Espandi menu
cerca
Olmo Campestre
di mck ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

mck

mck

Iscritto dal 15 agosto 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 206
  • Post 137
  • Recensioni 1146
  • Playlist 323
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

Dagli appunti per un pezzo, che ancor mai ho pubblicato, su “Torneranno i Prati”.

Al tempo dell'uscita del film su l'Indice dei Libri del Mese comparve un articolo di Giaime Alonge che, tolte alcune forzature, dice cose - a 100 anni di distanza dal carnaio delle tempeste d'acciaio e al caldo del proprio tinello - non proprio banali: parla di ''Paradigma Vittimario'' (da G. De Luna) a proposito della ''retorica'' (del tutto lecita e doverosa, allora) con cui nel corso del dopoguerra sino ai '70 s'è costruita la visione comune sulla Grande Guerra (cita - non con questa diretta reciprocità - a ritroso il Rosi di “Uomini Contro”, il Losey di “Per il Re e Per la Patria”, il Kubrick di “Paths of Glory”), difetto cui - continua - non rifugge l'Olmi di “Torneranno i Prati” (e qui però sbraca letteralmente un po': come “Noi Credevamo” è stato prodotto in occasione del centocinquantenario - dice - così “Torneranno i Prati” ha ''approfittato'' dell'occasione del centenario per assicurarsi i fondi: "Si va al ministero con un progetto che si immagina possa piacere alla commissione che lo valuterà", e "E' inevitabile quindi che questo contesto produttivo finisca per incidere sulla natura stessa del film": un'esagerazione indecorosa, a parer mio). Però è molto interessante quella citazione da De Luna sul ''paradigma vittimario'', ovvero che "la guerra non fu sic et simpliciter [solo; NdR] una scelta delle classi dirigenti, contro la volontà di ceti subalterni spinti al macello da un apparato poliziesco": ovvero il fatto che la guerra incontrò sino alla fine un massiccio sostegno anche tra le prime linee. Continua: "A cent'anni di distanza, quello che stupisce di più di quei 4 [5, per il Resto del Mondo; NdR] anni di morte su scala industriale è come mai non ci furono più rivolte fra le truppe, come mai la maggior parte dei soldati andò avanti a combattere, e non solo per paura del tribunale militare"

Volgendo un pensiero al Quasimodo del "piede straniero sopra il cuore" e operando un flashforward dalla WW1 alla WW2, passando dall'attonita catatonia del massacro (dalla Grande Berta ai Gas Nervini e al Fosforo Bianco, dalle V2 a the Gadget, Little Boy e Fat Man) all'erezione di un Monumento (film-affresco, diorama, pala d'altare) al Milite Ignoto, l'orizzonte è precluso in partenza, non v'è scampo (giorno dopo giorno...) : i prati necessitano del riposo invernale e della stagione secca tanto quanto la pace e il ''dopo''-guerra della guerra?

Olmi in un certo qual modo compie un percorso inverso a Quasimodo: quanto il poeta si discosta dall'ermetismo impugnando una penna a forma di falce e martello, tanto il cineasta si allontana un poco dalla fondamentale elegia contadina, confermando questo suo peculiare eterno ritorno (“l'Albero degli Zoccoli”) alla...schiettezza: quella di "il Mestiere delle Armi/Cantando Dietro i Paraventi" come quella (di una modernità sconcertante) di "il Posto/i Fidanzati".

Ermanno Olmi

E venne l'uomo - Un dialogo con Ermanno Olmi (2016): Ermanno Olmi

Ulmus minor, Populus alba.

Olmi, ogni decennio, sul cammino del cinema, pianta una pietra miliare. 

E piccoli sassolini prezioso come “Durante l'Estate” e “la Circostanza”. 

L'Albero degli Zoccoli” è un film sul futuro. In dialogo diretto col preambolo costituito dalla quarantina di documentari industriali embedded (Edison-Volta) licenziati negli anni '50. 

E Il Mestiere delle Armi” è il prologo (e l'epilogo distopico in continua, percussiva, persistente, ostinata, ottusa in/e-voluzione) di “Torneranno i Prati”. 

Ancora, dalla WW1 alla WW2, che mai nient'e nulla cambia, ecco che l'erba diventa paglia, dentro all'isba:

"L’isba dove mi accettarono era spaziosa e pulita, e abitata da una famiglia di gente giovane e semplice. Mi preparai in un angolo sotto la finestra la cuccia per dormire. Passai sdraiato su un po’ di paglia tutto il tempo che rimasi in quella capanna; sempre lì sdraiato per ore e ore a guardare il soffitto. Nel pomeriggio c’erano nell’isba solo una ragazza e un neonato. La ragazza si sedeva vicino alla culla. La culla era appesa al soffitto con delle funi e dondolava come una barca ogni volta che il bambino si muoveva. La ragazza sedeva lì vicino, e per tutto il pomeriggio filava la canapa con il mulinello a pedale. Io guardavo il soffitto e il rumore del mulinello riempiva il mio essere come il rumore di una cascata gigantesca. Qualche volta la osservavo e il sole di marzo, che entrava tra le tendine, faceva sembrare oro la canapa e la ruota mandava mille bagliori. Ogni tanto il bambino piangeva e allora la ragazza spingeva dolcemente la culla e cantava. Io ascoltavo e non dicevo mai una parola. Qualche pomeriggio venivano le sue amiche delle case vicine. Portavano il loro mulinello e filavano con lei. Parlavano tra loro dolcemente e sottovoce, come se avessero timore di disturbarmi. Parlavano armoniosamente tra loro e le ruote dei mulinelli rendevano più dolci le voci. Questa è stata la medicina. Cantavano anche. Erano le vecchie canzoni di sempre: Stienka Rasin, Natalka Poltavka e i loro antichi motivi di balli. Guardavo per ore e ore il soffitto e ascoltavo. Alla sera mi chiamavano per mangiare con loro. Mangiavamo tutti nel medesimo recipiente con religiosità e raccoglimento. Ritornava la madre; ritornava il padre; ritornava il ragazzo. Solo alla sera ritornavano il padre e il ragazzo; si fermavano poco, ogni tanto guardavano dalla finestra e poi uscivano insieme sino alla sera dopo. Una sera che non vennero la ragazza pianse. Vennero al mattino. Il bambino dormiva nella culla di legno, che dondolava leggermente sospesa al soffitto; il sole entrava dalla finestra e rendeva la canapa come oro; la ruota del mulinello mandava mille bagliori; il suo rumore sembrava quello di una cascata; e la voce della ragazza era piana e dolce in mezzo a quel rumore"

Mario Rigoni Stern, il Sergente nella Neve. Ermanno Olmi è morto oggi, ad Asiago ("a baita", cittadino/campagnolo/compaesano del mondo intero).

Poi, certo: neanche la parola può. Dire. Restituire. Nulla. Della trincea.  

Il "mio" Olmi è quello de "i Recuperanti". Il mio olmo novecentesco.

Ermanno, ovvero: "Uomo d'Armi, Uomo dell'Esercito, Guerriero, Soldato": mai etimo fu più letteralmente errato come nel caso in questione; poi, un regista deve - anche - saper comandare, certo, con polso fermo e autorevolezza: caratteristiche che non gli erano affatto estranee. 

Il regista di "Sabbioni", "la Diga del Ghiacciaio", "Cammina Cammina", "Milano '83", "il Villaggio di Cartone", "Vedete, Sono Uno di Voi" è [stato; sic, et simpliciter] un uomo moderno. Contemporaneo. Avvenirstico pioniere. Precursore di futuro. Prossimo nostro.

E torneranno i prati anche domani, in quel che resta della pianura superstite all'asfalto e al cemento, e torneranno sulle pendici dei monti, cercando di strappare un posto al sole ai boschi che avanzano dilagando inseguendo le genti che spopolano le montagne in fuga dalla fame che un tempo, appena ieri, era sopravvivenza e oggi è miseria: gli smeraldini mari d'erba grassa pasciutasi dei cadaveri e irrigata dal sangue versato ricolonizzeranno i fertili pascoli pestati e resi temporaneamente sterili dal passaggio dell'orda di scarponi, zoccoli, ruote e cingoli.  

"L'è anda' inscì".     

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati