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REGISTI CHE CONTANO#11 - HENRI-GEORGES CLOUZOT: IL MAESTRO DI UNA SUSPENCE CHE NASCE DALLE PIEGHE DI UNA VITA AGRA, MESCHINA, TUTTA COMPROMESSI, E DALL'ARTE DI ARRANGIARSI PER SOPRAVVIVERE.
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Henri-Georges Clouzot

Il mistero Picasso (1955): Henri-Georges Clouzot

Essere considerati registi cult, simboli di un paese o di un genere cinematografico, non significa necessariamente esser stati registi prolifici, né tantomeno essersi accaniti a praticare un determinato genere cinematografico. Ce lo siamo già detti proprio in una dei  precedenti post monografici, e lo ribadiamo in questa sede. Kubrick è il maestro insuperato che è, sapendo affrontare quasi ogni genere cinematografico, anche limitandosi ad essere l'autore di una decina di film, seppur pressoché tutti capolavori.

Nel suo "piccolo", si fa per dire ovviamente, HENRI-GEORGES CLOUZOT è stato, senza dubbio alcuno, uno tra i più grandi registi francesi di tutti i tempi, pur avendo all'attivo "solamente" una dozzina di film, di cui conosciuti universalmente, probabilmente solo 2-3: IL SALARIO DELLA PAURA, I DIABOLICI, e probabilmente almeno pure IL CORVO.

Il regista della suspence, questo il genere per cui verrà a buon titolo e piuttosto coerentemente ricordato per sempre, grazie proprio alla capacità di saper creare, costruire e rendere palpabile la tensione, ad un livello che ancora oggi, nel guardare proprio una di queste tre opere citate, riesce ancora a creare nello spettatore una sensazione di ansia durevole, perdurante, e concreta. Senza peraltro il ricorso a musiche ad effetto, che da sempre, ad esempio con il maestro indiscusso Hitchcock, sono state una delle chiavi per la riuscita e la divinazione di alcune delle molte sequenze del gran regista londinese, passate alla storia. 

Clouzot tuttavia, anche quando si è dedicato alla commedia, spesso sofisticata e frizzante, al dramma a sfondo bellico e interraziale, alla spy story più comlicata e arrovellata, non ha tuttavia mai smesso di interessarsi ai caratteri e alle sfaccettature dei molti personaggi, anche minori, che hanno sempre sovrappopolato i suoi film. 

Personaggi spesso sanguigni, approfittatori, falsi, tendenziosi, o pieni di vita, di slanci amorosi, come al contrario irosi e assetati di vendetta. 

Quasi a significare che la suspence, le situazioni da thriller, sono solo il frutto di un atteggiamento di vita portato alla esasperazione a causa della congenita difficltà di vivere su questo pianeta, e della capacità dell'essere umano di complicarsi sempre la vita, cercando di sopraffare chi fino a quel momento sta meglio di lui.

Certo Clouzot ha vissuto momenti difficili, anche ad inizio carriera: la faticosa gestazione de Il Corvo, girato in pieno secondo conflitto mondiale tra mille difficoltà ed incertezze, mise in cattiva luce il regista, reo di aver rappresentato e reso pubblica una immagine del popolo di provincia fosca ed oscura, quasi resa succube del nefasto clima mortifero e guerrafondaio di quegli anni terribili di una Francia divisa in due dal nazismo dilagante. Clouzot ha indubbiamente sofferto per la prematura scomparsa della moglie brasiliana Vera, attrice ed autrice/ispiratrice di alcuni suoi lavori, interprete indimenticata di suoi tre film fondamentali (Vite Vendute, I Diabolici, Le spie), donna amata, quasi venerata come una piccola dea nel suo corpo minuto ma sensuale e proporzionato, al punto da farla figurare sempre nelle locandine dei tre film, anche quando il suo ruolo (come in Vite vendute e Le spie) risulta di fatto quantitativamente di secondo piano, ma non certo minore; una donna dalla sorte tragica, una fine prematura, una morte avvenuta in circostanze incredibilmente e beffardamente simili alla fine a cui fu destinata la protagonista della sua migliore e più completa prova d'attrice: un decesso per infarto, a seguito di uno spavento. La medesima circostanza accaduta, nella finzione alla maestrina ereditiera dal cuore debole Christina Delasalle, vittima di un marito "diabolico", e di una collega falsa amica ancora più mefistofelica.

