3 giugno: a metà festival, cominciano ad uscire dei pezzi grossi.
L'arrière-pays di Jacques Nolot si presenta come lo sfogo artistico di un essere umano che ha bisogno di esorcizzare alcuni aspetti della sua esistenza. Il film, che parte in apparente sordina per immergere in una quiete quotidiana che sa di malinconia e di morte, ma anche di pacatezza come in un Ozu dai sentimenti inesplosi, arriva poi a una seconda parte in cui a poco a poco, anche a livello estetico, vanno a equilibrata convergenza le due dimensioni della vita di Jacqui: la quiete ristagnante della famiglia e del paese natale, e le pulsioni di vario genere generate dall'inconscio e pronte a ripresentarsi. Così alla fine il primo lungometraggio di Jacques Nolot, da confrontare con La matiouette di André Téchiné su un soggetto analogo, si fa ricordare per la sua disperata quiete e lungimirante delicatezza.
Voto: ***1/2
Probabile capolavoro di questa edizione del festival - quasi sicuramente il lungometraggio migliore fra quelli in concorso - A discrétion di Cédric Venail è teoria e pratica del campo/controcampo per uno dei soggetti più inquietanti e angosciosi del 2017. Insistendo sui volti dei due attori protagonisti (fra cui, ancora, Jacques Nolot), Venail rimanda apparentemente all'esterno della stanza in cui i due discutono, ma nella realtà propone una visione del Cinema che non è la ricerca dell'invisibile, ma l'appagamento per il visibile. Il problema è che non è detto che simile approccio sia più confortevole; anzi, il film è un tirannico e disturbante gioco formale che sembra riabilitare definitivamente il silenzio come strumento alfa-e-omega della Settima Arte. Il silenzio fra una battuta e un'altra, e la suspense che ne consegue, non ha niente di fisico ma sembra trascendere in un'angoscia un po' metafisica un po' filosofica, legata fondamentalmente al tema del voyeurismo. Infatti il film narra di un giovane produttore che "intervista" un uomo che, apparentemente, in tempi passati frequentava un luogo misterioso fatto per "guardare la gente senza poter essere visti". Nelle continue descrizioni di luoghi e situazioni più o meno normali, a pesare maggiormente per lo spettatore è il concetto di sguardo e di osservatore, un peso che a livello filmico si manifesta nell'inquietante distanza morale che il personaggio-Nolot ha rispetto agli oggetti delle sue "osservazioni", mentre a livello profilmico è dettato sia dall'insistenza di un montaggio rigoroso e apparentemente essenziale, sia da un finale - per chi scrive - terrificante, in cui non ha importanza darsi una spiegazione narrativa, ma in cui è importante percepire un contraddittorio compimento estetico in chiusa di un confronto serrato, allusivo e misterioso fra due personaggi. Checché ne dica Venail in sede di Q&A dopo la proiezione qui al Sicilia Queer, un film teorico di Cinema e sul Cinema, una sottolineatura autocosciente e anche molto autoconvinta di ciò che è perverso e amorale nel guardare.
Voto: ****
Di tutt'altra pasta, purtroppo, As Boas Maneiras di Juliana Rojas e Marco Dutra, noioso e infinito pasticcio privo di tensione e di qualsivoglia fascino visivo, strutturato sulla farraginosa idea di dividere la pellicola in due film ben distinti e di azzardare un soggetto stralunato che la tecnica e lo sguardo del regista non riescono a sostenere. Sembra un film che involontariamente tratti del concetto di sospensione dell'incredulità: le assurdità di anti-logica narrativa si accumulano a tal punto da far risultare il film quasi un trash irrimediabile in più momenti.
Voto: *1/2
Si chiude la giornata con lo spiritosissimo Occidental di Neil Beloufa, tra il François Ozon di Gouttes d'eau e dolly fassbinderiani; tutto ambientato in un albergo vistosamente ricostruito in studio, una pochade rocambolesca in cui le tinte gialle si mischiano all'amour fou senza soluzione di continuità e senza garantire alcun appiglio allo spettatore genuinamente disorientato. Poi in realtà si fa un po' fatica a capire se si uscirà dalla matassa di situazioni che si accumulano, o se il gioco è in se stesso quello di perdercisi, ma sta di fatto che la regia riesce ad accompagnare ottimamente questo disorientamento, pur riservandosi vezzi visivi gratuiti, entusiastici e involontariamente macchiettistici. Certo non da prendere sul serio, certo interessante, ma certo non abbastanza interessante da spingere ad analisi eccessivamente approfondite; un film da subire e non da pensare, l'importante è che arrivi qualche ghiotta risata prima dei titoli di coda.
Voto: **1/2
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