"Cahier" inteso come "quaderno degli appunti", che poi, in epoca ormai inevitabilmente digitale, assume le forme del mio fedele, ormai sin consumato, certo sfruttatissimo cellulare, strumento leggero e veloce, quando i tempi stringono, e i film si susseguono uno di fila all'altro, fino a creare 6 appuntamenti quotidiani; e non certo, se non con tutta l'ironia del caso, con riferimento al prestigiosissimo, rigorosissimo, severissimo "Cahiers du Cinema", la rivista nata con la Nouvelle vague, dai suoi stessi autori, ed ancora oggi riferimento della critica francese per eccellenza, e anche di quella "che non perdona".
Ecco come sono andate le cose, per quanto riguarda il Concorso ufficiale.
La 71 edizione del Festival di Cannes è tornata quest'anno a puntare sulla qualità, non lo affermo di certo solo io; pur rischiando ed ammettendo in gara talvolta autori poco noti o quasi debuttanti, inseriti direttamente nella sezione principale senza per questo, come di consueto, essere passati per il Certain Regard, piuttosto che la Semaine de la Critique, che la Quinzaine des Réalisaterus.
Ci lasciamo dunque alle spalle quell'edizione 2017 - quella che ha incoronato il sopravvalutatissimo e furbastro The Square - decisamente non all'altezza di quello che unanimemente viene riconosciuto, a ragione, il più importante festival di cinema del mondo.
La scelta della Giuria presieduta da Cate Blanchett, che ha premiato quasi tutti, e quasi solo titoli validi, cercando diplomaticamente con tale strategia di sbagliare il meno possibile, è abbastanza condivisibile, e fa fare, per ritagliarsi almeno un giutificato e gratificante momento campanilistico, l'en plein ai due nostri bei titoli in gara, Dogman e Lazzaro felice.
Il veder premiato col massimo riconoscimento un autore che amo e di cui conosco pressoché ogni sua opera precedente, come è il caso di Hirokazu Kore-eda, non può che entusiasmarmi; tanto più che il suo Shoplifters è davvero bellissimo, delicato, pregno di contenuti, e forse la summa ideale della sua opera, e delle tematiche care al grande cinesta giapponese.
Tutto bene, non fosse per quel premio sbagliato (il secondo per importanza, quale è il Gran Premio della Giuria) al film altrettanto sbagliato, nei toni e nei modi, di Spike Lee (sto parlando di BLACKKKLANSMAN); un regista, Lee, che gira benissimo, e che personalmente ho peraltro sempre amato (La 25° ora, SOS Summer of Sam, Inside man, Clockers, davvero grandissimi film, per citare i miei preferiti), almeno finché non ha trasformato la sua sacrosanta battaglia anti-pregiudizio e antirazzista, in una sorta di ricatto morale ai danni di chi, anche legittimamente, si "dimentica", magari con buone e sacrosante motivazioni di natura stilistico-qualitativa, di premiare, nelle occasioni ufficiali, opere inerenti la causa "black", magari di provenienza dalla factory del celebre regista/produttore: quasi un ricatto morale per un regista innegabilmente impegnato verso una causa assai legittima e doverosa, ma che talvolta e sempre più di recente ha oltrepassato, a mio giudizio, ogni ragionevolezza di denuncia, favorendo il proliferare di polemiche spesso sterili, se non ottuse. E se non fosse che, nel premiare un pò tutti, ci si è dimenticati del film a mio giudizio (ma non solo mio) più potente, più importante, più maturo e riuscito di tutto il festical: EN GUERRE, del gran regista francese Stephane Brizé, rimasto completamente ed inverosimilmente a bocca asciutta, avrei potuto dire che si sarebbe trattato di una edizione perfetta.
le pagelle dell'edizione quotidiana ormai storica della rivista di cinema "Le film francais", appuntamento fisso per conoscere le reazioni della critica
BREVE STORIA DI UN CINEPHILE:
Ho iniziato a frequentare le sale del Festival ben 23 anni orsono, quando (era il 1995), entrai per la mia prima volta nella prestigiosa sala Lumière a vedere "Partie de campagne", film muto di Renoir restaurato in occasione della abituale rassegna Cannes Classic: fui letteralmente "raccolto tra la folla", scelto perché in quel momento indossavo un abito abbastanza elegante, e la sala non era piena come desiderato, e pertanto necessitava riempirla: onoratissimo di averlo fatto. Dall'anno successivo cominciai a seguire assiduamente, da spettatore pagante, la prestigiosa Quinzaine des Réalisateurs, che proprio quest'anno - lei come pure il sottoscritto fra pochissimo - ha compiuto i suoi primi 50 anni.
Ricordo ancora l'emozione del primo accesso al Palais Croisette (ex Palais Stephanie, ex Noga Hilton), e quel film semisconosciuto ungherese (penso che qui nel nostro sito nemmeno esista la scheda a tal proposito) di Peter Gothar, Vaska l'arsouille: un delirio visivo di grande impatto emotivo che mi convinse, da quel momento, a non abbandonare mai più la prestigiosa rassegna sessantottina nata per dare voce agli autori giovani, e permettere al pubblico indistinto di prendervi parte, rinunciando alla cerimonia e alla ufficialità composta e pregiudizievole del tappeto rosso.
Da quattro anni a questa parte seguo l'intero festival (o quasi), tramite lapartecipazione a "Cannes Cinéphiles", una sezione ufficiale che la città del cinema ha voluto offrire a tutti i cittadini, francesi e non (ma è necessario almeno masticare un poco di lingua francese, per potervi accedere con cognizione di causa), la possibilità di condividere con un giorno di ritardo, i film delle varie rassegne, in cinema periferici posti in varie zone di Cannes.
Una bella opportunità, tra l'altro completamente gratuita, offerta a tutti coloro che dimostrino di essere iscritti o di far parte di club di cinema d'essai, cineforum, cinemateche, e altre organizzazioni culturali affini.
IL MIO FESTIVAL DI CANNES 2018:
55 i film da me visti in 9 giorni di festival, che spaziano dal Concorso, al Certain Regars, alla Semaine de la Critique, alla Quinzaine des Réalisaterus.
Inoltre Cannes Cinéphilesintegra le già abbondanti proposte con altre rassegne, come ACID (rassegna sul cinema indipendente), CINEMA DES ANTIPODES (rassegna sul cinema australiano e neozelandese), Ecran Juniors (cinema incentrato su tematiche giovanili), Visions sociales.
E l'emozione di iniziare con Mean Streets, nato proprio all Quinzaine nel lontanoi 1974, e presentato con la leggenda Martin Scorsese in sala, intervistato da quattro discepoli emozionati ed in visibilio come Jacques Audiard, Bertrand Bonello, Cedrick Clapisch e Eva Zlotowski, non ha davvero prezzo
Martin Scorsese tra le ovazioni di una sala stracolma, circondato da quattro angeli transalpini come Audiard, Bonello, Klapisch, Zlotowski.
Ecco qui di seguito la mia personale classifica di gradimento inerente quasi tutte le opere del Concorso. Capita infatti tutti gli anni che, per diverse ragioni, Cannes Cinéphiles non riesca ad accaparrarsi tutti i film di tutte le rassegne; quest'anno mancavano all'appello le opere del grande vecchio Godard, della regista libanese di Caramel, Nadine Labaki, e l'opera del maestro turco Nuri Bilge Ceylan; sarebbe mancato anche Spike lee, che tuttavia ho riacciuffato l'ultimo giorno in occasione della "reprise" di alcuni titoli. Per ognuno dei film, cliccando sul titolo, potrete accedere direttamente alla recensione, scritta un pò di fretta, ma con gran passione, direttamente dal cellulare, in piedi, nella mezz'ora di coda che distnziava un film dal successivo.
Ecco le mie preferenze in ordine dal migliore (il voto è espresso in misura da 1 a 10, ma è facilmente comparabile con le consuete stelline): - AT WAR (En guerre) di Stephane Brizé - voto 9 - THREE FACES di Jafar Panahi - voto 8,5 - SHOPLIFTERS di Hirokazu Kore-eda- voto 8,5
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