Henri-Georges Clouzot

Legittima difesa (1947): Henri-Georges Clouzot

Infine Clouzot stesso ha vissuto lui stesso intensamente, certo, ma quantitativamente relativamente poco, essendosi spento all'età di settant'anni nel 1977, e per questo rendendoci spettatori orfani anzitempo di un talento che probabilmente avrebbe potuto ancora esprimersi con chissà quali altri gioielli, rimasti invece inesorabilmente per sempre nel limbo delle opere incompiute per sempre.

Qui di seguito troverete ripercorsa tutta la filmografia del grande autore, rispettando un ordine strettamente cronologico, con una breve impressione  relativa ad ogni film, e la possibilità di accedere eventualmente all'intera recensione, semplicemente cliccando sul titolo che più vi interessa. Buona lettura.

locandina

L'assassino abita al 21 (1942): locandina

1942: L'ASSASSINO ABITA AL 21

Un thriller scoppiettante, ironico, pieno di siparietti cabarettistici strafottenti e pimpanti che lo rendono anomalo, bizzarro ma anche appassionante: così si presenta questo esordio nella regia del grande cineasta francese Henri-Georges Clouzot (che continuerà a manifestare una certa ossessione nei confronti del crimine firmato nel successivo tormentato e dalla gestazione problematica “Il Corvo”), che tuttavia ci sorprende con riprese dalle soggettive mobili, che seguono morbosamente l’assassino, entrando nelle sue gesta, impadronendosi del suo spazio visivo per infierire direttamente – noi del pubblico – sulle povere vittime, partecipi, complici nostro malgrado delle efferate gesta dell’abile assassino. VOTO ****1/2

1943: IL CORVO 

Girato tra mille difficoltà – sia commerciali che di carattere pratico, legate anche alla guerra in corso in quei problematici tremendi anni - Il Corvo entra nel vivo dell’ambiente pettegolo di paese per dare una sferzata ad un mondo pervaso da una facciata benpensante, che vive con la subdola regola del “predicare bene, e razzolare male”, e riesce a rendere molto bene i sotterfugi, i rancori, gli odi senza remore che vivono e si alimentano anche tra la apparente calma di un semplice borgo di paese. VOTO ****

1947: LEGITTIMA DIFESA

Splendide scenografie di quartiere (il Quai des Orfèvres del ben più pertinente titolo originale, che si riferisce all’indirizzo della centrale di polizia), una immacolata e assai suggestiva nevicata di sottofondo creata con l’ausilio di piume di pennuto, gran ritmo, brio, e un pizzico di tensione per un film che ha consentito a Clouzot di riaffacciarsi nel mondo del cinema dopo esser stato messo quasi al bando a seguito delle polemiche nate, in piena guerra, con l’uscita de Il corvo; qui il regista non rinuncia a perdersi nei ritratti umani, soffermandosi su vezzi, pettegolezzi, curiosi incedere della gente di quartiere: personaggi amati dallo stesso cineasta, che ci si sbilancia generosamente nella descrizione di tratti fisici ed umorali,  nelle schiettezze e veracità popolane che non riescono tuttavia a sviarlo da un percorso principale che resta l’intrigo criminoso con tanto di morto ammazzato. VOTO ****

1948: MANON

Dall’opera originale datata 1731 “Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut”, settimo libro dell’opera Mémoires et aventures d’un homme de qualité” di Antoine Francois Prévost (ovvero l’abbé Prévost), Henri-Georges Clouzot traspone la sua complessa vicenda storica-spionistica, dai risvolti umani nella storia d’amore contrastata e controversa, e ambientata solo pochi anni prima l’uscita della pellicola, durante le fasi della fuga degli ebrei superstiti dal genocidio in atto.

Clouzot fonde con abilità il noir con un sottofondo di denuncia che getta uno sguardo profondo ed assai drammatico sulla bestialità umana, sia essa rapportata al singolo caso, che rende l’uomo una belva irosa e assetata di vendetta, sia a livello di popolo, nel seguire, seppure in sottofondo, un esodo di massa che passa da un genocidio “istituzionalizzato” ad un massacro proprio nel momento di raggiungere la fatidica e tanto agognata terra promessa. VOTO ****

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Ritorna la vita (1949): locandina

1949: RITORNA LA VITA

Variegato ed appassionato film ad episodi in cui quattro registi francesi ci raccontano le drammatiche vicissitudini di un riadattamento alla vita: circostanza che ha riguardato certo pochi fortunati, comunque ognuno alle prese con i propri traumi subiti, le proprie ferite fisiche e psicologiche destinate a rimanere per tutti gli anni avvenire.

Cinque storie di diverso spessore e tenore narrativo, complessivamente quasi tutte almeno interessanti, tra le quali primeggiano, e non cero a caso, le due dirette dai due registi più famosi del gruppo: Cayatte e soprattutto Clouzot, in ottima forma entrambi, impegnati nelle due vicende più crudeli, figlie di un’epoca fosca tutta orrori e violenze, deportazioni e prigionie.

Clouzot in particolare non perde occasione per circondarsi di un coro di personaggi che fanno capo ad un peotagonista-fulcro sul quale converge tutta la dolorosa, spietata, ma anche molto umana vicenda, misto controverso di compassione a cui si sostituisce ahime' un rancore incontrollato e letale che trasforma l'uomo in belva..

Ed il suo rimane l'episodio più potente e caratterizzante tra tutta la buona media degli altri. Primeggia la presenza istrionica, rabbiosa e dolorosa, del claudicante protagonista, a cui un fantastico e umorale Louis Jouvet dà volto e corpo con la solita verve e ispirazione da fuoriclasse.VOTO ***1/2  al film, VOTO**** all'episodio di Clouzot

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Un marito per mia madre (1949): locandina

1949: UN MARITO PER MIA MADRE

Clouzot adora la voce del popolo, la sua malizia, ed ama descriverne le bassezze, i sotterfugi, le meschinità più celate, quelle che arrecano danno e fanno male, ma arrecano insana soddisfazione nelle menti diaboliche che le escogitano: tutte circostanze che rendono stupendi i suoi personaggi di contorno.

Qui con Miquette la commedia si fa sofisticata, scatenata con i ritmi indiavolati e brillanti che sembrano aspirare allo stile americano di Hawks (quello dell'impareggiabile Susanna!, per intenderci), con una protagonista dal timbro di voce civettuolo e svelto che pare una macchietta, ma che risulta anche spesso divertente.

Non tutto funziona alla perfezione, peraltro, e nella giravolta frenetica di vicissitudini e tranelli, tra litigi, battibecchi a volte davvero divertenti, tra supplellettili e porcellane in frantumi, non sempre il ritmo appare consono alle situazioni.

Ma il film, brillante e ben ambientato in un passato già lontano agli inizi anni '50, appare un buon diversivo in cui osa avventurarsi il bravo regista, come a dimostrare di saper lavorare con destrezza su più fronti, allontanandosi per una volta dai territori più familiari del thriller e della suspence che lo hanno reso uno dei più amati autori francesi e non solo. VOTO ***1/2

1953: VITE VENDUTE (IL SALARIO DELLA PAURA)

Dopo averci descritto assiduamente e nei dettgli, senza paura di perdere troppo tempo, volti, persone, comportamenti e temperamenti, 

la vera vicenda prende il suo corso con l’incarico impossibile che vede coinvolti quattro predestinati, la cui personalità ci è stats ampiamente raccontata; ed in film da quel momento catapulta lo spettatore entro un percorso ad ostacoli che sadicamente lo trascina quasi come a trovarsi all’interno dell’abitacolo scomodo e disadorno dei due mezzi coinvolti, assieme ai quattro disgraziati sbandati. La tensione è palpabile come mai, e Clouzot riesce a gestire la tensione ancora una volta senza ricorso ad atmosfere musicali fuorvianti o comunque sin troppo facili per coadiuvare e agevolare il coinvolgimento: pura maestria della messa in scena, e il rimando ad un evento fatale che anche quando avviene, lo si intuisce dai particolari (il tabacco da arrotolare che vola via, come conseguenza di una deflagrazione spaventosa a breve distanza del camion in testa al piccolo convoglio), non dall’effetto nel suo avvenire, se non a distanza, tra gli occhi esterrefatti dei due sopravvissuti.

E le inquadrature sulle ruote che slittano nella melma, o in bilico tra le palizzate pericolanti di una curva impossibile da gestire, la necessità di mantenere una velocità che impedisca al camion di vibrare a seguito delle asperità malefiche di un terreno che il deserto e la siccità hanno reso come una crosta porosa e piena di insidie.

Clouzot non dimentica nulla, nemmeno il maligno dirompente sberleffo finale, a suggello di una disperazione che vanifica ogni sforzo, ed ogni maledetta e diabolica impresa impossibile. CAPOLAVORO ASSOLUTO. VOTO *****

1954: I DIABOLICI

Nel suo film più famoso e riuscito (assieme a Vite vendute), H-G. Clouzot dirige uno dei capisaldi del thriller francese, teso e concitato, diabolico come il titolo che lo contraddistingue.

La risposta transalpina al thriller magistrale di scuola hithcockiana.

Magnifico il terzetto attoriale protagonista di un complotto incredibile: Simone Signoret, femme fatale infingarda, Paul Meurisse, odioso da suscitare ribrezzo, e Vera Clouzot, fragile e per questo meritevole di ogni attenuante, nella vita consorte sceneggiatrice del regista, impegnata da protagonista assoluta in una delle tre sue apparizioni da attrice, nel ruolo della moglie infartuata oggetto dello sfaccettato complotto, e curiosamente e cupamente destinata nella vita vera, solo pochi anni dopo, ad una fine non molto dissimile a quella del suo bel personaggio. Ne I diabolici, la suspence diviene palpabile anche senza servirsi strumentalmente di un briciolo di colonna sonora a supporto, e la macchina del gran regista, dopo essersi quasi persa tra il folklore di una moltitudine di personaggi bonari o talvolta proprio buffi (tra questi un professore è interpretato da un giovane Michel Serrault) si piazza questa volta a ridosso della vittima designata, riuscendo a rendere epidermica la tensione in un finale da cardiopalma…. a cui segue una accorata, pertinente e pure ironica raccomandazione del regista, del seguente tenore: “Non siate DIABOLICI! Non vanificate l’interesse che il film potrebbe suscitare sui vostri amici. Non raccontate nulla di ciò che avete appena visto. Grazie per loro conto”. Fantastico, sin commovente!

VOTO ****1/2

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Il mistero Picasso (1955): locandina

1955: IL MISTERO PICASSO

Il mistero Picasso è un'opera prima, nel senso di unica, inimitabile, eccezionale come solo un grande regista poteva riuscire a concepire, facendo in modo che un artista già famoso in vita, anzi l'artista figurativo del 900 per eccellenza, accettasse di confessarsi davanti ad una cinepresa, di mettersi in gioco creando, concependo e mettendo a disposizione del pubblico, attraverso il suo regista confidente, la propria ispirazione creativa; aprendosi allo spettatore, mettendosi in gioco, crerando davanti alla macchina da presa come se si trattasse di un consueto momento privato di creatività vissuto tentando di dare forma a ciò che una mente straordinaria riesce ad ispirare nella sensazione di come cose, oggetti, persone, vengono percepite da una sensibilità fuori del comune. Il mistero Picasso si dimostra davvero l'opera più moderna ed innovativa che si possa ancora oggi tentare anche solo di pensare e concepire di costruire attorno ad un'artista: che sia vivente, famoso ed unico come successe a Picasso, non capiterà tanto spesso o facilmente ancora, come non capiterà nemmeno che l'eventuale artista che risponde nuovamente a queste caratteristiche, trovi un regista del calibro di Clouzot a cui affidarsi "ciecamente".... appunto. VOTO ****

1957: LE SPIE

Spy-story che fa di tutto per ingarbugliarsi e rimanere indecifrabilmente ironica, quasi farsesca. 

