A dare inizio alla maratona del 2 giugno ci hanno pensato alcuni corti della selezione Queer Short.
Rafael Last Time Seen di Rafael Valério sembra un pianosequenza di diploma di qualche piccola scuola cinematografica, con un'idea di cinema basata sulla singola trovata ad effetto con cui veicolare brutalmente l'intera materia estetica. Ciò non toglie che eventualmente la piccolissima sorpresa finale sia esclusa.
Voto: **
Ha'rav di Uriya Hertz è accademismo puro, molto più del corto precedente, benché gli si possa concedere il merito - poca, poca roba - di lasciare la tematica, di per sé invadente, nel non detto.
Voto: **
Dances di Ramon Watkins (cognome impegnativo) è uno scherzetto al confine con il videoclip in cui alcune persone ballano in luoghi che ricordano This is America di Childish Gambino, mandando idealmente messaggi su una chat immaginaria con i fumetti sospesi a mezz'aria. I temi sono razzismo, omofobia e discriminazione, ma tutte le figure umane ballerine sono costrette in uno stesso ritmo che annulla le differenze, ritmo perseguito da una regia che ci ricorda che il videoclip può esistere anche al Cinema.
Voto: **1/2
Ci si sposta poi al Goethe Institut per visionare un pezzo raro che proviene dal cinema francese anni '80, cioè a dire La matiouette ou l'àrriere pays di André Téchiné, scénario e testo teatrale originale di Jacques Nolot, anche interprete. Un uomo - alter ego dello stesso Nolot, ma non interpretato da Nolot - torna nel suo paese natale, e incontra il fratello maggiore coiffeur - interpretato da Nolot - con cui inizia un confronto agguerito sulle ragioni delle scelte di vita dell'uno e dell'altro. Mentre il resto del mondo all'esterno rintrona solo nelle loro parole, con un rispetto pedissequo ma essenziale per l'impianto teatrale, Téchiné avvolge i due personaggi in un clima teso e analitico, che assume i tratti di un psicodramma da camera senza un attimo di requie, se non in rari istanti lirici e puramente cinematografici che, a quel che dice lo stesso Nolot (presente in sala a presentare il film qui al festival), sono gli istanti di silenzio, quelli impossibili a teatro.
Voto: ***
Si torna alla Sala De Seta per uno dei lungometraggi in concorso, Blue My Mind di Lisa Bruhlmann. Siamo tra il teen drama più classico, The Shape of Water, Thelma di Joachim Trier - però dello stesso anno - magari anche Spring Breakers e con estrema probabilità Black Swan di Aronofsky. Purtroppo nessuna di queste tonalità cinematografiche viene rispettata per più di un certo limite di minutaggio, trasformando il film in un ibrido poco interessante. La metafora del coming-of-age, trasformato in incubo body horror, è asfissiante e porta il film ad un unico indirizzo tematico, pur nel pot-pourri visivo; e in realtà, anche nel miscelare più generi, il film si presenta noiosamente accademico, indie, ricchissimo di assurdità di sceneggiatura, ingenuità imperdonabili.
Voto: **
Mentre al De Seta si proietta il titolo presentato finora più bello in concorso, già visto a Venezia e recensito qui, Le garçons sauvages di Bertrand Mandico (Voto: ***1/2), nella Sala Bianca del Centro Sperimentale di Cinematografia viene presentato il dittico Metamorfosi napoletane di Antonietta De Lillo, di moderna ideazione poiché il primo capitolo, Promessi sposi, risale al 1993, mentre il secondo, Il signor Rotpeter, è del 2017. Promessi sposi è un indagine tutta campi/controcampi sulla storia di una coppia di fidanzati, lei e lui che era una lei (voto: **); Il signor Rotpeter, anche questo già visto a Venezia 74, è una stralunata e sarcastica intervista all'uomo-scimmia Rotpeter di kafkiana memoria, venuto a illustrare allo spettatore del Terzo Millennio paradossi e stranezze del suo tempo, e quindi del nostro (voto: **1/2).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta