50 anni orsono, 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO veniva presentato in anteprima nelle sale statunitensi: e nasceva l’evento destinato a restare alla storia. Innanzi tutto come opera d’arte complessa, colma di spunti e riflessioni profonde, stimolanti ma anche inquietanti, sulle incognite che circondano la nostra esistenza nell’universo; poi come film di fantascienza meraviglioso che si mantiene nel tempo senza perdere smalto, ma anzi rivalutandosi ed acquisendo connotati e caratteristiche che lo arricchiscono anche quando la descrizione del futuro appare meno incisiva e più fantasiosa di quel che accadde realmente; infine come precursore brillante di un futuro che oggi è ormai un passato, e ci costringe a riflettere su ciò che è stato nel percorrere cinquant’anni di progresso instancabile ed irrefrenabile, ove molte circostanze hanno superato le previsioni attese (la scena della “videochiamata” a casa con la scheda magnetica, forse risulta datata anche tornando al 2001), mentre altre risultano nel film ancora oggetto di fantasia fantascientifica e ben lungi dall’essere messe a punto (la possibilità per un equipaggio umano di raggiungere pianeti lontani del nostro sistema solare come Giove).
Solo a qualche ora da questo evento, memorabile per la storia del cinema, accaduto 50 anni orsono, mi accadeva di venire al mondo: in quel rivoluzionario e caldo 1968 divenuto memorabile per varie ragioni: circostanza fortuita, questa mia nascita, che tuttavia mi fa sentire in qualche modo ancora più personalmente coinvolto all’interno di quello che, con molte ragioni, viene riconosciuto come il punto massimo mai espresso dall’arte cinematografica, o almeno, per i meno esaltati al riguardo, opera d’arte fondamentale e più riuscita nell’ambito del variegato genere cinematografico della fantascienza, dalla nascita del cinema in avanti.
Certo, tutti questi decenni di visioni ripetute (il film, al pari di molti altri in capo all’autore, è stato oggetto di molte opportune e meritate riedizioni in sala, quasi una ogni decade) ci hanno ogni volta consentito di percepire sfaccettature dapprima magari inesorabilmente tralasciate, soprattutto a causa della complessità e della densità narrativa, ma anche e soprattutto concettuale, che quest’opera, strutturata in quattro parti distanziate nel tempo o di millenni, o solo di poche decine di anni, talvolta solo di mesi, presenta come elemento di spicco.
Certo oggi pensare di poter scrivere qualcosa di originale e realmente nuovo, di interessante, o forse addirittura di sensato, a proposito di questa pietra miliare della cinematografia di tutti i tempi, è cosa ardua da riuscire anche solo a razionalizzare.
Pertanto approfitterei dell’ultima, e sempre entusiasmante occasione con cui ci è stato riproposto, in versione restaurata, il capolavoro di Stanley Kubrick, per rivangare il mio primo, controverso approccio giovanile con questo capostipite della fantascienza.
Correva l’estate dell’anno 1979 e già da qualche periodo mio papà era solito accompagnare la mia sorella gemella Valeria e me, a vedere qualche film di richiamo della stagione, o le repliche di titoli di successo degli anni precedenti.
L’estate si approfittava della vicinanza di casa nostra col glorioso e scalcagnato cinema all’aperto Odeon di Imperia Oneglia, che ci richiedeva lo sforzo di appena 10 minuti a piedi per raggiungerlo, e che ogni sera programmava un titolo differente, con particolare riguardo a poliziotteschi di successo, film erotico-sexy scollacciati e grevi in voga in quegli anni, con gli inesauribili Pierino-Vitali/Banfi/Montagnani e le “bonone” Edwige Fenech/Nadia Cassini/Annamaria Rizzoli/Barbara Bouquet… e potrei continua, per non parlare della coppia milionaria Spencer/Hill, o di Giuliano Gemma e i suoi “Angeli che mangiano fagioli”, presente ogni anno puntuale almeno come il dittico su Trinità.
Un cinema, questo Odeon, di cui riservo un ricordo tenero e profondo, fatto anche di odori e situazioni; un locale già trascurato a quei tempi, con sedie di legno traballanti, circondato da siepi mal tenute che finivano per formare una mezza giungla, barricata sempreverde e perennemente più invadente sul pubblico seduto in platea, e rifugio prezioso di una banda di maldestri gatti semi-selvatici, tollerati a tal punto dai gestori (tra costoro ricordo ancora il timore riverenziale che mi incuteva la cassiera attempata ma irriducibile, resa d’aspetto autoritario in forza di una cofana di capelli grigi enormi raccolti con uno chignon d’altri tempi) che succedeva spesso di intravedere sullo schermo, centuplicati nelle dimensioni, le forme sinuose dell’ombra del felino che, incurante delle esigenze del pubblico, procedeva in passerella davanti alla cinepresa, conquistando per un attimo il ruolo del protagonista.
