollato, di quello impegnato a concepire prima, e mettere in atto dopo, quella guerra che qui, nella nostra protagonista, risulta interiore, privata, singola, ma che conduce e trasforma l'essere umano in uno strumento di morte senza più una vera plausibile ragione.
Il film, opera prima della regista polacca Ewa Bukowska, visivamente girato con perizia, scade spesso nel grottesco e nel gratuito, se non proprio nel macchiettistico senza rimedio, ma di fatto - soprattutto per ragioni estetiche e tecniche degne di nota e per nulla trascurabili, non può liquidarsi precipitosamente come un flop senza appello. Notevole la prestazione della protagonista, la stessa Ewa Buskowska-regista, fisicamente un interessante mix tra Joely Richardson e Tilda Swinton, attrice dallo spiccato temperamento e dalla forte presenza scenica.
VOTO **1/2
14) BAD POEMS di Gábor Reisz - Ungheria
Crucci d'amore, ricostruzione di vite vissute di corsa o troppo superficialmente per rendersi conto di come si è arrivati alle difficoltà che ci caratterizzano ora.
E siccome è la tristezza che spesso aiuta a far riflettere, e a ripercorrere, quando ormai è troppo tardi, i momenti del passato non adeguatamente soppesati, ecco che quando il nostro trentenne Tamàs viene lasciato a Parigi dalla sua innamorata (ma non troppo) Anna, il giovane si ritrova a rivivere e riaffrontare, in complicità con i vari se stesso piu' giovani delle differenti età della propria giovinezza, i momenti culminanti che hanno dato la svolta alle proprie esperienze amorose, cercando di disporsi più coscientemente a maturare una propria più meditata consapevolezza di se stesso.
Tradotto: aria fritta, che tuttavia l'estroso e furbetto regista ungherese Gàbor Reisz, già conosciuto (ed incongruamente premiato col riconoscimento della critica) qui al TFF pochi anni orsono col precedente ed altrettanto debole "For some inexplicable reason", sa gestire con indubbia disinvoltura ed estro sia scenico, sia narrativo.
Ma si ritrova - il Reisz - qui anche interprete del ruolo da protagonista, a far cornici carine attorno ad una materia che si avvicina all'inconsistenza, dando vita ad un filmino che ammicca furbescamente, e giostra, al pari di un abile prestigiatore, stucchevolezze e convenevoli, privilegiando la forma a scapito della sostanza.
VOTO *1/2
15) NERVOUS TRANSLATION di Shireen Seno - Filippine
Yael è una bella bimba con un problema di psoriasi alle braccia, timida e riservata ma profonda, che trascorre molto tempo da sola entro un suo mondo fatto di una piccola cucina con cui farsi piccoli pranzetti, di momenti in cui scrivere, posto che parlare e giocare con i coetanei non le riesce molto naturale.
Una madre affettuosa ma spesso fuori per lavoro, un padre amatissimo via da mesi che lei riascolta in cassette preregistrate.
Uno zio gemello del padre con cui la bimba tenta un approccio sostitutivo del genitore.
Siamo a fine anni '80, alla fine della dittatura di Marcos, in un paese soggetto a devastanti inondazioni.
Shireen Seno racconta fi certo cose autobiografiche, ma l'emozione latita, anche se, gliene diamo atto, la forza di evitare carinerie inutili è già un pregio per nulla scontato del piccolo, incerto film d'esordio della regista.
VOTO *1/2
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