Un Clouzot che pare prenderciin giro, che scherza col fuoco, e non si sa mai bene come prendere, anche a causa dei suoi personaggi bizzarri, spesso sopra le righe, eccessivi, caricaturali, irresistibili nella foillia che li descrive e tiene assieme, e che ben si addicono ad un centro per la cura delle malattie mentali, entro il quale malati tradizionali e nuovi invitati ben si amalgamano per formare un girone della follia memorabile.

Il centro di cura assomiglia molto, grazie anche al bianco e nero fuligginoso che contribuisce a creare un senso di inquietudine attorno a quell'alveare di intrighi, al collegio teatro dei complotti matrimonial-sentimentali che hanno reso un capolavoro l'ottimo e teso thriller I diabolici. Probabilmente il film va visto più nel suo ironico e frenetico susseguirsi di gags e di sotterfugi, senza peraltro scoraggiarsi troppo se si tende sempre e puntualmente a perdere un pò il filo della narrazione, a mio avviso deliberatamente fumosa e giocata tutta sul filo della follia, quella che rende certi matti come persone da internare, ed altri invece li eleva a scienziati nelle cui (perverse e poco attendibili o rassicuranti) mani affidare le sorti del nostro pianeta, funestato da una minaccia atomica tutt'altro che sottovalutabile.

VOTO ***1/2

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La verità (1960): locandina

1960: LA VERITA'

H-G. Clouzot si fa coadiuvare, in sede di scrittura, dalla celebre moglie Vera, dando vita ad un serrato dramma processuale che evita di rimanere troppo imprigionato all’interno dell’asfissiante aula processuale, ma impegnato piuttosto a sondare i drammi esistenziali e la dinamica crudele dei pregiudizi che affliggono anche chi, come la splendida, apparentemente inarrivabile, ma in realtà estremamente fragile ed insicura Dominique, nella diversità si distingue per una estetica così perfetta da risultare dirompente e generatrice di preconcetti, invidie ed altre cattiverie gratuite e crudeli.

Ecco che allora il buon film si sofferma a riflettere, nell’incedere anche concitato del processo, sulla diversità, che paradossalmente rende come dei mostri anche chi in realtà appare come tutto il contrario, e proprio per questo diviene vittima di preconcetti e stupidi luoghi comuni, in grado di ferire, emarginare, creare scompensi e sconforti che spesso finiscono per provocare la tragedia.

Nei panni di Dominique, Brigitte Bardot, nel pieno della propria prorompenza fisica, appare perfetta: forse non possiamo affermare che la sua recitazione sia esemplare, ma la sua figura, la sua persona inarrivabile, lo è assolutamente, e diviene una delle molteplici forze del film, ben diretto e molto ben scritto. VOTO ****

1968: LA PRIGIONIERA

Al suo ultimo film, Henri-Georges Clouzot passa al colore, vivo e spregiudicato, e si giostra con una certa ironia - senza rinunciare al tocco crudele, anzi sadico che spesso ha saputo valorizzarlo e distinguerlo come uno dei massimi autori francesi della suspence - addentro al mondo spregiudicato e senza pudore dell’arte moderna più sfrontata e fine a se stessa, con un thriller psicologico improntato a denunciare la disgregazione di un caposaldo tradizionale e rassicurante come la famiglia, approdo affidabile per un futuro magari senza sobbalzi, ma ricco di solidità ed affetti certi, palpabili, in favore di un’mondo avveniristico proposto da una produzione artistica che acuisce, nella sua eccentricità spesso molto fine a se stessa, la malizia di voler dedicarsi a nuove, inedite, proibite, ma magari assai più appaganti forme di sperimentazione dei sensi che vadano al di là dei soliti amori ed affetti ormai senza sorpresa.

Un Clouzot assai erotico, che da autore di carattere anche in precedenza non si è mai tirato indietro di fronte alla rappresentazione dell’attrazione della femmina sulle capacità razionali dell’uomo pianificatore, e che tuttavia in questo film pare riprendersi il ruolo del burattinaio, in grado di gestire e guidare in un percorso senza ritorno la sua preda ammirata ed amata sino alle estreme, impudiche conseguenze.

Un altro film coraggioso, sicuramente in anticipo coi tempi, probabilmente in grado a fine anni Sessanta di risultare oltraggioso e in qualche modo “pornografico”. VOTO ***1/2

 

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