Dalle finestre dei palazzi attigui invece, piccoli gruppetti di gente invitata dai proprietari degli alloggi adiacenti, si crogiolava sui terrazzini a guardare a sbafo, ma tollerati dagli esercenti per via del sonoro aperto ai quattro venti, i film in programmazione, nuovi per ogni sera, suscitando la mia incommensurabile invidia nei loro confronti.
Nel 1978 rimasi letteralmente folgorato (ma la cosa successe praticamente a tutti i cinquantenni di oggi, all’epoca decenni come me) dopo la visione, sempre in questo cinema di quartiere, del fenomenale “Guerre stellari”: da quel momento la fantascienza divenne il mio genere preferito (poi qualche anno dopo, grazie a Dario Argento e alle emozioni provate con la visione di Phenomena, mi dedicai principalmente all’horror), e tentai di replicare, ma invano, l’emozione non perdendomi quasi nessuno dei filmetti italiani a low budget che, nei mesi seguenti, vennero prodotti in rassegna da artigiani come Luigi Cozzi e altri temerari sull’onda del grande successo, sperando di bissarne il successo, in quel caso planetario, accontentandosi seppur di un riscontro almeno nazionale, oltre che l’eventuale riscontro in paesi lontani del Sudamerica.
E poi successe che, tra una “coscialunga e una scazzottata”, uscì nuovamente in sala “2001 Odissea nello spazio”; e che papà proponesse, a mia sorella ed a me, di andare finalmente a vederlo.
L’attesa era spasmodica, almeno in me, anche se il dubbio che il film potesse risultare non all’altezza del mitico film di Lucas, aleggiava già tra i miei pensieri, memore delle delusioni con i B-movies di cui sopra.
Ora, al di là della buona fede del mio genitore, è comprensibile (spero), mettersi nei panni di un undicenne che trova tutt’altro che brutto il film-capolavoro di Kubrick, ma certo una cosa differente rispetto all’avventura spasmodica e senza tregua che offre al contrario la vicenda di Luke, Leia e Han Solo. Fatto sta che il film mi pietrificò nella sua prima parte (L’alba dell’uomo), mi incuriosì nel secondo episodio (TMA-1), quello del viaggio sulla base lunare da parte di un alto esponente delle missioni spaziali, inviato per indagare sul ritrovamento del monolite già al centro della vicenda del primo capitolo; mi lasciò perplesso “Missione Giove”, ovvero il capitolo più noto, con cui il nostro protagonista (un atletico Keir Dullea) scampato ai sotterfugi del robot ribelle e con crisi di identità HAL9000, cerca con tutte le difficoltà del caso di isolarne gli effetti malefici e perniciosi; mi risultò ostico ed incomprensibile il quarto ed ultimo capitolo, “Giove e oltre l’infinito”, in cui l’esperienza di un faccia a faccia con l’universo da parte del nostro coraggioso astronauta, crea nell’uomo la visione di un mondo sospeso tra ricordi e un ambiente domestico ma pur sempre avveniristico, in cui gli effetti spazio-temporali giocano ruoli incomprensibili alla mente umana, e al nostro stesso protagonista, che in qualche modo rinasce dopo un invecchiamento forse precoce, forse ritardato all’infinito.
Il "povero" ex Cinema Odeon di Imperia, divenuto il simbolo del degrado cittadino
Non posso dire di esserne uscito deluso, ma sicuramente scosso, sconcertato, preparato com’ero a vivere una esperienza quasi unicamente epidermica che le “galassie lontane lontane” di Lucas provocano ancora oggi sugli spettatori e i fan della serie.
Ma se “Guerre Stellari” rimane l’emozione forse più genuina del cinema della mia infanzia, “2001” rimane, anche per me, il capolavoro assoluto ed indiscutibile, che non solo non invecchia nonostante le inevitabili discordanze tra un futuro ora passato immaginato tuttavia con grande lungimiranza, ma acquisisce una purezza di significato e offre una libertà di visione ed interpretazione dei misteri del creato che, pur non dandoci risposte, ci aiuta più di tante altre basi anche autorevoli, a riflettere sulle incognite senza risposta che regolano la nostra esistenza sul questo piccolo pianeta.
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